Quando arriverà la pioggia

Cuore
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Vi riproponiamo sul blog la storia più apprezzata del n. 39

 

Sono tornata in Italia per rivedere un’ultima volta la casa del nonno, trasformata in hotel. Mi pesa tornare qui dove ho solo ricordi e nessun legame. Invece mi accoglie un’incredibile sorpresa che buca le certezze di una vita

STORIA VERA DI GAIA L. RACCOLTA DA ELENA MACCHI

 

Oggi è giovedì. Sarà pura coincidenza? Me ne accorgo solo adesso, mentre parcheggio l’auto nei posti riservati all’hotel. Il quarto giorno della settimana è da sempre il mio preferito: da bambina arrivava in edicola il nuovo numero del mio amato fumetto, la mattina del giovedì, in quegli anni scolastici non avevo lezioni di materie tecniche. Ma soprattutto la sera di ogni giovedì avevo un appuntamento telefonico speciale, un momento magico, da condividere da sola con il nonno. Il suo mestiere era navigare, ricopriva la carica di comandante sulle navi da crociera. Solcava i mari di tutto il mondo, affrontava burrasche e alte maree con la capacità e il coraggio che erano insiti in lui. Bastava guardarlo, dritto negli occhi che avevano preso tutto il colore del mare, e brillavano vivaci, bucando il sottile reticolo di rughe più chiare, che si disegnavano sul volto sempre abbronzato, per volergli bene. Era così naturale per me, così facile e spontaneo che mi spiaceva per papà, con il suo atteggiamento distaccato e poco affettuoso nei suoi confronti. Il nonno viveva solo, nella grande casa sul mare. Era rimasto vedovo poco dopo la nascita di mio padre. Non aveva più voluto risposarsi, forse a causa del suo mestiere. Mio padre fu affidato alle cure di una balia e appena ebbe l’età scolare, fu iscritto a un collegio prestigioso, dove rimase fino alla maggiore età, che allora arrivava con il ventunesimo compleanno. Non visse mai un normale rapporto padre – figlio, questo influì molto sulla sua vita da adulto, tanto che una volta fuori dal collegio raccontava di essere orfano.

Le prime ombre della sera hanno strane forme, mentre scendono cupe sul mare, allungandosi e dividendosi in tante lingue sulla spiaggia. Mi piace osservarle. Amo il mare anche fuori stagione. Dalla terrazza del parcheggio scorgo la sagoma scura dell’hotel, e penso a come il tempo abbia il potere di cambiare, cancellare le cose, in un eterno divenire, all’interno del quale noi ci affanniamo per stare al passo. Nella tasca della mia giacca però ho qualcosa che è riuscito a fermarlo, intrappolandolo in una pellicola. È una foto, scattata da me, alla casa del nonno com’era un tempo. La mostra per intero, circondata per tre lati dal mare, con l’ingresso principale affacciato sulla strada, allora un viottolo sterrato, in mezzo a una rigogliosa vegetazione di collina, che stagionalmente si ricopriva di sprazzi gialli delle ginestre in fiore. Ora la casa non esiste più, sui suoi ruderi è sorto un piccolo boutique hotel. Guardandola dalla foto mi pervade una forte malinconia.

