Vi riproponiamo nel blog la storia più votata del n. 1 sulla pagina Facebook
Giorgio è stato uno dei miei grandi amori e forse quello che più mi ha fatto stare male. Eppure oggi sembra che nemmeno mi riconosca. Mi sento invisibile, insignificante. Ma poi la giornata mi riserverà diverse sorprese
STORIA VERA DI DORIANA T. RACCOLTA DA ROSA ROMANO
Sta arrivando il Natale, l’aria intorno è satura di luci e colori e io ho addosso una gioiosa emozione di attesa. Era da molti anni che non provavo una sensazione così leggera e frizzante. È come se, pur senza un motivo particolare, sentissi che queste feste mi porteranno un dono speciale. È un mantra che mi ripeto da giorni e anche stamattina, mentre mi avvio verso l’associazione dove faccio volontariato, mi consolo con questo pensiero.
Entro e saluto gli altri volontari che, come me, sono venuti a ritirare le schede dei servizi da fare: io, per scelta, accompagno con la macchina le persone fragili presso i luoghi di cura e gli ospedali. È un’attività faticosa e meno semplice di come appare, ma a me piace. Soprattutto mi
piace parlare con le persone, ci metto gioia e ottimismo, e questo fa stare meglio anche me.
La prima scheda è della signora Ottavia che deve fare i soliti controlli periodici in ospedale; la seconda è di Giacomo da accompagnare al Cps; la terza è di un uomo da portare in un centro fisioterapico. Per me è un nuovo utente. Chi è? Cerco i suoi dati sulla scheda, ma mi basta il nome per avere un sobbalzo: Giorgio V…. no!
Mi fermo, respiro e rileggo bene. Non può essere lui, mi dico, dopo tutti questi anni sarebbe uno stupido scherzo. Ma nome, cognome e data di nascita mi confermano che non è uno scherzo. È lui. Proprio lui, quello che mi chiamava Do-Ri!
“No,” mi dico. “Questo servizio non lo faccio” e mi precipito da Stella, la volontaria che assegna i percorsi. Le porgo la scheda e senza preamboli le dico: «Scusa ma questo non vorrei farlo, puoi passarlo a qualcun altro?».
Lei guarda me, poi guarda la scheda e scuote il capo. «Non ho nessuno sulla città. L’avevo assegnato a Renato, ma come sai si è ammalato e gli altri volontari hanno tutti servizi fuori le mura». Io taccio, lei mi guarda, io continuo a tacere. Allora lei mi prende la scheda e commenta: «Immagino che tu abbia un motivo serio per non volerlo fare». Fa una pausa, io non rispondo e lei continua. «Va bene, lascia stare, vorrà dire che stavolta Giorgio salterà la fisioterapia…».
«Ma non ha una moglie, un figlio? qualcuno?» chiedo quasi senza pensarci.
Stella scuote il capo. «No, è solo. Completamente solo e, detto fra noi, messo anche abbastanza male. Ha subito un delicato intervento alle anche e ora sta facendo riabilitazione»” L’idea che Giorgio dovrà saltare la fisioterapia per colpa mia mi fa sentire meschina. Nonostante tutto, sono una volontaria. «Lascia stare» le dico alla fine e le riprendo la scheda. Qualche fiocco di neve si è posato sul cofano della mia auto. Sta arrivando Natale, penso a Giorgio e mi sento salire dentro un velo di tristezza e di rabbia. No, non era questo il regalo che mi aspettavo. Non era Giorgio che volevo. Forse in passato sì, ma ora no. Non voglio farmi assalire dai ricordi, ma è inevitabile, il pensiero torna lì, a lui e al periodo in cui siamo stati insieme. Cinico ed egoista, si era preso tutto ciò che potevo dargli e poi, come fa l’ape con il fiore, era passato altrove. Quando mi ero accorta che mi tradiva, gli avevo fatto una scenata plateale e poi l’avevo lasciato. Lui non aveva battuto ciglio, anzi, poco dopo si era messo con Marta la più bella, la più ricca, la più giovane della compagnia.
Guido lentamente e intanto cerco di cancellare il ricordo della sua voce, ma non ce la faccio. «Do-Rì» mi chiamava in tono canzonatorio. Do-Rì e io lo lasciavo dire, anche se il mio nome è Doriana e non mi piacciono i diminutivi.
Sono sotto casa sua, suono il campanello e mi annuncio: «Sono la volontaria».
«Scendo» lui mi interrompe e io mentalmente mi preparo il discorso. Poche parole, staccate, professionali e se lui accennerà al passato e alla storia che abbiamo avuto gli risponderò con un “non parliamone, acqua passata”. Eccolo, è uscito dall’ascensore e cammina appoggiandosi al bastone.
Gli vado incontro, lui mi saluta con un cenno del capo. «Buongiorno» mi dice.
«Buongiorno». Apro la portiera e mi accingo ad aiutarlo. «Grazie, faccio da solo» risponde. Poi, dopo essersi accomodato mi chiede: «Lei è nuova?».
Resto di sasso. Non mi ha riconosciuta.
