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Tra me e Diego c’è una forte intesa, ma la nostra è una relazione a intermittenza: ogni volta che le cose si fanno più serie, lui si allontana, così il nostro rapporto non può crescere. Gli chiedo una pausa per riflettere. Forse il mio fiuto con lui mi ha tradita?
STORIA VERA DI GIULIA F. RACCOLTA DA SIMONA MARIA CORVESE
«Potresti portare queste casse nel retro, per favore? Grazie» dico muovendomi con circospezione tra gli imballaggi, a un giovane uomo in jeans e giubbotto sportivo che mi si avvicina nel via vai della consegna. In profumeria è arrivata la fornitura di essenze che abbiamo ordinato. Lui mi guarda allibito, poi il suo sguardo si sposta sulle mie scarpe, attirato dal ticchettio che risuona sul pavimento, proprio nel momento in cui il mio equilibrio vacilla. Tende rapido il braccio e mi sostiene un gomito con la mano. «Non so come fai a stare su quei tacchi tutto il giorno» osserva divertito, poi mi lancia uno sguardo così penetrante con i suoi occhi, due gemme verdi, che mi manca un battito. Sono occhi cui non sfugge nulla. Arrossisco e istintivamente prendo le distanze, avvicinandomi al banco. «Comunque, sono qui perché mi hanno detto che i vostri profumi artigianali sono rinomati a Venezia» mi dice guardandosi intorno.
Ho commesso un clamoroso errore: non è un fattorino. Mi scuso, imbarazzatissima.
«Non è nulla» mi tranquillizza, accompagnando le parole con un lieve sorriso sulle labbra sensuali.
È un po’ più grande di me. Sul suo volto abbronzato rughe finissime increspano gli angoli degli occhi, solcando i lati del naso leggermente aquilino. Non mi sono mai sentita così turbata dalla presenza di un uomo e non sono una ragazzina. «Bene, come posso esserle utile?» replico cercando di sostenere il suo sguardo. Lui si china verso il banco, studiandomi e una ciocca di capelli scuri ma lucenti, striati dalle dorature del sole gli ricade sulla fronte.
«Certo che sembra di stare in una gioielleria» mi dice ammirato, guardando le luccicanti teche di cristallo e indicando dei vasi pregiati.
«Sono di Murano» gli spiego con orgoglio. «Anche le confezioni dei nostri profumi lo sono» preciso.
Lui annuisce, poi torna a osservarmi: «Sto cercando un profumo per una donna che mi è molto cara» mi confida con una voce calda e profonda. Dal suo lieve accento straniero capisco che non è veneziano.
«La sua fidanzata?» chiedo, per capire se è una donna giovane o più matura ma provo anche una gelosia immotivata con uno sconosciuto. Lui prorompe in una risata contagiosa e musicale. «No, signora. Sono un giramondo: non ho legami» mi risponde malizioso, spiegandomi poi che è ricercatore a contratto di lingua spagnola, in università e che prima ha insegnato in scuole internazionali in Europa. «È un regalo per mia madre che vive a Barcellona».
Sorrido sollevata e incredula per la mia reazione. «Una donna giovanile?».
«Sì ma soprattutto dolce. Cosa mi consiglierebbe?». Lo invito a spostarci su un altro bancone mentre i veri fattorini finiscono di consegnarci gli scatoloni. Eravamo talmente presi l’una dall’altro che non ci siamo quasi accorti della loro presenza. Con lo sguardo verso la teca e un lieve ticchettio delle mie unghie sulla superficie, rifletto sulla fragranza adatta. Estraggo delle fiale in vetro di Murano, che contengono oli essenziali. «Violette di Spagna» mormoro, poi l’occhio mi cade su un’altra etichetta e ho l’ispirazione giusta: «Rosa? Proviamo questa?». Lui sembra interessato. Si china verso la fiala per inspirarne il profumo, ma è talmente intenso da farlo tossire. «Faccia respiri meno profondi: è essenza pura. Provi così». Lascio che una goccia mi cada sul polso, poi glielo porgo. Nel momento in cui le sue dita affusolate e lisce me lo sorreggono e il suo fiato caldo mi accarezza la pelle, un brivido di piacere mi corre lungo la schiena. Il suo tocco è delicato ma anche fermo e controllato. «Mi fa venire in mente qualcosa di antico, elegante e misterioso: è perfetta per mia madre» mi dice, allontanandosi dal mio polso ma studiandomi ancora. È talmente vicino che per celare l’emozione distolgo lo sguardo.
«Dovrà pazientare fino a domani per averlo, signore, mi spiace» interviene Luca, il mio collega. Si è accorto di tutta la scena e ridacchia. «Il profumo che ha scelto è in uno di questi scatoloni».
«Non c’è problema» risponde lui «Intanto lo ordino». «Che nome devo annotare?» gli chiedo.
«Diego» poi mi da il suo numero di cellulare. «A domani» mi saluta, rivolgendomi un’occhiata furtiva, seguita da un sorriso aperto, quindi esce dal negozio. Luca ha fatto svanire la magia di quegli istanti ma io osservo Diego da dietro la vetrina, mentre si allontana lungo il campo. Sono felice: domani lo rivedrò.
