Vi riproponiamo la storia vera del n. 32 più votata dalle lettrici sulla pagina Facebook
Ho rinunciato all’unico uomo che abbia mai amato perché non potevo chiedergli di accollarsi tutti i miei pesi familiari. Posso cogliere oggi questa seconda opportunità?
STORIA VERA DI AMELIA O. RACCOLTA DA CLAUDIA TURCHIARULO
In paese mi hanno sempre chiamata zia Amelia. Lavorando all’ufficio postale, conoscevo praticamente tutti, e chi veniva a pagare le bollette non perdeva occasione per aggiornarmi sulle proprie esperienze di vita. Ironizzando, sostenevo spesso che avrei dovuto fare la psicologa, anziché l’impiegata. Eppure, ascoltare le loro storie, offrire un consiglio spassionato, o persino un piccolo aiuto pratico, mi rendeva davvero felice.
Sembrava che io fossi nata per stare al servizio degli altri. Anche in famiglia adoravo prendermi cura dei miei cari.
Mamma e papà erano in pensione da tempo, ma diverse patologie li costringevano a letto, e lasciavano presagire la loro dipartita anticipata. Inoltre, mi ero sempre occupata di mia sorella Teresa che non aveva mai avuto troppa voglia di lavorare, forse perché, essendo la più piccola, veniva coccolata da tutti, e di nostro fratello Luca che, a causa di un ritardo cognitivo, non poteva essere autonomo.
Tutti mi rimproveravano il fatto che stessi annullando la mia vita per loro, ma non davo peso a questi giudizi gratuiti. Anche perché non avevo mai desiderato null’altro che la loro serenità. La situazione si complicò quando mi innamorai di Mario che veniva a pagare le bollette di amici e parenti, pur di passare dall’ufficio postale il più spesso possibile.
Ero completamente rapita da lui, sapeva catturarmi l’anima. Sin dai primi sguardi, percepii un coinvolgimento a pelle che mi attraeva terribilmente. Nonostante avessi quasi 40 anni, mi sentivo una ragazzina. Un turbinio di emozioni galoppava a briglie sciolte in me.
Così, tra una chiacchiera e l’altra, prendemmo a frequentarci, e il sentimento sbocciò da sé. Non mi ero mai sentita così completa. Di colpo, la mia vita aveva assunto profumi e colori più intensi, e le giornate avevano il sapore della passione. Eravamo inseparabili e ci capivamo con uno sguardo, sebbene non gli avessi mai con dato del tutto la mia situazione familiare, per paura di non essere capita. Quando lui mi chiese di sposarlo, però, non ebbi scelta.
Quella sera, mi telefonò per darmi appuntamento al fienile di suo padre, sostenendo di avere una sorpresa per me.
Sapeva che amavo tantissimo gli animali, dunque ero certa si trattasse della nascita di un nuovo agnellino, com’era già accaduto più volte. Varcata la soglia della capanna, però, mi ritrovai catapultata in una favola. C’erano ori rossi sistemati con cura in ogni dove, candele profumate sulle balle di paglia vestite a festa. Da un giradischi antico risuonavano delicate le note di un pianoforte in sottofondo. Il profumo di fieno misto alla vaniglia emanata dai lumini rendeva tutto ancora più poetico e inebriava i sensi.
Di fronte a me, lui, in ginocchio, con un anello in mano e quella domanda che, a oggi, mi risuona ancora nell’anima: «Vuoi sposarmi?».
Ricordo il peso delle mie gambe che andavano via via paralizzandosi, ma nel cuore un profondo desiderio di fuggire, le lacrime calde che mi riga- vano il viso. Non potevo dirgli di sì, sebbene lo desiderassi con tutta me stessa.
Come avrei potuto confessargli i miei oneri familiari e che, sposando me, avrebbe dovuto accettare anche la presenza di Luca e Teresa?
Se pure l’avesse fatto in virtù del suo folle amore, avrebbe potuto essere davvero felice, sobbarcandosi tante responsabilità non sue?
