“Ludovica che partorisce in un basso di Napoli nell’intervallo tra due bombardamenti; Bianca che con i figli, il grammofono e la cassetta dei gioielli attraversa a piedi l’Abruzzo; Marisa che a Roma occupata dai tedeschi impara a sparare; Sofia che da Milano si rifugia con le sue provviste di tè e la sua biblioteca in un paesino al confine con la Svizzera; Zita, la mondina di Cavriago che ha il fratello partigiano e il fidanzato nell’esercito repubblichino; e ancora la confinata Cesira, Lela che comanda le ausiliarie di Salò nel Veneto; Carla che durante tutta la guerra fa la postina aspettando il ritorno del marito; Lucia che impara a guidare il tram a Milano e il marito non lo aspetta più; la Biki che continua imperterrita a preparare le sue collezioni di abiti da sera…: queste e tante altre sono le donne che ho avuto la fortuna di conoscere e di cui a un certo punto ho avuto voglia di scrivere la storia. (…) Ho tentato di scrivere la storia di tutte queste donne insieme, attraverso gli anni che vanno dal 1940 al 1945: gli anni cioè del Secondo conflitto mondiale. Mi aveva sempre colpito il fatto che, parlando di quel periodo, Carla e Lucia, Marisa e Luciana, Lela e Cesira dicessero a un certo punto, come sovrappensiero: «però, in fondo, è stato bello». Un’affermazione curiosa, imprevedibile, se si pensa che gli avvenimenti ai quali si riferivano sono stati certamente tra i più tragici della nostra storia e della loro vita. «Però, è stato bello»: forse perché sia pure tra le difficoltà e le tensioni della vita quotidiana, ognuna di loro dovette imparare in quegli anni a decidere da sola, senza l’aiuto né la tutela di padri, mariti, fidanzati. Ognuna d noi divenne, nel pericolo e nella miseria, più padrona di se stessa”.
È tornato in libreria in questi giorni, il saggio scritto dalla Mafai e pubblicato per la prima volta nel 1987. Donne e vita quotidiana nella Seconda guerra mondiale, questo il titolo di accompagnamento, è una grande raccolta di voci. Voci femminili che raccontano però una storia più ampia, una storia che dell’assenza maschile fa uso, senza strumentalizzarla, per individuare e analizzare usi e costumi del prima e le necessità che hanno portato a cambiamenti, adattamenti, nuove possibili espressioni del ruolo della donna.
Tutto cominciò il 10 giugno del 1940. Mussolini annunciò l’inizio di una guerra che, nelle intenzioni (vere? presunte? Su questo punto, come su moltissimi altri, la critica è ancora divisa) del Duce, avrebbe dovuto risolversi in una manciata di giorni, nella peggiore delle ipotesi qualche settimana. Furono invece cinque gli anni che si portò via, trascinando via la vita di militari e civili e affamando (in senso non solo etimologico) chi riusciva a scamparla. Le voci delle donne che la Mafai ha ascoltato ci raccontano proprio questo: la fame. Fame di cibo, fame di affetti, fame di lavoro, fame di libertà, fame di pace.
Ascoltare, attraverso la lettura, queste voci è in parte una forma di incanto: sembrano trame di romanzi, sceneggiature di film neorealistici. Sono trame in bianco e nero, quelle che abbiamo guardato in tanti documentari. Storie che abbiamo messo via con leggerezza, con l’arroganza di chi ha certezze basate sul nulla: “non potrà mai più accadere”.
Oggi stiamo assistendo a una guerra a colori, alle porte della nostra Europa. Assistiamo. Per il momento.
Miriam Mafai, Pane nero, Bur
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