«No, ma di solito ho altri percorsi».
«E Renato?»mi chiede ancora lui.
«È ammalato» rispondo.
Restiamo zitti per tutto il viaggio e se da un lato mi dico che è meglio perché non sono costretta a rivangare il passato, dall’altro sento il silenzio che mi pungola dentro e acuisce la delusione. Non mi ha riconosciuta. “Che sciocca!” mi dico. “Io che mi ero fatto un film, invece scommetto che se gli domandi chi era Doriana risponde che non ha conosciuto nessuna Doriana”.
Lo guardo attraverso lo specchietto retrovisore, ha il viso stanco, vorrei chiedergli dov’è sua moglie, ma mi controllo. Non è affar mio e poi se non mi ha riconosciuto, anch’io devo comportarmi come se lo vedessi per la prima volta.
«È molto che fa volontariato?» mi chiede lui a un tratto.
«Da qualche anno» rispondo.
«Ma lei è ancora giovane. Non lavora?».
«Sì, lavoro in una scuola serale, così ho tempo per qualche servizio al mattino. Non ne faccio molti, e quei pochi tutti in città» concludo. «Capisco» risponde lui laconico e io taccio di nuovo. Non mi va di raccontargli la mia solitudine che cerco di sconfiggere con questa attività di volontariato. Non capirebbe. Siamo arrivati al centro fisioterapico. Lo aiuto a scendere e involontariamente gli sfioro il braccio. Non provo emozione; è davvero un estraneo, penso, e in qualche modo mi dispiace. «Passo a prenderla fra un’ora» gli dico, guardando la scheda.
Lui fa sì con il capo e io mi allontano.
Ho bisogno di respirare un’aria diversa e di smaltire quel miscuglio di rabbia e di delusione che mi bolle dentro. Così mi fermo in un bar e chiedo un caffè. Controllo il cellulare, gesto inutile, non ho nessun uomo che mi possa chiamare. E intanto il pensiero ritorna
a Giorgio. Possibile che non mi abbia riconosciuta? Sono stata tre anni con lui. Tre anni lunghi e intensi. Almeno per me.
Giro e rigiro il cucchiaino nella tazza. Mi sento piccola, insignificante e poco attraente.
Eppure di cose e sentimenti da dare ne avrei molti. Ma forse non so propormi, sono invisibile, dopo tutto perfino lui, Giorgio, si è scordato di me. Ripenso agli uomini della mia vita. Uno è stato appunto lui, Giorgio, che ho lasciato perché mi tradiva, poi ho avuto altre due storie, tutte finite per consunzione. Non avevamo molto da dirci.
Mi pungola un dubbio. Sono stati loro a stancarsi di me o io a non accontentarmi più delle loro quotidiane certezze? Insicura e senza risposta, per la prima volta mi sorprendo a riflettere su come sono e come forse mi vedono gli altri. E se dipendesse anche da me? Se io fossi refrattaria a stabilire un rapporto continuativo? Se avessi in qualche modo paura di annullarmi in una storia normale, sia pure con alti e bassi, ma tuttavia normale? Un giorno un uomo mi disse che io gli “mettevo soggezione perché davo l’impressione di non essere mai abbastanza contenta”. Risi a quella battuta, ma forse avrei dovuto rifletterci sopra. È quasi passata un’ora e devo andare a riprendere Giorgio. Lo raggiungo in palestra proprio mentre il terapista gli sta dando qualche consiglio. Quando mi vede sorride. «Va molto meglio signora, vedrà che si rimetterà presto» mi dice. Sorrido anch’io, non gli dico che non sono né la moglie né la sorella. Usciamo, Giorgio sale in macchina, è imbarazzato, ma non dice niente. Intanto ha ripreso a nevicare, grossi fiocchi si adagiano sui vetri, aziono i tergicristalli e per alcuni minuti nell’auto si sente solo il loro rumore. Poi, tutto a un tratto, senza alcun preavviso, Giorgio mi chiede: «Mercoledì verrà ancora lei?».
Di nuovo il suo comportamento mi sorprende. «Non so» rispondo, «non definisco io i percorsi dei volontari».
Lui tace. Il silenzio pesa su entrambi, mentre la neve continua a cadere e io sono costretta a guidare più lentamente. Finalmente arriviamo. Lo aiuto a scendere e questa volta mi lascia fare, anzi mi prende la mano e anziché salutarmi dice: «Vorrei davvero che venisse lei mercoledì» poi, senza darmi il tempo di rispondere, continua: «Sul serio mi piacerebbe che venisse lei». Scrolla il capo, mi guarda in viso: «Ho tante cose da raccontare e poi fra poco è Natale» dice e intanto la stretta della sua mano si fa sempre più vigorosa. Ora la sento calda e avvolgente e mi riporta a passate emozioni, ma non rispondo. Lui mi guarda di nuovo, più intensamente; poi china leggermente il capo, che candidi fiocchi di neve hanno imbiancato, e come fosse in preghiera, sussurra: «A mercoledì, sarebbe il più bel regalo. Ci conto Do-Rì». ●
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Ultimi commenti