Decisi, allora, che fosse giusto dirgli di no, e lasciarlo libero di trovare una donna che lo avrebbe messo al di sopra di tutto e tutti, donandogli l’unicità che meritava.
Per essere certa che mi dimenticasse, gli giurai di aver conosciuto un altro uomo e di essermi invaghita di lui. La sua delusione fu così forte che sparì letteralmente dalla mia vita.
Da allora, sono trascorsi tanti anni. Sono l’ultima della mia famiglia a essere ancora viva.
Un giorno Anna, mia nipote, per mostrarmi il potere dei social network, ha pubblicato una foto in bianco e nero su Facebook che mi ritrae- va abbracciata a Mario, senza aggiungere una sola parola, o un dettaglio circa l’identità dei protagonisti.
Dopo due ore, però, è accaduto l’irreparabile. Enzo, suo compagno di classe, ha riconosciuto il nonno in quello scatto, e glie l’ha mostrato per avere conferma dei suoi sospetti.
Così, Mario, con voce tremante, l’ha implorato di telefonare ad Anna e di convincerla a organizzargli un incontro a sorpresa con me. L’appuntamento è stato fissato, a mia insaputa, al bar della piazza centrale, di fronte alla fontana che era stata teatro del nostro primo bacio. All’ora stabilita, un elegantissimo Mario, con in mano cinque rose rosse e una scatola di cioccolatini, mi ha tamburellato dolcemente sulla spalla. Voltandomi, ho avuto un sussulto al cuore. Non mi sarei mai aspettata di incrociare ancora il suo sguardo buono.
Avrei riconosciuto quegli occhi tra mille. Il volto incorniciato dalle rughe non ne aveva minimamente scalfito l’intensità.
«Sogno o son desta? Quale incantesimo ti conduce, oggi, in questo luogo incantato?».
«La magia dell’amore, mia cara».
Il tempo è sembrato immediatamente tornare agli anni in cui la passione ardeva nei nostri cuori più vicini e indissolubili che mai. Qualunque cosa fosse accaduta durante la nostra lunghissima separazione non aveva importanza. Mi ha raccontato che, ormai, era vedovo da tempo, ma che aveva sempre covato nel profondo il desiderio di riabbracciarmi. Quale impedimento poteva esserci oggi?
Cosa avrei potuto inventarmi per non abbandonarmi alla sua fame d’amore? Nulla. Anche se la paura che qualcosa andasse storto, mi faceva tremare le ginocchia.
Io che non avevo mai amato nessuno al di fuori di lui e che, quindi, ero così abituata a non con- dividere i miei spazi con altri, non sapevo neppure da dove cominciare.
Poi, diciamolo chiaramente, alla mia età si è smesso di sognare da decenni ed è difficile stravolgere la propria quotidianità.
In ogni caso, cos’avrei potuto offrire a quest’uomo così speciale da non serbare rancore per me che lo avevo deluso e umiliato nel peggiore dei modi? Gli spiegai che non mi sentivo sufficientemente in forma per aprirmi all’amore, ma che sarei stata felice di frequentarlo in amicizia, per sorseggiare il mio tè delle cinque insieme, giocare a canasta col gruppo della parrocchia.
Bastarono pochi giorni, però, perché i nostri cuori tornassero a parlare la stessa lingua e ad accarezzarsi dolcemente.
Non gli ho ancora detto tutta la verità, e non so se riuscirò mai a farlo. Ho sempre il terrore che organizzi per me una sorpresa romantica come quella del fienile.
Perfino oggi, non riuscirei ad accettare la sua proposta. Una parte di me, pensa ancora di non meritarlo, nonostante per decenni abbia fantasticato su cosa sarebbe accaduto se avessi sposato Mario. L’effetto “sliding doors” ha accompagnato i miei sogni più ricorrenti, e riempito le pagine di decine di lettere accantonate. Ma oggi non so cosa fare. ●
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