Con l’arrosto non sbagli mai dichiara un articolo su Confidenze in edicola adesso. Non è del tutto vero, rispondo io. Perché se c’è un piatto che reputo difficilissimo da portare in tavola è proprio l’arrosto.
Premetto che in cucina me la cavo discretamente, ma senza particolare lode. Nel senso che se vi invito a cena non uscirete da casa nauseate, ma neppure smaniose di riproporre le mie ricette. Di solito molto semplici, di veloce preparazione, indicate per un menu alla buona e non certo per una serata grondante di fantasia ed estro.
Qual è allora il mio problema con gli arrosti, pietanze che più comuni non esistono? Sono anni che me lo domando, visto che da sempre li considero un cibo tabù.
Nei miei ricordi d’infanzia, ci sono pranzi in trattoria con fette di carne tenere come batuffoli di cotone, percorse da nervature di grasso che si scioglievano in bocca. Una vera libidine. Indimenticabile, poi, l’arrosto della mamma di una compagna di scuola, sempre morbidino e saporito al punto giusto.
Impressi entrambi nella mia memoria in modo granitico, nel tempo ho provato a farli anch’io. Ma qualcosa è sempre andato storto. Con una puntualità avvilente.
Ligia alla ricetta come una secchiona prima di un’interrogazione importante, ogni volta ho seguito le indicazioni alla lettera. Dall’acquisto del pezzo di carne più indicato, ai tempi e le modalità di cottura. Eppure, non ho mai ottenuto un risultato soddisfacente.
Nella maggior parte dei casi, le fette, anche se tagliate sottili effetto prosciutto, a me vengono dure come suole di scarpe. Il che significa metterle in bocca e ruminare alla stregua di un bovino per cercare di mandarle giù.
Non va meglio per quel che riguarda il sugo. Il mio, infatti, è liquido come un brodo. Oppure, se aggiungo un po’ di farina, si trasforma in un grosso e unico grumo che sembra un arrostino più piccolo (avete presente la cotoletta di pane che si prepara con gli avanzi di uovo quando si fanno le milanesi?).
Morale, l’arrosto di Albie può essere intriso di liquido, oppure diventare più secco della segatura.
Per non parlare del sapore: infatti, oscilla dal scialbo che di più non si può a un gusto così intenso da far passare la notte attaccati alla bottiglia dell’acqua per placare una sete da deserto.
Tutto questo, fra l’altro, succede se parto con l’idea di una pietanza tradizionale. Ma le cose peggiorano (anzi, precipitano) quando vengo colta da velleità da cuoco stellato. Come farei adesso, stimolata dalle ricette pubblicate su Confidenze.
Difficile resistere alla tentazione di infarcire un arrosto con speck e castagne. Oppure con zucca e salsiccia. Tant’è che non escludo, appena andrò a fare la spesa, di mettere nel carrello tutti gli ingredienti. E di aggiungere anche prugne, funghi e panna con cui improvvisare una salsina di accompagnamento, come suggerisce il giornale.
Dopodiché, è probabile che gli acquisti del supermercato verranno utilizzati per preparare intingoli per la pasta. Perché so già che, refrattaria all’arrosto preparato da me, dimenticherò di comprare magatello, reale di vitello o spinacino. Cioè, l’elemento base della mia pietanza.
Per fortuna, da italiana doc non mi dispiacerà portare in tavola una buona pastasciutta. E lasciare l’arrosto a chi, spero, mi inviterà presto a mangiare il suo.
Ultimi commenti