Vi riproponiamo sul blog la storia più apprezzata del n. 21
Da Abele compro le uova fresche ogni giorno. Lui vive in un luogo sperduto, è di poche parole, ma quelle che dice affondano nel mio intimo. Più passa il tempo e più mi accorgo di provare qualcosa per questo affascinante contadino, ma sarà lo stesso per lui?
STORIA VERA DI ALICE B. RACCOLTA DA FRANCESCA STUCCHI
Non rinuncio mai alla passeggiata sul sentiero del Viandante, con la mia cagnolina Luna imbocco la stradina appena sopra casa e m’immergo nella natura. Cinque chilometri di benessere, capaci di disconnettermi dalla quotidianità in cui mi trovo impantanata. In ogni stagione, con qualsiasi tempo, prima del tramonto, cammino. Mi addentro nel bosco inspirandone i profumi, fino a sbucare in un tratto del sentiero a picco sul lago, davanti a me si apre un panorama mozzafiato. Il lago ha i colori del cielo. I raggi del sole riflettono sull’acqua desideri e malinconie. Qua e là, all’ombra dei castagni, viole e pervinche spuntano a gruppi tra le foglie secche e i fili d’erba primaverili, i prati scaldati dal sole sono un delicato tappeto di primule e margherite. È incredibile come la natura si risvegli ogni anno nonostante l’inquinamento, i cambiamenti climatici, la noncuranza e l’inciviltà dell’uomo. È questo il motivo per cui non mi sono ancora trasferita in città. Nonostante i lunghi viaggi che devo fare quasi ogni giorno per lavoro, restare al mio paesino di 2.000 abitanti, tra le montagne e il lago, è ossigeno per i miei polmoni.
Luna conosce la strada e mi precede a passo lesto, sa dove andiamo.
Nello spazio aperto, proprio sotto la grande montagna, c’è il terreno di Abele, un contadino che coltiva piante da frutto e ortaggi di ogni tipo, da cui acquisto le uova fresche. Non so dargli un’età, ha lo sguardo profondo e le braccia forti, abituate a lavorare la terra, abbronzato già all’inizio della primavera. Lo trovo sempre qui, che sistema le viti, prepara il terreno, semina o raccoglie i frutti del suo lavoro. È di poche parole, ma quelle che dice affondano nel mio intimo con decisione e delicatezza.
«Non sei passata ieri» mi dice, ancora prima di salutarmi. Mi ha riconosciuta dal passo ed evidentemente ieri mi aspettava.
«Salve Abele» gli grido dal sentiero, agitando il cappellino. «Ci sono le uova?». Conosco la risposta, ci sono sempre, ma mi piace sentire il suo «Certo Alice, freschissime».
Luna si arrampica lungo il pendio senza problemi, io m’inerpico con un po’ di affanno, per agevolare la salita Abele ha costruito una scaletta con assi di legno fissate con grosse viti di ferro. Arrivo su col fiatone, ma il suo splendido sorriso, tutto per me, ripaga subito la fatica. So che Abele adora questo posto, mi ha raccontato che apparteneva al suo bisnonno e, di generazione in generazione, suo nonno e suo padre se n’erano sempre presi cura. La particolare posizione del luogo riparato dai venti, il clima mite, le mani sapienti dei suoi avi, l’alternanza delle coltivazioni, in quasi 150 anni hanno reso feconda la terra. Una tradizione ininterrotta, finora. Tutto questo, infatti, sarebbe presto finito.
I suoi due figli erano in giro per il mondo, come diceva lui, liquidando così un’ispida questione che evidentemente gli pungeva il cuore. Il maggiore era andato a vivere in Olanda e il più piccolo in America. Avevo provato un paio di volte a chiedergli qualche dettaglio in più su che lavoro facessero, se avessero famiglia, ma dalle sue vaghe risposte avevo intuito che ne sapeva ben poco. Probabilmente non li sentiva da anni. Abele è una delle rare persone che non ha uno smartphone. Dice che non ha bisogno di chiamare nessuno e che, se qualcuno avesse bisogno di lui, saprebbe dove trovarlo. In effetti anch’io vengo qui ogni volta che ho bisogno delle uova e di respirare un po’ di libertà. «Piuma, Lilly, Marine, c’è una bella signora che vorrebbe un vostro dono, che mi dite, l’accontentiamo?».
