“Molti anni fa, in una minuscola isola di un lago d’Italia, vivevano alcune persone delle quali si interessa la presente storia. Per avere un’idea della piccolezza di quest’isola bisogna dire che essa conteneva, diciamo così, soltanto la villa dei padroni, i Reffi, e la casetta del custode; Giovanni Marengadi. Lo spazio che rimaneva, pochissimo, tutto roccioso e scosceso, era pieno di alberi e fiori selvatici. Con una barca si compie il giro dell’isola in quattro minuti; a piedi, lungo un esilissimo marciapiede sommerso dall’acqua la maggior parte dell’anno, in due minuti. L’isola della Ginestra, o Ginestrin, com’è chiamata, era in vendita nel secolo scorso a duecento lire, naturalmente senza alcuna costruzione. Antonio Reffi, il vecchio, la comprò appunto a questo prezzo quando aveva venticinque anni, con il proposito di vivervi solitario tutta la vita. Poi si sposò, dopo avervi fatto costruire la villa, e con sua moglie vi passò regolarmente l’estate, ogni anno. Nel millenovecentotrenta e qualche cosa egli vi si stabilì definitivamente, insieme con i suoi due figli, Carla e Celestino. Carla Reffi aveva quarant’anni, non si era sposata ed era scrittrice. Aveva i capelli già molto grigi, in questo millenovecentotrenta e qualche cosa, ma il volto era dolcemente fresco, giovanile, e conoscendola ci si spiegava lo stile dei suoi romanzi. Il padre, il vecchio Reffi, diceva che ella non sapeva scrivere. Celestino Reffi aveva undici anni meno della sorella. Anche lui non riscuoteva l’approvazione del padre. Intanto il vecchio Antonio gli rimproverava di essere troppo alto e grosso e forte”.
Consigliare un libro di Scerbanenco non è mai facile. Non è facile perché è il più grande di tutti, non è facile perché i suoi scritti sono intrecciati alla sua vita, perché è difficile parlare degli uni senza tirare in ballo l’altra ma si rischia così di diventare prolissi, si rischia così di usare parole inutili: Scerbanenco non ha bisogno di essere introdotto, non ha bisogno di essere spiegato, Scerbanenco va letto e basta. Chi lo ama lo sa, chi non lo ama è solo perché non l’ha mai letto. L’isola degli idealisti è un romanzo che Scerbanenco scrisse all’albergo Toledo, a Iseo, tra il 1942 e il 1943. I bombardamenti che si abbattevano su Milano l’avevano spinto a lasciare la città ma non venne meno alle collaborazioni che aveva con diverse testate. L’isola probabilmente era stata commissionata, per essere pubblicata a puntate, dal Corriere della Sera. La pubblicazione non ci fu e il romanzo, conservato dalla prima moglie Teresa, ha visto la luce molti anni dopo. Come sempre ha in sé uno specchio più profondo dei tempi in cui è stato scritto e come sempre sprigiona la magia di ogni ‘capo’ firmato Scerbanenco, ovvero essere sempre attuale, uno Chanel tagliato e cucito con un filo di sapiente inchiostro.
Le giornate al Ginestrin passano, devono passare, tutte uguali. Carla cerca rifugio nei suoi libri, Celestino – nonostante la laurea in medicina, presa per far contento il padre otorino – nell’educazione del cane Pangloss e nell’adorazione della matematica. In casa non deve mettere piede nessuno oltre loro, l’unica eccezione è riservata alle due domestiche e al cugino Vittorio e sua moglie Jole. Una sera di maggio, però, mentre come sempre nulla accadeva, accadde qualcosa. Una piccola imbarcazione si sta dirigendo verso l’isola. A bordo due persone. Un uomo e una donna. Guido e Beatrice. Due ladri latitanti.
Cosa accadrà al loro arrivo? Chi imporrà la legge del più forte? E come potrà essere rispettata la legge che vige sull’isola, quella imposta da Antonio Reffi? Se conoscete Scerbanenco, sapete che in un suo libro tutto può succedere e che quello che accadrà sarà sempre almeno mezzo passo avanti la più fervida delle nostre immaginazioni. Ci scapperà il morto? Ovvio. Ci scapperà un amore? Non ve lo dico. Vi regalo però qualche altra preziosa riga, in realtà titoli di capitoli: “Sulla carta dei cioccolatini si trova scritto: gli amori più grandi sono i più silenziosi”, “Anche nell’errore, contrariamente a quanto si dice, bisogna andare fino in fondo”.
Leggete Scerbanenco, leggetelo sempre.
Giorgio Scerbanenco, L’isola degli idealisti, La nave di Teseo
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