La rivincita del cuore

Cuore
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Riproponiamo sul blog la storia più apprezzata del n. 35 di Confidenze

 

Per anni ho sofferto in silenzio mentre Alice formava una famiglia con il mio miglior amico. Quando la rivedo, è una madre single con tanti problemi e l’aria stanca. Ma un brivido mi corre lungo la schiena e subito so che l’amo ancora

STORIA VERA DI MATTIA D. RACCOLTA DA SIMONA MARIA CORVESE

 

Parcheggio l’auto accanto al marciapiede, controllando il numero civico della villetta. Faccio scorrere lo sguardo sulla proprietà, osservando i cespugli poco curati. Con le mani ancora sul volante, sposto lo sguardo per guardare fuori dal parabrezza della mia macchina. Mi ci vuole qualche minuto per ricordarmi che sto facendo questo con il bambino seduto accanto a me per aiutare la donna che amo silenziosamente da anni. Nonostante tutto, questo non mi rende le cose più facili. Mi sono innamorato di lei all’università, ma Alice ha sposato il mio migliore amico. Sono anche il padrino di loro figlio Luca, nato cerebroleso a causa di una sofferenza fetale durante il parto: stava soffocando con il cordone ombelicale.

Ora il bambino ha sei anni ed è seguito da un fisioterapista in un centro riabilitativo. Numerosi volontari vanno anche a casa di Alice per aiutare Luca e tra loro da oggi c’è anche Andrea, mio figlio di 12 anni. Con un sospiro scendo dall’auto insieme ad Andrea. Raggiungiamo la porta d’ingresso, dove suono il campanello.

Faccio un passo indietro e, aspettando che Alice venga ad aprirmi, mi guardo intorno. Nel cortiletto l’erba non è stata tagliata e alcuni ciuffi spuntano dalle fessure del marciapiede che conduce alla porta principale. La vernice delle imposte è sbiadita e in alcuni punti scrostata. Sono sorpreso dalle condizioni della casa. Non vedo Alice da cinque anni, è possibile che suo marito non si occupi della proprietà?
La porta si apre cigolando e appare una donna snella. I capelli biondi sono raccolti in una treccia e gli occhi color acquamarina mi osservano con cautela. Rimango senza fiato e un brivido di eccitazione mi corre lungo la schiena. Credevo che questi anni di distanza avrebbero spento i sentimenti che provavo per lei, ma mi sbagliavo. Alice è ancora più bella di come la ricordavo. «Ciao, benvenuti» dice a me e ad Andrea con un sorriso colmo di gratitudine che mi scalda il cuore, poi ci diamo una calorosa stretta di mano. «Prego, entrate». Alice si allontana dalla porta, permettendoci di entrare nel piccolo atrio della casa. Se l’esterno ha bisogno di qual- che lavoro, l’interno invece è curato, ben arredato, odora di pulito, con solo un leggero profumo di cibi cotti.

Mentre il mio sguardo vaga per la stanza, noto nel soggiorno un ragazzino dai riccioli castani sistemato su una sedia a rotelle. È Luca.

«Vieni, Andrea, ti presento Luca» dice Alice, introducendoci nel soggiorno. Davanti al bambino c’è un cavalletto con appoggiato un foglio e, sul tavolino accanto, una tavolozza dei colori con un pennello. Andrea, senza dare il tempo ad Alice di dargli istruzioni, afferra il pennello e lo mette in mano di Luca. «Disegniamo un fiore, Luca?» gli propone e, tenendogli la mano, iniziano a dipingere sulla tela.

Alice e io rimaniamo a bocca aperta: sembra che i bambini si conoscano da sempre. Luca gradisce la presenza di mio figlio e, quando lui nell’avvicinarglisi ancora un po’ urta la carrozzina e la fa ondeggiare, prorompe in una risata argentina. «Ti piace, Luca? Allora facciamolo ancora» gli dice Andrea facendo di nuovo ondeggiare delicatamente la sedia a rotelle. Luca ride ancora. Mi volto verso Alice e vedo i suoi occhi velarsi di lacrime per la commozione. Le faccio coraggio, posandole una mano sul braccio, con un tocco lieve. «Grazie» mi risponde lei, ricacciando indietro le lacrime. Mi fa cenno di seguirla e ci sediamo sul divano.

«Luca non camminerà e non parlerà mai» mi dice. «Non afferra gli oggetti, ma riesce a fissare lo sguardo e questo mi permette di comunicare con lui col contatto visivo».

«I bambini cerebrolesi hanno un loro potenziale da esprimere, Alice. Anche quando l’aspettativa è quella di ottenere solamente un sorriso da loro» le dico per confortarla.

Lei annuisce. «Vederlo ridere poco fa per me è stato come assistere a un piccolo miracolo, anche se non riconosce le persone».
«Andrea è un estraneo per lui, ma tu non lo sei: si è illuminato quando sei entrata nel soggiorno» ribatto e Alice mi dà ragione. «Come vi organizzate tu e tuo marito con gli orari di lavoro per accudirlo?». Alice si rattrista. «Edoardo non vive più con noi». Sono incredulo. Dopo il loro matrimonio mi ero immerso nel mio lavoro di pediatra, un modo per superare la delusione d’amore. Li avevo rivisti per il battesimo, un anno dopo, ed erano ancora insieme. «Cosa è successo?» le chiedo sorpreso e dispiaciuto.