Il giorno dopo Diego arriva in profumeria a pochi minuti dalla chiusura. Acquista il profumo poi m’invita a prendere un caffè, ma io ho un secondo lavoro che mi aspetta. «Senti, domenica accompagnerò una comitiva al Museo del Profumo, a Palazzo Mocenigo. C’è ancora qualche posto libero» propongo.
«Volentieri: solo se tu mi fai da guida» mi spiazza lui. Ci stringiamo la mano ed è fatta.
Al museo, mentre le persone che accompagno commentano le cose esposte con voci tranquille, io ne approfitto per spiegare a Diego le famiglie olfattive dalle quali nascono i profumi.
«Cosa ti ha portato a lavorare in quella profumeria artistica? Il caso o una scelta?» mi chiede. I nostri passi risuonano sul pavimento in palladiana.
«Sono laureata in chimica e specializzata alla scuola profumiera di Grasse. Ho lavorato anche sei mesi in un’azienda che produce profumi di nicchia» spiego. «Quindi con questi oli essenziali e un diploma così prestigioso riusciresti a creare fragranze meravigliose» riflette lui sornione, indicandomi l’antico organo del profumiere in legno intarsiato, sul quale sono disposti ad anfiteatro centinaia di flaconcini di oli essenziali.
«Purché tu non mi metta fretta. Con l’arte bisogna essere pazienti: la sua essenza è delicata» gli rispondo con lo stesso tono scherzoso che ha usato lui.
«Sono un uomo molto paziente» mi mormora con tono calmo e misurato e con il suo lieve accento spagnolo, facendosi serio. Sono ammaliata dai suoi occhi inquieti, nei quali scorgo una fine intelligenza e una passionalità tenuta a bada con sicurezza. La sua voce profonda mi fa accelerare le pulsazioni ma Diego non parla più di profumi: sta flirtando esplicitamente con me. Sono eccitata ma anche spaventata da questo gioco, del quale è lui ad avere il controllo e nel quale io sono la preda.
«Ho fatto un colloquio con una profumeria di nicchia a Roma e uno per lavorare internamente qui a Venezia: anche loro producono profumi artistici. Sono in attesa di risposte» spiego rompendo il silenzio, ancora turbata. Diego mi ascolta, ora rassicurante. «Nel frattempo sostituisco una commessa in maternità». Lui mi sembra sinceramente dispiaciuto. «Intanto continuo a esercitarmi con il riconoscimento olfattivo: quale luogo migliore di una profumeria?».
Diego ride «Cosa farai se non dovessi ottenere il posto?» mi chiede mentre entriamo nello store del museo, ricco di suggestioni.
«Tornerò a Padova da mia madre e accetterò il lavoro nell’agenzia del mio patrigno» gli dico, sfogliando distrattamente un catalogo insieme a lui. «Organizza eventi di lusso in antiche dimore veneziane».
«Non dovresti rinunciare al tuo sogno» m’incoraggia lui.
«Detesto dover accettare il suo aiuto, ma devo pagare affitto e bollette: quando mio padre ci ha lasciati per un’altra donna, la nostra famiglia si è smembrata. I miei fratelli se ne sono andati: sono anni che non ho più loro notizie ma spero che un giorno torneranno». Vedo Diego rattristarsi, ma non c’è pietà nel suo sguardo, nonostante gli abbia presentato il quadro di una famiglia allo sbando.
«Sono anch’io precario ma per scelta e con guadagni molto soddisfacenti» mi confida, poi mi posa una mano sulla spalla, cercando di consolarmi. «Non smettere di lottare». Le sue parole sincere mi sono di conforto ma non risolvono i miei problemi. «Senti, sabato prossimo sono stato invitato a una festa in maschera. Mi accompagni?». Esito. «Coraggio» mi esorta, «ti meriti qualche ora di felicità per evadere da questi momenti di incerta realtà.Vedrai che ti farà bene».
Di fronte al suo sguardo incoraggiante mi pervade un’inaspettata sensazione di calore.
Accetto. «Come sarà la tua maschera, Diego? E io, come devo vestirmi?».
«Scegli tu. Del resto, basterà una semplice scia di profumo per riconoscerci» mi sussurra lui, chinandosi verso di me e sfiorandomi il volto con il suo alito caldo. Diego non indossa profumo in questo momento, ma sa di aria pulita e salmastra.
«E qual’è la tua fragranza?» gli chiedo, usciti da Palazzo Mocenigo, nella nebbiosa serata veneziana.
«È un’amante silenziosa che ti avvolge in un abbraccio indissolubile, come il vero amore» mi risponde, continuando a condurre il suo gioco.
Vado al ballo e trascorro poi la notte a casa sua: da quel giorno siamo diventati amanti e lui è stato molto affettuoso con me. «Sto bene insieme a te, Giulia» mi diceva, abbracciandomi dopo i nostri incontri. «Non ho altre donne, ma non considerare la nostra relazione esclusiva».