Oggi è la prima volta che ritorno qui, accompagnata da un sovraccarico di coraggio. Per me non è stato facile prendere questa decisione. Ho anche tentato di raccontarmi bugie: la pandemia, il lockdown, la paura dei contagi. No, niente di tutto questo, era solo l’ansia di dover affrontare una situazione mai accettata: la vendita della casa del nonno, imposta da mio padre, che mi aveva messo davanti a fatto compiuto. Io abito a Dublino da parecchi anni. Non sono più giovanissima, ho raggiunto i temuti “anta” proprio quest’anno. Sono sola, nessuna storia d’amore, ma non mi sento un’arida zitella. Vivo del mio lavoro di insegnante di letteratura, a me basta così. Tornare in Italia è stato un sacrificio morale. Non ho più legami, solo ricordi di vissuti familiari che mi fanno male. Mia madre era una donna troppo fragile, sottomessa al marito. Mio padre, un carattere dispotico, a volte arrogante. Il suo assolutismo costruiva muri impenetrabili, che ti tenevano fuori, ai margini di una vita familiare che sapeva di solitudine. Io cercavo disperatamente di sconfiggerla, affidandomi e attendendo i miei giovedì con il nonno. Poi c’erano i nostri incontri qui, in questo lembo di terra baciata dal mare e dal sole, le passeggiate, le gite in barca, le sue sorprese. Anche le sue partenze, ma soprattutto i suoi ritorni, così carichi di racconti fantastici e posti meravigliosi dove io sognavo di poterlo accompagnare. Eccomi davanti a questo piccolo gioiellino. La facciata rosa decorata con losanghe di una sfumatura più scura. All’ingresso, due grandi fioriere sono ai lati delle porte di cristallo, con impresso a lettere dorate “boutique hotel”. Dentro a uno sguardo, che non vorrei tradisse la mia emozione, vedo la trasformazione della casa del nonno. La hall è un grande spazio aperto, circondato da finestre, da dove entra il mare, così vicino che si ha l’impressione di camminarci dentro. Alle pareti piccole vetrinette con la collezione di conchiglie. Mi avvicino incredula. Sono quelle del nonno! Sui tre ripiani di cristallo sono esposte le nostre conchiglie: “Calilla”, “Charonia”, Fontigens turritella”, “Nautilus”, le riconosco senza leggere i nomi che sono indicati sulle piccole etichette, con la mia scrittura in corsivo. Qui è rimasto anche qualcosa di nostro, di mio e del nonno, qualcosa che comunque ancora ci appartiene. Istintivamente alzo la mano, con il dito sfioro il cristallo che le protegge. L’emozione aumenta quando su un piccolo tavolino di legno d’ebano intarsiato, che riconosco, vedo un leggio su cui è posto un piccolo libricino: ancora ecco la mia scrittura in caratteri corsivi, racconta la storia e i luoghi dove sono stati raccolti quei regali del mare. Ogni pezzo ha una sua storia, appresa dalle parole del nonno. Mi fermo confusa, l’emozione mi stordisce, faccio girare lo sguardo che esita sugli oggetti esposti nella hall, e mi sembra di essere a casa. Mi accorgo che la receptionist mi sta osservando con aria incuriosita, forse anche divertita. Sono imbarazzata, così mi sforzo di superare l’emozione, e decisa, sentendomi comunque un po’ goffa, mi dirigo con passo sicuro al check- in. «Buonasera, ben arrivata, ha viaggiato bene?». Le solite domande di rito. «Certamente, grazie». Porgo i miei documenti per la registrazione.

Quando la ragazza legge il mio cognome, ha un moto di sorpresa. «Scusi la mia curiosità, ho letto il suo cognome. Mi permetto di chiederle, per caso ha un grado di parentela con il comandante?». La guardo, e tutto in me grida che sì, il comandante era mio nonno, ma non solo, era anche l’unica persona a cui io mi affidavo e confidavo, l’unica persona di cui aspettavo il ritorno, il mio punto fermo, nonostante lui si muovesse in continuazione.

«Sì, il comandante era mio nonno Anselmo, lei lo ha conosciuto? Io sono Gaia, l’unica nipote». Dopo il suo diniego, che mi aspettavo, per ragioni di età, la ragazza improvvisamente mi appare confusa, rigira il mio documento tra le mani, con una strana espressione. «C’è qualcosa che non va? I documenti sono forse scaduti?». Non so come interpretare la sua reazione, non capisco. «No, assolutamente, mi scusi, è tutto regolare», si affretta a riporgermeli e io a ritirarli nella borsa. «Le abbiamo riservato la camera 3, quella con la vista migliore sul golfo». Veloce il suo dito sul pulsante del campanello, ed ecco materializzarsi il facchino d’albergo, un ragazzone alto e ben fornito da muscoli scolpiti da ore di palestra. Prende il mio bagaglio e le chiavi della camera, mi avvio dietro di lui: «Numero 3, camera “Nautilus”, prego ». Il ragazzo apre la porta e posa sul parquet il mio bagaglio, ringrazio e con il cuore in gola chiudo la porta alle sue spalle. Emozioni, ricordi, e ritorno bambina, dentro a un giorno speciale, a casa del nonno. Mi siedo a terra sul tappeto, sono la piccola Gaia, sempre impaziente di ritrovare gli occhi del nonno, il suo abbraccio avvolgente, il suo sorriso, le sue parole talvolta portatrici di un certo mistero. Lui è qui, l’eco della sua voce ritorna nella stanza.