Le galline esplodono in un corale “coccodè” e Abele, come al solito, esce dal pollaio con un cestino di uova e me lo porge. Ne prendo una, è ancora tiepida. «Ringraziale da parte mia» gli sussurro all’orecchio. Abele ha un animo gentile, so che è sciocco, ma a volte penso che mi piacerebbe essere trattata come tratta le sue galline, con quel tono di voce che sa di rispetto e con quella cura quotidiana che non fa scalpore, ma sa d’amore.
Ha costruito da solo un nuovo pollaio, utilizzando la legna del bosco e materiali trovati nella baracca degli attrezzi. Ci ha lavorato per diversi mesi, dovendo anche modificare il progetto iniziale e apportare diversi correttivi in corso d’opera, ma il risultato è davvero eccellente. Le signorine piumate hanno a disposizione un vero e proprio chalet, con stanza principale, mangiatoia, covatoio e spazio all’aperto ben recintato a prova di volpe. Abele mi ha rivelato che se le galline stanno bene fanno uova più buone e si vede che è disposto a fare qualsiasi cosa per renderle felici. Le tratta con rispetto e ci parla come un vecchio amico. Sono la sua miglior compagnia.
«Prima che arrivassi tu, ovviamente» mi ha confessato con una risata. Quando ride mi si apre un mondo e di riflesso rido anch’io, poi mi vergogno e torno seria.
In effetti da qualche mese vado a trovarlo a giorni alterni con immenso piacere e si nota. Mi sono chiesta se non provo forse qualcosa per lui e forse è vero che l’affascinante contadino mi piace, ma non sono sicura che sia lo stesso per lui.
«Raccontami di te» mi spiazza sedendosi sul prato. Mi siedo sul prato e tiro fuori dallo zaino due succhi di frutta e due fette di torta alle nocciole. Mi sembrava il minimo offrigli qualcosa, molte volte non vuole nulla per le uova.
«Non ho una vita particolarmente interessante, lavoro più che altro». Gli racconto dell’azienda in cui mi occupo di commercio estero, acquisti, vendite, rapporti con i creditori. Semplifico, ma nemmeno troppo, abbassando lo sguardo.
Niente di interessante, questa è, in sostanza, la mia vita. Rare amicizie, nessun fidanzato. L’unica cosa di cui vado fiera è il mio pollice verde. Nel mio luminoso appartamento in riva al lago abitano più piante di quante ce ne siano in una serra. Interro tutto, ghiande, semi di avocado e di nespole, bulbi di tulipani e peonie, curando le piantine che spuntano. Le mie orchidee, dopo lunghi e sonnolenti inverni, rifioriscono periodicamente, come me.
«Vita» riassume Abele in una parola, sfiorandomi il braccio. Sento il mio cuore accelerare e, visto che sono seduta, l’unica spiegazione è che sono troppo attratta da lui. Vita, sì, penso tra me e me, che non assomiglia per nulla a quella che avevo immaginato. Il sole intanto è tramontato e comincia a far freddo. Abele mi porta un pile e si offre di accompagnarmi, visto che si sta facendo buio. Accetto questa volta e anche Luna saltella su due zampe contenta. Sono un po’ stanca stasera ed è un sollievo non dover tornare a casa da sola. Abele si assicura che le galline siano tutte rientrate nel pollaio, chiude il cancello e si avvia per il sentiero. Lo seguo svelta, inciampando e trovando a sorreggermi la sua mano. Un brivido caldo mi sale fino al petto, penso che saranno almeno tre anni che non sto con nessuno, anzi forse anche cinque, non ricordo più. Penso che Abele avrà diversi anni più di me, che forse non abbiamo molte cose in comune. Penso, rimugino, come mio solito. Invece lui mi bacia e accende la sera di magia. Poi mi abbraccia, appoggio l’orecchio al suo cuore, lo sento battere ritmico e rassicurante e calma anche il mio. Senza dire una parola proseguiamo per il sentiero tenendoci per mano, con Luna che fila veloce davanti a noi scodinzolando. Il cuore mi batte all’impazzata. «Anche questa è vita?» provo a chiedere.
«Vita meravigliosa» risponde, strizzandomi l’occhio. Non so ancora se funzionerà questo amore appena nato, ma il tempo che passiamo insieme è il migliore che abbia mai vissuto. Ora vado a trovarlo tutti i giorni, lui mi porge il cestino di uova con un bacio e io, intorno al pollaio, ho creato un giardino fiorito. ●
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