Quando mi svegliavo, la mattina, l’altro lato del letto era freddo. Stendevo le dita per cercare il suo calore, ma trovavo solamente le lenzuola impregnate del profumo della sua pelle. Il cielo striato di nubi si tingeva di rosa e le acque del Canal Grande facevano da specchio alle sfumature dell’alba. Tornando a casa riflettevo sulla mia insoddisfazione. L’aria era appesantita dai miasmi dolciastri emanati dall’acqua, lo scalpiccio delle mie scarpe sulle lastre di pietra e il cigolio di qualche imposta mal chiusa alla brezza mattutina erano i soli suoni.
Lo sentivo che c’era un sentimento tra noi, eppure ero entrata in una relazione a intermittenza: quando le cose si facevano più serie lui spariva, poi tornava ancora da me. Cercavo di dare giustificazioni alla sua riluttanza a impegnarsi e desideravo parlare di questa situazione con qualcuno dei suoi amici che frequentavamo, ma non volevo suscitare la pietà di nessuno. Loro si sposavano, ci annunciavano gravidanze e noi eravamo sempre allo stesso punto, senza un progetto per il futuro: uniti dalla passione, ma incapaci di progredire nel nostro rapporto o di lasciarci andare. Ero contenta di partecipare a matrimoni e battesimi, ma ero anche gelosa della felicità altrui. Noi non avevamo messo nulla in comune. Avevamo due di tutto: due letti, due case. «Ho bisogno di una pausa di riflessione» gli dico un giorno, tornando a casa dalla profumeria artistica dove lavoro da ormai quattro anni come creatrice di profumi. Ho continuato a sperare che alla fine lui si sarebbe impegnato con me, invano. Detesto quella parte di Diego che si ostina a frenare i nostri sentimenti, ma lo amo. So che i suoi problemi a impegnarsi risiedono nel suo passato anche se non ha mai voluto parlarmene.
Fino a oggi ho rispettato le sue paure, con amore incondizionato, ma ora sono troppo risentita. Diego non vuole o forse è incapace di venire incontro anche alle mie necessità. «Diego, forse sto sbagliando a rimanere in questa relazione. Io desidero una famiglia, ma non so se tu sarai mai con me in questo» gli rivelo, buttando fuori tutto quello che mi turba da troppo tempo. Lui mi presta tutta la sua attenzione ma non risponde, rimanendo fermo sulla sua posizione. «Forse c’è qualcosa che manca in me e che non ti fa impegnare in un rapporto più profondo» gli dico. «Forse mi pentirò di aver lasciato andare l’amore della mia vita ma so che se resto mi pentirò di aver rinunciato al sogno di diventare madre. Così non mi sento pienamente amata da te» concludo.
«Ti amo, Giulia, stai tranquilla», mi rassicura, «ma non chiedermi di più. Non ancora». Fa fatica a partecipare alla conversazione: è come se non riuscisse a vedere dove ci potrebbe portare il futuro. «Mi dispiace…». Nei mesi successivi ci teniamo in contatto telefonico. Io non sono felice e non m’innamoro di nessun altro. Anche Diego non ha nessun’altra, ma nel frattempo ha raggiunto una posizione stabile in università.
Quando viene a sapere che ho cominciato a frequentare un collega, gli si smuove qualcosa dentro: mi contatta per uscire insieme. «Senti, domenica accompagnerò una comitiva al parco di Villa Mocenigo, ad Alvisopoli. Racconterò la storia della rosa moceniga» gli rispondo. «Mi fai compagnia?». Mi è mancato ma non voglio più dipendere dai suoi tira e molla.
«Non vedo l’ora, Giulia: ho tante cose da dirti» mi risponde emozionato. Quella domenica, passeggiando nel parco, Diego mi rivela tutto quello che non mi aveva mai detto. «Non sono stato onesto con te, Giulia. Quando ti ho conosciuta mi sei piaciuta subito, ma io ero stato appena lasciato da una donna che amavo. Cercavo relazioni transitorie, basate solo sul sesso perché non volevo soffrire ancora. Non accettavo di provare sentimenti per te, ma così ho continuato a soffrire» mi confessa. «Tu mi hai amato incondizionatamente e non meritavi il mio trattamento».
Mi vengono le lacrime agli occhi e mi volto verso un cespuglio di rose per non mostrarlo. «Anche tu meriti di essere amata incondizionatamente e ora io mi sento pronto» mi dice, posandomi una mano sulla spalla per confortarmi.
Diego e io siamo stati amanti delicati e sensibili. Quella passione che ci ha unito per anni non ci è mai bastata. «Anche nella lontananza sentivo di amarti e di essere amata» dico voltandomi verso di lui. «Anch’io» annuisce Diego confermando le mie sensazioni. «Non ho mai riconosciuto il dono che ci ha unito: l’occasione dello spirito. È qualcosa di molto raro, Giulia e spesso non coincide con la presenza fisica».
«Forse ci manca solamente il coraggio di essere felici» sussurro e lui, facendomi scorrere un braccio intorno alla vita, si china verso di me e mi bacia. Inebriati dal profumo delle rose che ci circondano, quel giorno comprendiamo cosa sia l’essenza del vero amore. E cominciamo a fare progetti per il nostro futuro. ●
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