Alice mi offre una tazza di tè caldo. Nel porgermela le nostre dita si sfiorano e una scarica elettrica mi attraversa il braccio. «È stato lui ad andarsene» mi rivela. «Voleva mandare Luca in un ricovero, ma io non ero d’accordo. Non sono una madre coraggio con un bambino speciale: sono una madre che vuole vivere con suo figlio. Edoardo mi ha detto che non ce la faceva a starmi accanto con un figlio in quelle condizioni».

Tra noi cala un silenzio imbarazzato. Edoardo è sempre stato un superficiale, il tipo sempre pieno di ragazze fino a quando si è innamorato di Alice. Abituato ad avere tanti soldi e a vivere una vita dorata, aveva presa facile sulle donne con la sua spensierata allegria. Non posso dirlo ad Alice, ma non mi stupisce il suo gesto codardo di abbandonare la famiglia.

«Forse un giorno tornerà» le dico invece, ma Alice scuote la testa.
«No, è finita. Da quando mia madre è an- data in pensione si occupa lei di Luca mentre io sono in ufficio».

Annuisco sollevato. «Senti, Alice, io ora abito nel vostro quartiere. Mi piacerebbe diventare il suo pediatra. Cosa ne pensi?». Il volto di Alice si illumina. «Grazie, Mattia. Non osavo chiedertelo e non immagini quanto mi faccia piacere. Ma raccontami un po’ di te e di tuo figlio. Non sapevo nemmeno che fossi diventato padre».

«Padre affidatario» preciso. «È accaduto un anno fa, quando ho rotto con la mia ex, che è ginecologa. Non mi sono soffermato molto a riflettere sulla fine della nostra relazione e non m’interessa sapere cosa fa adesso. Desideriamo cose diverse: lei vuole fare carriera, io solo aiutare le persone. Ho conosciuto Andrea un anno fa. È un mio paziente ed era reduce da un affido familiare andato male. La famiglia affidataria lo ha accolto più che altro per un prestigio sociale, piuttosto che per un reale interesse verso il suo vissuto e i suoi bisogni. Andrea è bravo a scuola e stimato da compagni e insegnanti. Ha bisogno solo di affetto, non di essere raddrizzato. Non ottenendo il prestigio che si aspettavano, lo hanno restituito, cercando di farlo passare per un ragazzino che non voleva farsi aiutare». Alice guarda Andrea che sta dipingendo con Luca e scuote la testa. «Povero ragazzo».

Annuisco. «Sì, perché così ha subito il trauma di un doppio abbandono». Rimaniamo un istante in silenzio, pensierosi, poi aggiungo: «Noi due stiamo benissimo insieme e con me Andrea è rifiorito. Non credevo di essere capace di affetto paterno e invece mi è venuto spontaneo».

«Sono così felice per te, Mattia: ho sempre pensato che tu saresti stato un ottimo padre. Non mi sbagliavo». Gli occhi di Alice si velano di tristezza e le leggo nello sguardo cosa sta pensando. Sposare Edoardo è stato uno sbaglio e forse anch’io avrei meritato una possibilità con lei.

Ci guardiamo e sento nascere tra noi un‘emozione. Faccio un respiro profondo per rallentare i battiti del cuore. Lei arrossisce lievemente.
Nelle settimane seguenti convinco Alice a far vivere a Luca nuove esperienze all’aperto, prima che l’autunno ceda il passo all’inverno. «In città sono arrivate le giostre» le dico. «Perché non ci portiamo i bambini questo sabato?».
Lei esita e comprendo le sue paure, ma accetta. Arrivati al parco divertimenti, Luca è visibilmente felice ed emette gridolini di gioia. Ci sono clown, bambini che si divertono sulle giostre e dalle bancarelle arriva l’odore di frittelle cotte in abbondante olio caldo, di popcorn e zucchero filato. «Voglio far assaggiare a Luca lo zucchero filato» dice Alice avvicinandosi a una bancarella. Io prendo dei palloncini colorati e, con l’aiuto di Andrea, lego i fili ai manici della carrozzella di Luca. Luca prende lo zucchero filato dalle mani di Andrea, che lo imbocca. Poi Luca comincia a dondolarsi con il busto avanti e indietro e alza le braccia con le mani strette a pugno. Andrea e io ci voltiamo verso Alice per capire. «Fa così quando gli piace qualcosa. Ci sta dicendo che vuole ancora zucchero filato».

Vedere il modo in cui Alice e suo figlio comunicano è un altro piccolo miracolo.
«Alice, posso portare Luca sul trenino turistico che fa il giro dei quartieri?» chiede mio figlio. Alice istintivamente dice di no.

