“«Ma no, Liv, non è stata una finzione», ho provato a risponderle io. «I nostri genitori si separano, ma noi siamo sempre noi». In quel momento non capivo bene a cosa alludesse, ma oggi mi rendo conto di cominciare a comprendere il suo punto di vista: se i nostri genitori possono far sparire con uno schiocco di dita quarant’anni di matrimonio e l’affetto dal quale siamo scaturiti noi, ecco che cala un velo di falsità si tutti i ricordi, tutte le esperienze, tutte le convinzioni relative alla famiglia. È così che mia sorella sta vivendo questa situazione, o almeno credo: non sono più in grado di capirla al volo. Io stessa ho sempre pensato che non ci fosse niente di eroico nel tenere in piedi una relazione ormai morta, o infernale: indipendentemente dalle ragioni – se ci sono figli, sarà pur meglio che abbiano genitori allegri e felici, dico bene? –, restare insieme è un atto miserabile, quasi patetico. Ora però sono indecisa fra questa mia annosa certezza e il suo opposto, soprattutto alla luce della reazione di Liv: è senz’altro vero che, se sono riusciti a tener duro per tutto questo tempo, tanto valeva continuare per quel poco che resta. Avrei voglia di sottoporre a mio padre questo ragionamento, parlargli del conflitto fra me e i miei fratelli, metterlo di fronte alle sue responsabilità e costringerlo a fare ordine nel caos che lui e mamma hanno creato in tutti noi”.
Per il suo settantesimo compleanno Sverre ha deciso di portare tutta la sua famiglia in vacanza in Italia, prima a Roma e poi in una località marittima (se siete fanatici del bel paesetto non leggete il primo capitolo, quello narrato da Liv). Il nutrito gruppetto, nonna e nonna, tre figli, relativi compagni e due nipotini si ritrovano tutti insieme per il lieto evento. Durante la cena preparata con cura da nonna (menù: bruschette, spaghetti alle vongole, saltimbocca alla romana, tiramisù), dopo il bel discorso tenuto dalla primogenita Liv, tutti attendono che a prendere la parola, come avviene da quando hanno memoria, sia nonna. Qualche aneddoto sul giorno in cui lei e nonno si sono scambiati il primo sguardo non è mai mancato, più o meno rivisitato dal tempo che passa e dalla fantasia che filtra e colora e restaura. Nonna però tace. Quando Ellen, la secondogenita, insiste, promette che il discorso lo farà in occasione del secondo festeggiamento, quello che si terrà al rientro ad Oslo con tutti gli amici e i colleghi di lavoro. Ellen, nervosa per altri motivi, coglie l’occasione per sfogare l’energia compressa. “Non puoi farne due, di discorsi?”, insiste. A quel punto nonna si alza, sbatte i piatti di ceramica sul tavolo, e rivolgendosi al marito dice: “Vuoi farlo tu, un discorso?”. Sverre poggia entrambe le mani sulla bella tovaglia bianca, guarda le due figlie, guarda il figlio, guarda il marito di Liv, guarda il compagno di Ellen, non guarda la piccola Hedda che già dorme, non guarda il quattordicenne Agnar che si è alzato dopo la prima portata per ascoltare un po’ di musica in attesa del dolce. “Abbiamo deciso di separarci”, dice. “Entrambi sentiamo che si è esaurito tutto, che ognuno dei due ha avuto dall’altro e da questo matrimonio tutto ciò che poteva prendere. Non vediamo più alcun futuro insieme”.
La Flatland è bravissima a vivisezionare le reazioni dei tre figli e mentre ascoltiamo gli sfoghi di Liv, Ellen e Hakon, mentre li osserviamo dividersi senza controllo tra il loro ruolo per sempre bambino e quello obbligato di adulti, si aprono come piante dai fiori carnivori gli splendori e le oscurità dell’istituzione sociale che più di ogni altra subisce continue, intestine, profondissime trasformazioni: la famiglia. La Flatland è bravissima a ricordarci che la famiglia non annulla il fiorire e lo sfiorire individuale dei singoli che la compongono, che la affermano, che la interrompono.
“Per la prima volta non provo rabbia, né amarezza, né turbamento di fronte alla separazione dei miei genitori, ma solo dispiacere per ciò che mamma e papà si sono persi, e malinconia nel rendermi conto dell’ambivalenza in loro: da una parte, il dolore di abbandonarsi a vicenda, dall’altra, ancora più forte, il desiderio di qualcos’altro, di qualcosa di più”.
Helga Flatland, Una famiglia moderna, Fazi
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