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Su lavoro mi sento sempre poco apprezzata e lo stesso succede con il mio fidanzato. Forse è un problema di autostima, così decido di seguire un corso di teatro tenuto da un affascinante attore. È l’inizio di una sintonia che ci porterà molto lontano
STORIA VERA DI CLIVIA G. RACCOLTA DA SIMONA MARIA CORVESE
«Lei è qui per candidarsi, vero?». Il mio sguardo interrogativo guizza verso il giovane che mi sta di fronte sul prato del giardino all’italiana della storica villa romana dove ci troviamo. Spero in un suo cenno affermativo. «Dipende. Qual è la posizione?» mi chiede guardandomi perplesso.
«Cameriere» rispondo, rimanendo ferma in attesa. Organizzo la festa aziendale e cerco personale di servizio. Il ronzio delle api e il battito d’ali degli uccellini che si bagnano nella vasca della fontana per avere un po’ di refrigerio dalla calura, rompono il silenzio imbarazzante che si è creato tra noi. «Lei non mi conosce, credo» mi risponde ora con un’espressione bonaria. Ha l’aria di uno che si sta divertendo a portare avanti uno scherzo. Al tempo stesso ha un tono di voce rassicurante.
«Sono brava a capire le persone» rispondo ma l’occhiata divertita che mi lancia con quegli astuti occhi grigi, mi fa guardare intorno in cerca di una via d’uscita dalla situazione in cui mi sono messa. Inspiro profondamente per rallentare i battiti accelerati del cuore e sento l’aria del tardo pomeriggio, che profuma di erba appena tagliata e di terra calda. «Ecco…» riprende poi incerto, passandosi una mano tra i capelli fulvi arruffati che gli contornano il volto dai tratti armoniosi. Capisco che è in imbarazzo per me. Questo m’inquieta ancora di più: sta soppesando le parole per non mettermi a disagio. Si avvicina e si sporge goffamente verso di me, con le mani nelle tasche dei jeans: «Preferisco il teatro». Lui, che prima aveva guardato altrove mentre mi ascoltava, per non mettermi eccessivamente a disagio, ora mi sorride cauto e garbato. «E mi sta veramente tentando con la sua offerta ma…». In quel momento un ragazzo ci passa accanto. Gli lancia il copricapo del Cappellaio Matto e lui lo afferra al volo. «Raggiungici nei camerini per il trucco, Fabio!» dice. Il tema della festa è Alice nel paese delle meraviglie e una compagnia di attori professionisti l’animerà domani sera. Ormai consapevole dell’equivoco, divento rossa fino alle orecchie. «Lei è un attore?» chiedo con un filo di voce.
Lui annuisce «Esatto». Fa una pausa, mi percorre con lo sguardo poi si presenta con un sorriso che mi fa battere forte il cuore nel petto. «Sono Fabio, il vostro Cappellaio Matto».
«Molto lieta», rispondo porgendogli la mano. «Sono Clivia e collaboro all’organizzazione della festa aziendale».
«Ci vediamo, allora» mi risponde con uno sguardo aperto, ma non mi sfugge la sua occhiata di apprezzamento.
Lo seguo con lo sguardo mentre si allontana sul prato e sorrido, pensando a quanto sia meravigliosa la sua voce bassa e profonda. Alzo la mano per filtrare la luce e osservo la bellezza del cielo al crepuscolo. Poi chiudo gli occhi per assorbire gli ultimi raggi di sole, pensando che c’è stato qualcosa di magico nel nostro incontro.
«È colpa tua se ti lasci trattare così: fai la parte del leone al lavoro ma accetti che i tuoi colleghi si prendano il merito, avendo fatto poco o nulla» mi accusa una mia amica mentre ci avviciniamo al buffet in giardino. Cerco di negare, ma lei incalza «Tu accetti la loro ingratitudine come se fosse una cosa normale.
Licenziati e vieni a lavorare nella mia agenzia di organizzazione eventi». «Hai ragione, Lara: mi sento sottovalutata ma non so cosa manchi veramente alla mia vita» le rispondo senza pensarci troppo. Mi sono focalizzata fin troppo sulla soluzione di questo problema, ma questa sera non ho voglia di parlarne.
«Allora iscriviti al corso di recitazione che frequento. Potrebbe darti più sicurezza. L’insegnante è Fabio» mi dice porgendomi un tramezzino, dopo essersi fatta largo tra la folla vociante accalcata intorno alla tavolata.
«Chi? Il Cappellaio Matto?», grido senza accorgermene per sovrastare la confusione, poi addento il sandwich.
Lara annuisce: «Questa sera ha sostituito un amico, ma Fabio è molto più di un animatore. Tiene corsi di recitazione, lavora per le scuole, ha interpretato parti anche in Inghilterra. È bravissimo!».