Chiudo gli occhi, vedo con il cuore. Io e il nonno siamo seduti sulla terrazza, guardiamo il mare, abbiamo appena finito di catalogare alcune conchiglie, e anche un bellissimo riccio di mare, di cui mi spiega le caratteristiche: «Questo riccio è femmina, lo si capisce dai colori, viola, rosso, o rosa, talvolta anche blu. I ricci maschi sono neri. Hanno fittissime e lunghe spine: fanno parte del loro scheletro, che si trova sotto l’epidermide. Questo ti sembrerà strano, ma sono invertebrati». Alle mie domande su dove vivevano e cosa mangiavano lui mi rispondeva che i ricci vivevano sugli scogli, ma anche nei fondali rocciosi, in profondità e in zone dove arrivava poca luce. Mi spiegava che i ricci sono erbivori, le alghe sono il loro cibo preferito. Io osservavo il riccio, ormai senza spine e chiedevo dove fosse la loro bocca. La spiegazione del nonno mi aveva colpito molto, ancora oggi la ricordo.

«È una vera particolarità: all’interno del corpo si trova una struttura fatta a placche, che viene chiamata “lanterna di Aristotele”, formata da cinque denti, che il riccio utilizza per raschiare le alghe». Ricordo che domandai chi fosse Aristotele, e cosa c’entrasse una lanterna nella bocca dei poveri ricci marini. Così il nonno molto prima dei miei professori mi presentò il greco Aristotele, come filosofo e uomo di scienza, che descrisse in un suo libro sulla storia degli animali, l’apparato della bocca dei ricci, paragonandolo a una lanterna di corno. Nell’antica Grecia le lanterne erano costruite con cinque sottili placche di corno, che lasciavano passare la luce. Poi gli scienziati moderni decretarono l’apparato della bocca del riccio come la “lanterna di Aristotele”. Io rimanevo affascinata dalle spiegazioni del nonno, e continuavo a fare mille domande, che venivano puntualmente esaudite. Il nonno diceva sempre che il mare raccoglie e nasconde tanti misteri, segreti da svelare, un po’ come a volte ce ne sono nella vita degli uomini.

Mi sono addormentata sul tappeto. Apro gli occhi e vedo il mio bagaglio ancora intatto, e la luce di una dolce mattina d’autunno salire dal mare e riempire la stanza di tenui colori pastello. La colazione è servita nel locale che a casa del nonno era una bellissima veranda, sempre adorna di vasi di fiori e piante verdi. Mi sento osservata, respiro nell’aria una strana tensione. La ragazza della reception, che ieri mi era apparsa tanto strana, stamattina non c’è, forse sostituita del portiere di notte. Non ho voglia di uscire a passeggiare, forse più tardi, nel primo pomeriggio. Voglio ancora stare qui, girare queste stanze, attenta ai cambiamenti che sono stati fatti. All’orizzonte ora avanzano grandi nubi scure, mi affaccio alla finestra della veranda: le onde cominciano a incresparsi, prendere meno luce dal cielo, e farsi sull’orlo schiumose e bianche.

