“Meminisse iuvabit è un delle locuzioni latine più famose ma che meno capita di sentire nella vita di tutti i giorni. È una locuzione bellissima e che ci appartiene nel profondo. A conoscerla o a ricordarsene la useremmo più spesso. Letteralmente significa ‘farà piacere ricordare’, ma non va intesa come il piacere che un bel ricordo ci suscita, piuttosto il contrario: il piacere che deriva da un brutto ricordo. Com’è possibile? Anche questa, come diverse altre, è una locuzione di Virgilio, poeta augusteo. La adopera all’inizio dell’Eneide, quando Enea si rivolge ai suoi uomini, tutti esuli da Troia, e ricorda le disavventure vissute insieme in una specie di lista nera delle peggiori disgrazie nelle quali lui e la sua flotta sono incorsi. ‘O compagni, non ci siamo certo dimenticati dei mali passati, o voi che avete patito male assai gravi, un dio metterà fine anche a questi. Riprendete coraggio e la triste paura cacciate: forse un giorno farà piacere ricordare (meminisse iuvabit) anche queste cose’. Il brano è bellissimo. Enea ricorda Scilla e i Ciclopi, creature mostruose alle quali l’equipaggio è sopravvissuto. Alla luce del contesto comprendiamo come Enea faccia riferimento a dei brutti ricordi: forse un giorno ricordarli procurerà piacere, proprio perché ormai lontani. In effetti, persino i peggiori ricordi possono essere fonte di piacere, un piacere dovuto anche alla situazione di maggiore tranquillità in cui viviamo quando ci tornano alla mente”.
Questo libro comincia purtroppo malissimo ed è un vero peccato. Un vero peccato perché è un gioiello prezioso. A rovinarlo, e a rischiare di fargli male a livello editoriale, è il titolo. Posso però capire l’intento: cercare di sdrammatizzare, cercare di restituire ai tempi contemporanei la vitalità di una lingua che in molti – chi non la conosce – definiscono morta. Massimo Blasi ha creato una cosa wow. Presente tutti quei modi di dire latini che ogni tanto sentiamo o inseriamo in un discorso? Ecco, quelli. Li ha presi e li ha messi, ognuno, a fare da protagonisti ad altrettanti capitoli. Si parte da ab ovo e si arriva – passando attraverso dentro intorno sotto e sopra ex pluribus unum, festina lente, ipse dixit, mens sana in corpore sano, omnia vincit amor, rara avis – a veni, vidi, vici. Per ogni locuzione c’è non solo la traduzione ma la contestualizzazione, la spiegazione grammaticale, la riflessione sul giusto uso che oggi possiamo farne. Il latino è non solo presente nelle radici dell’italiano ma è anche parte della linfa del nostro carattere, del nostro pensiero.
Per attualizzare l’uso dei modi di dire nella seconda parte ci sono tanti piccoli brani, piccole storie ambientate in situazioni a noi vicine: spazi bianchi permettono di inserire la locuzione esatta. Molto divertente anche il gioco/esercizio Scherzi da T9, con alcuni svarioni da correggere. Qualche esempio? Carpa diem, Calenda Carthago, Pupus in fabula.
Il latino è una grande palestra per la nostra mente, un grande tempio per la nostra anima. Una lingua precisa, matematica, poeticissima e tuonante. Parlarlo – anche solo attraverso qualche locuzione esatta – ci rende eleganti, profondi, attuali.
La locuzione che ho scelto tra le tante proposte nel libro, meminisse iuvabit, è un augurio che in questo giorno magico faccio a tutti noi: poter ricordare un giorno i due anni difficili che ci lasciamo alle spalle con una nuova e preziosa consapevolezza di vita, di limiti, di coraggio, di appartenenza.
Ave atque vale! (E, naturalmente, Buon Natale)
Massimo Blasi, Se vuoi essere fico usa il latino, Newton Compton Editori
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