E’ da quando ho memoria che a casa mia si è sempre mangiato sano. Soprattutto noi bambini, obbligati a consumare frutta e verdura a ogni pasto senza la minima possibilità di replica.
Morale, quando tornavamo da scuola eravamo certi che almeno un paio di volte alla settimana avremmo trovato in tavola il minestrone. E quando ci andava meglio, accanto alla bistecca o al pesce sapevamo che non sarebbero mancati gli spinaci, le carote, i finocchi. O qualche altro vegetale che la mamma alternava con fare da nutrizionista pluri-diplomato.
Ma non finiva lì. Perché poi non potevamo correre in camera senza prima inglobare anche una mela, una banana, una coppetta di fragole o una fetta d’anguria, a seconda della stagione.
Tanta attenzione all’alimentazione ci spingeva a contare fortemente in graditissimi inviti a pranzo dai compagni, pur di svangare il mezzogiorno salubre. Ma mentre assaporavamo cotolette e patate fritte, ci assillava la certezza di una cena che ricompensasse lo sgarro.
Se di giorno mangiavamo fuori, infatti, alla sera ci veniva appioppata una doppia razione di verdure. In versione sugo della pasta e contorno. Dopodiché, una ricca macedonia metteva in pace la coscienza della mamma, tormentata dall’averci concesso leccornie (quelle sbafate a quattro palmenti dagli amici) che considerava un pericoloso attentato al nostro regime alimentare.
In realtà, la tenacia nell’educarci a tavola ha dato i suoi risultati. Intanto, perché saturi di vitamine, sali minerali, fibre e zuccheri “buoni” mio fratello e io siamo cresciuti piuttosto sani (sarà stato un caso, ma scuola non abbiamo mai fatto assenze per influenze, tossi né raffreddori). E poi, perché quando si è iniziato a badare all’alimentazione (negli anni ’70 nessuno ci pensava molto), noi eravamo già orientati verso il nuovo trend.
Vi racconto tutto questo dopo aver letto l’articolo Anche ai bambini piacciono i broccoli (su Confidenze in edicola adesso), che sostiene una grande verità: mangiare in modo corretto si impara dall’infanzia.
Troppo spesso, invece, ancora oggi i genitori propongono ai figli piatti decisamente più buoni di quelli che mi sono sorbettata io. Ma meno indicati per corpicini in fase di crescita e bisognosi di nutrimenti specifici. Il che è un peccato, dato che non è vero che i bambini non amano le verdure. Semplicemente, è raro che gliele si propongano. Ma se succede, si abituano a gustare i broccoli e, piano piano, ad apprezzare le urfide barbabietole o i cardi.
Lo dico per esperienza visto che, una volta diventata mamma, anch’io ho propinato ai due cucciolotti la medesima dieta della mia infanzia. E loro l’hanno accettata senza battere ciglio. Anzi, sedendosi a tavola con l’acquolina in bocca davanti a un passato di zucca, erbette e cipolle.
Lo stesso entusiasmo, lo ammetto, non l’ho mai riscontrato nei piccoli ospiti che vagavano per casa. Ai quali, immagino, un invito da noi doveva scatenare un amletico dilemma: confermare la presenza e, una volta seduti a tavola, ingolfarsi di pane invece che buttarsi sui miei “manicaretti”. Oppure rimandare l’incontro al pomeriggio, dopo aver riempito lo stomaco altrove?
I menu pseudo vegetariani, per fortuna, non hanno compromesso le relazioni sociali dei miei bambini. In compenso, sono entrati nelle loro abitudini. Tant’è che quando uno dei due ha frequentato un anno di liceo negli Stati Uniti, i primi tempi mi raccontava trasecolato che la famiglia “adottiva” non aveva idea di cosa fosse un’insalata mista.
Alla fine del suo soggiorno americano, però, anche in quella casa le usanze culinarie erano cambiate. Perché con l’implacabile tenacia di mia mamma prima e mia dopo, pure lui è riuscito a convincere gli yankee al consumo regolare di frutta e verdura. Magari non da soli, ma per sostituire patate intrise di olio fritto accanto a una T-bone. O una glassa ipocalorica sopra un gelato.
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