“Perché scrivere di guerra? E perché scrivere di guerra a voi, ragazzi e ragazze? Perché la guerra è dubbio, perché la guerra è un esercizio incessante di dilemmi, perché la guerra dovrebbe insegnarci ad ascoltare le ragioni dell’altro. Nei mesi che ho recentemente trascorso a raccontare l’invasione russa dell’Ucraina, mi sono spesso chiesta se ci fosse una formula per poter riassumere a chi non ha mai visto una guerra quale ne sia la natura. L’immagine che lego a questa domanda è riassunta dai binari delle stazioni ucraine nelle prime settimane successive all’invasione. Da una parte c’erano gli uomini che restavano, dall’altra le donne e i bambini che andavano via. Erano ammassati prima sulle scale, in attesa, poi sul binario, quando il treno si avvicinava, e da ultimo si confondevano in un groviglio di corpi che si spingono, allontanando le persone vicine dalle porte di ingresso, cercando di salire per primi. Donne che tenevano con una mano i figli, con l’altra una busta di viveri. (…) Con questo spirito vi consegno le storie e le vite che seguono. Partire da una persona per educarci all’ascolto. Perché la persona che avrete di fronte non sarà sempre simile a voi. Anzi. Ma è proprio dalla diversità, dal tentativo di colmare la distanza, che le persone e dunque i popoli possono avvicinarsi: convivere, anziché farsi la guerra”.
Lo trovate, questo bellissimo saggio di Francesca Mannocchi, nel reparto che le librerie dedicano ai giovani lettori (ai quali regalarlo con speranza). Io però lo consiglio vivamente anche agli adulti.
Libano, Afghanistan, Ucraina, Libia, Iraq e Siria, luoghi del mondo in conflitto, luoghi soffocati da guerre che in parte estranee e in parte intestine, guerre provocate e guerre infiammate. Sono luoghi che conosciamo poco, forse nulla. Non li studiamo a scuola, non ci attraggono: hanno, avevano, tratti, fisicità, lingua troppo distanti da noi. Raramente, e qui bisogna fare uno sforzo di correttezza intellettuale e umana, i conflitti medio orientali ci hanno toccato davvero. Qualche sforzo per denunciare la condizione (dis)umana lo tentavano le organizzazioni umanitarie non governative, Save the Children, Medici senza Frontiere, ma i loro affari, i loro drammi, sono rimasti i loro affari, i loro drammi, lontani dal pacifico e fortunato Occidente. Stiamo imparando in questi mesi, ‘grazie’ a quanto sta accadendo in Ucraina, che nessuno può mai veramente chiamarsi fuori, che il vento di guerra può sembrare lontano, ma soffia e quel soffio provoca ovunque un qualche tipo di cambiamento.
Pensare le guerre solo in modo egoistico è quello che (forse) inconsciamente facciamo. “Si uccidono altrove, fatti loro. Si scannano altrove, fatti loro. Non ci somigliano neanche, vivono mille secoli indietro”. Lo abbiamo fatto a lungo con i paesi del Medio Oriente, figurarci uomini con le mannaie e donne e bambini a piedi nudi e analfabeti: abbiamo scoperto in queste settimane che non è così (basta pensare alle giovani donne della rivolta iraniana). Fino a poco meno di un anno fa gli ucraini erano soltanto le donne che facevano da badanti ai genitori anziani e che venivano a portarci via i mariti di mezza età per mandarli in bancarotta: abbiamo avuto modo di scoprire che non tutto si può rapportare e limitare al nostro punto di vista, alle nostre esperienze, alla nostra posizione sullo scacchiere geopolitico.
In guerra si va tutti e dalla guerra non torna indietro nessuno: questo dovremmo ripetercelo ogni giorno e ogni giorno insegnarlo ai giovani, ai nostri figli. E per insegnare, a noi e agli altri, bisogna conoscere. Non solo date o nomi di campi di battaglia ma la Storia e le storie, il motivo della crisi e come sopravvivono le persone alla cappa soffocante delle decisioni dei potenti. Ecco allora che la bravissima Francesca, con le parole semplici di chi possiede una chiave diretta di lettura, ci porta in quei Paesi, ce li racconta, li fa parlare attraverso le voci di chi la guerra non la sceglie ma non può sorpassarla. Ci porta nei luoghi bui e ci mostra, di questi, le tante luci. Le luci di chi è come noi, come i nostri figli, i nostri studenti.
La pace non è un affare gigante e impastato di utopia, è un esercizio personale e quotidiano che parte dallo studio, dalla capacità di identificarsi, dalla propensione all’ascolto.
Francesca Mannocchi, Lo sguardo oltre il confine, De Agostini
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