La chiamano la sindrome della culla vuota e credo che molte donne l’abbiano provata in vita loro. Le più fortunate solo per qualche tempo, prima di coronare il sogno di diventare madri, le altre hanno dovuto imparare a conviverci, spesso cercando compensazione in qualcosa d’altro, un’attività, una passione, che riempisse comunque la propria vita.
La maggior parte di noi ha sperimentato quello strano meccanismo per cui a un certo punto, giunti a una certa età, si desidera un figlio più di ogni altra cosa e questo pensiero, quando non si realizza subito, diventa una fissazione, riempie la mente, seleziona lo sguardo sul mondo. Vedere in giro una donna incinta diventa una pugnalata, scoprire che l’amica aspetta un bambino provoca un senso di sconfitta, più che di gioia per lei, perché ci ricorda la nostra impotenza di fronte alla natura.
Anch’io, oggi mamma felice di un ragazzino di undici anni, a suo tempo provai questa successione di sentimenti contrastanti: il desiderio di diventare mamma, lo sconforto nel vedere che non restavo incinta, gli esami medici da affrontare, i consigli (inevitabili) delle amiche, i “rapporti programmati per”. Poi fortunatamente la natura ha deciso per me, ma se non fosse successo così, mi sono sempre chiesta se sarei stata disposta ad affrontare il percorso della fecondazione assistita. Credo di sì, perché quel desiderio istintivo di maternità che assale, diventa così forte da invaderti la vita e trasmetterti anche una determinazione e forza di volontà tali da consentire di affrontare anche le prove più dure e dolorose.
Ne parliamo sull’ultimo numero di Confidenze nella storia vera di Giovanna Sica “Un bouquet di ortensie azzurre e rosa” che riporta la testimonianza di una giovane donna, Rossella Sorrentino, e del calvario che insieme al compagno Pietro, ha attraversato per sette lunghi anni, per diventare madre.
“Io e Pietro eravamo fidanzati da tredici anni. Da sette, stavamo cercando di avere un bambino. A lungo avevamo sperato che avvenisse naturalmente, ma, mese dopo mese, non succedeva mai nulla. E questo metteva a dura prova il nostro amore. I nostri litigi, le nostre crisi avvenivano sempre a causa di questo grande assente fra di noi”.
E poi ancora: “Non è una passeggiata sottoporsi all’iter della fecondazione assistita: analisi, visite mediche, colloqui con gli psicologi, file agli sportelli che ti rubano le giornate intere. C’era il test genetico da fare: ben 1.200 euro da investire sul nostro sogno di diventare genitori”.
Ma poi c’è la gioia dell’attesa: due gemelli, nel caso di Rossella, e la vita che cambia completamente. “Li aspettavamo. Volevamo questo disordine, questo scompiglio. Il rosa e il celeste negli occhi. Le culle. I biberon. I sonagli e le ninna nanne improvvisate. I giochini sparsi per casa. Perfino i pannolini sporchi, volevamo”.
Insomma care lettrici, il messaggio di Rossella è un invito alle donne a non scoraggiarsi, e a farsi aiutare dai mezzi messi a disposizione dalla scienza. E voi cosa ne pensate a proposito: è giusto forzare la natura con la procreazione assistita. Sareste disposte a fare un’esperienza del genere se fosse necessario?
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