«Non preoccuparti» la incoraggio.
«E va bene, andiamoci» mi dice mentre siamo tutti e due seduti su una panchina. Le poso una mano sul braccio con delicatezza. «No, Alice. Lascia che Luca ci vada con il suo amico Andrea. Fidati, è un ragazzo responsabile» insisto e riesco a convincerla.
Quella sera torniamo a casa soddisfatti della giornata, ma nella notte ricevo una telefonata da Alice. «Mattia, mi dispiace disturbarti, ma Luca non sta bene: ha la febbre alta e si lamenta».

«Vengo subito» rispondo. Mentre visito il bambino, vedo che ripete i movimenti che gli avevo visto fare nel pomeriggio: si dondola sempre con il busto, ma con più forza, e questa volta porta le mani strette a pugno verso il ventre.

«Fa così quando ha il mal di pancia» mi spiega Alice, preoccupata.
«È probabile, ma non preoccuparti per la febbre. Abbiamo fatto un po’ tardi ieri sera e l’aria era diventata fredda. Un antipiretico basterà per far calare la febbre e domani mattina ripasso a visitarlo» la rassicuro. Noto che ha l’aria affaticata: non so come faccia, da anni, a lavorare e contemporaneamente a prendersi cura del figlio. «Hai bisogno di riposarti, hai la faccia stanca» le dico con la confidenza di un amico.

«È un periodo difficile al lavoro. Ma non è solo questo. Sono anche stufa di esse- re giudicata dalla mia famiglia, loro avevano cercato di mettermi in guardia da Edoardo. Solo io non ho capito che persona era. Comunque grazie per il complimento» mi risponde piccata. Sorrido e sospiro rassegnato. «È l’effetto che faccio a tutte le donne: quando apro bocca, riesco solo a indispettirle». Alice mi sorride dolcemente e mi dà una carezza sulla guancia: «Sei una brava persona e sono orgogliosa di essere tua amica».

Il suo tocco mi toglie il respiro e vorrei essere qualcosa di più di un amico per lei. Imbarazzato, ripongo lo stetoscopio nella borsa e torno a casa.

Nei giorni seguenti Luca guarisce, invece Andrea e io prendiamo l’influenza. Chiamo Alice. «Per qualche giorno non potremo venire da te. Siamo tutti e due a letto con la febbre».
«Non preoccuparti» risponde lei. «Più tardi vi porto qualcosa da mangiare».
Sto per dirle di non disturbarsi, visto che ha fin troppo da fare, ma lei ha già chiuso la chiamata. Verso sera Alice suona alla porta e ad aprirle è Laura, la mia ex fidanzata. Seduto sul divano, vedo Laura che prende dalle mani di Alice un cestino termico nel quale ci sono le cose che ha cucinato per noi. È sorpresa nel vedere Laura. «Ti ringrazio cara, per il disturbo. Mattia mi ha detto tutto. Ora mi occupo io di loro, ma sappi che apprezziamo molto la tua gentilezza».
Mi viene rabbia per quello che Laura ha appena detto: sta facendo sembrare le cose come non sono. Infatti Alice mi si avvicina per salutarmi e, sottovoce, mi dice: «Mi avevi detto che non eri più fidanzato». Ha l’espressione di una persona ferita e mi è difficile sostenere il suo sguardo.
Fa per voltarsi, ma io le prendo la mano. «Non cancellare la possibilità di volerci bene, Alice».
«La fiducia è tutto in una relazione, è essenziale» mormora e se ne va.

Qualche giorno dopo vado a farle visita per chiarirmi. Le spiego che è stata Laura a tentare un riavvicinamento tra noi due. «Sono consapevole che saremmo stati una coppia di spicco nell’ambiente medico lavorando fianco a fianco» le dico sedendomi al tavolo della cucina. Alice mi volta le spalle mentre è intenta a preparare la cena, ma si ferma, colpita dalle mie parole. «Ma non so se avremmo avuto abbastanza tempo per prenderci cura l’uno dell’altra e tenere viva la nostra relazione. Avremmo dovuto impegnarci molto e ci saremmo riusciti, se solo lo avessimo voluto». Alice mette la minestra sul fuoco, poi viene a sedersi al tavolo accanto a me, offrendomi tutta la sua attenzione. «Ora, a distanza di tempo, penso che Laura non volesse investire sulla parte affettiva della nostra relazione e la crepa nel rapporto è diventata sempre più evidente. La cosa che mi ha convinto ad arrivare alla rottura è stato il suo disinteresse a costruire una famiglia».

Quando Alice mi sorride rasserenata, sento che un brivido mi attraversa il corpo. «È con te che voglio costruire il mio futuro, Alice». Le prendo la mano e l’accarezzo lentamente. «Non è così che volevo chiedertelo, ma vogliamo dare una possibilità ai nostri sentimenti?».

«Pensavo di aver perso la mia occasione» mi dice. I suoi occhi umidi di lacrime sono di una bellezza che mi incanta.

Le sorrido, intenerito. «Ti amo, Alice e voglio prendermi cura di te e di Luca come in una famiglia» le dico abbracciandola, poi ci scambiamo un lungo e appassionato bacio. Sono passati tre anni da quel giorno e Andrea, Luca, Alice e io siamo diventati una vera famiglia. ●

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