«È in arrivo un forte temporale». Una voce femminile alle mie spalle mi fa sussultare all’improvviso, mi volto, trovandomi di fronte una donna alta e bruna, più o meno della mia età. «Buongiorno, mi presento, sono Anna, con la mia famiglia gestisco questo piccolo angolo di bellezza». Esito un poco, poi anch’io mi presento. «Immagino che sia ospite per la prima volta nel nostro hotel». Alla mia risposta affermativa Anna mi dà il suo benvenuto. «Amo questo luogo, e il mio lavoro». Rispondo che io sono legata particolarmente a tutto ciò che è racchiuso qui. Anna stranamente non fa domande, non chiede il perché. Il nostro dialogo finisce qui. Proseguo per il salottino, dove è allestita un’area lettura, con sedute moderne, in contrasto con le librerie di legno antico che circondano tre pareti, fino a sfiorare il soffitto. Sono tutti i volumi del nonno, avvicinandomi ne riconosco l’odore. Tra pareti di libri, si apre un piccolo vano, dove è conservata la foto di un primo piano del nonno. Era l’ultimo nostro giorno di vacanza insieme, quell’anno il tempo era stato particolarmente clemente e si affacciava un autunno ancora ricco di luce. Io gli feci come sempre la domanda di rito, già carica di malinconia, per la sua imminente partenza e il suo ennesimo viaggio.

«Nonno quando tornerai?». La ripeto adesso, ancora una volta, a bassa voce.

Ed ecco arrivare la sua risposta: «Quando tornerà la pioggia». Di fianco a me qualcuno ha parlato, ha ripetuto la risposta che io avevo nella mia testa! È Anna. Mi porge la mano dicendomi: «Il nonno Anselmo rispondeva sempre così, ricordi?». Non so quanto tempo sia passato, so però che non mi sono ancora ripresa dallo stupore confuso e incredibile di questa sorpresa. «Come fai a sapere queste cose? Chi te le ha raccontate e quando?» le rispondo infastidita. Un lampo inaspettato e insospettato si fa strada, che buca le certezze di tutta una vita, cambiandone improvvisamente l’ordine e la visione. Anna mi spiega tutto. Lei parla e io sto ad ascoltarla incredula, come se quel racconto non mi riguardi, quasi come ascoltassi la trama di un film.

Inconsciamente mi difendo, vorrei tenermi fuori dal cerchio di sentimenti che mi stringe il cuore.

A poco a poco, sto realizzando che la mia famiglia mi ha sempre mentito. Perché il nonno non mi ha detto nulla? Improvvisa la mia reazione, urlata con rabbia ad Anna: «Tu come sai tutte queste cose? Chi te le ha raccontate? Quando? E soprattutto quello che dici è verità?».

Anna è comprensiva e paziente con me, dicendomi che ha saputo da sua madre, l’altra figlia del nonno, nata da una relazione avuta dopo essere rimasto vedovo. Gli accordi tra nonno Anselmo e la figlia erano di mantenere il segreto con tutti, mio padre compreso, fino alla scomparsa del nonno. Anche per Anna, la mia cugina segreta, il nonno Anselmo era stato importante, nel tempo che riusciva a ritagliare per l’altra sua famiglia. Quindi finalmente realizzo che, nella madre di Anna, ho una zia, e in Anna una cugina. Una parte di famiglia, rimasta del tutto sconosciuta per anni. Anna ora è qui, davanti a me, anche lei è la nipote di nonno Anselmo, quella che non venne mai allo scoperto, quella rimasta nascosta, come i segreti del mare, che a volte sono come quegli degli uomini, di cui il nonno mi parlava, ma da buon uomo di mare non ha voluto tradire.

Abbiamo parlato a lungo.
Tutto è cambiato, tutto si aggiorna, non è più vero che non ho legami familiari in Italia. Ora c’è Anna. C’è anche una zia che dovrò incontrare. Quanti segreti svelati in un solo giorno di pioggia, perché anche lei è arrivata. Grosse gocce trasparenti battono sulle vetrate della veranda. Il vento alza la sabbia in mulinelli fatti di polvere color ocra. Le foglie delle palme sono ventagli impazziti contro il cielo. La mia sagoma e quella di Anna si disegnano sulla vetrata mentre diciamo: «Oggi il nonno è ritornato per ritrovarci finalmente insieme». ●

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