Si guarda intorno tra la moltitudine di invitati intenti a ridere, conversare e farsi scattare foto insieme ai personaggi di Alice nel paese delle meraviglie, poi lo individua e richiama la sua attenzione. «Ciao, ti stavo giusto cercando» mi dice disinvolto, togliendosi il cappello dalla testa. «Sei bellissima con quell’abito». Il suo sguardo indugia nel mio, scorrendo con ammirazione lungo tutta la mia figura, poi sulle braccia abbronzate e nude, adornate da due sottili braccialetti d’oro. Io sento un rossore insinuarsi sulle mie guance. Il codice d’abbigliamento della festa è bianco o rosso per le donne e nero per gli uomini. Io indosso un semplice tubino di lino bianco, senza maniche, lungo fino al ginocchio.
«Clivia si unisce al tuo corso di teatro. Fai un buon lavoro con lei: ne ha bisogno, più di quanto creda» s’intromette Lara disinvolta, poi se ne va, lasciandoci soli.
«C’è un chiaro di luna stupendo stasera», mi dice Fabio mettendomi a mio agio «facciamo una passeggiata?». Accetto, trovando anch’io naturale dargli del tu e ci incamminiamo verso il vialetto. Alzo lo sguardo e, attraverso un groviglio di rami di pino marittimo, vedo la luna alta in un frammento di cielo, incrostato da miriadi di stelle scintillanti. Socchiudo gli occhi e lascio che la sua luce dorata passi attraverso le mie ciglia.
«Non vorrei essere indiscreto, ma poco fa ti ho vista parlare con il tuo capo e delle colleghe». Mi fermo, riapro gli occhi e noto il suo sorriso incoraggiante che gli arriva fino agli occhi.
«Lui è anche il mio fidanzato» gli rivelo ma Fabio non mostra sorpresa.
«Ti hanno trattata con condiscendenza e ti hanno messa da parte» mi dice schietto.
M’irrigidisco, incrociando le braccia e facendo un passo indietro aumentando la distanza tra noi. Vorrei andarmene ma non posso. Un colpo d’aria mi fa impigliare i capelli scuri nella perla di uno degli orecchini. Fabio ha percepito la mia insicurezza ma fa finta di niente. Mi libera la ciocca poi mi sfiora la schiena con la mano, giusto il tempo d’invitarmi a riprendere a camminare e di provocarmi un brivido di piacere. «Ho organizzato io questa festa, nella speranza di essere promossa, ma la posizione è stata data a una collega del mio team, più brillante e più bella di me» gli rispondo delusa, scuotendo la testa con disapprovazione.
«Mi dispiace, ma non avresti dovuto permetterle di prendersi il merito del lavoro, come mi ha spiegato Lara» ribatte lui, con un filo di rimprovero mentre ci avviciniamo alla fontana.
La brezza che aveva increspato le sue acque è caduta, riducendole a uno specchio, nel quale si riflette la luna, ora d’argento. Fabio ha centrato il problema, ma questo non mi solleva l’umore.
«Quello che faccio non viene mai riconosciuto nella misura in cui ho contribuito al lavoro» rifletto ad alta voce guardandolo.
«Se te ne rendi conto sei già a buon punto» mi risponde, ora con un tono caldo e premuroso.
L’aria si è levata di nuovo, solleticandoci con profumi di gelsomino e agrumi. Andiamo verso il giardino dei limoni lasciandoci alle spalle il gocciolio della fontana e il tenue bagliore bianco proiettato dal chiaro di luna sul sentiero di ghiaia. Avvolti nell’abbraccio di quella calda notte, respiriamo la pace e la bellezza del luogo, accompagnata dal fruscio delle foglie delle palme, smosse dal vento.
«Mi sono concentrata troppo sul servire l’azienda, perdendo il contatto con i miei desideri» ammetto con rimpianto mentre entriamo nella sala della musica, al piano nobile della villa. Il mio capo è intento a conversare con una collega e non ha minimamente notato la mia presenza. Mi allontano da lui dirigendo verso il balcone.
«Allora sai cosa devi fare ma devi far chiarezza nei tuoi desideri» mi sussurra Fabio flirtando e chinandosi verso di me. I suoi occhi vedono tutto e non gli è sfuggita la scena.
Dal terrazzino ammiriamo lo spettacolo delle luci di Roma che palpitano nel buio, mentre dall’interno risuonano le note della Sonata al chiaro di luna di Beethoven, eseguita al pianoforte. Nonostante il mio ragazzo mi stia trascurando, in questo momento percepisco la connessione emotiva che unisce Fabio e me: inspiegabilmente mi sento come un’amante che s’incontra al chiaro di luna per un appuntamento proibito.
L’aria fresca notturna mi scivola sulle braccia nude e mi fa rabbrividire.
«Vieni, rientriamo» mi dice gentile Fabio, sfiorandomi la spalla con la sua mano calda.
Qualche settimana dopo sono soddisfatta del corso di recitazione che Fabio tiene in un piccolo teatro. Sto imparando velocemente, mi sento più spigliata e sicura di me. Mi ha affidato la parte di Miranda ne La tempesta di Shakespeare che stiamo provando. Quella sera sul palco lui è Ferdinando, alle prese con i ciocchi di legno che il mago Prospero gli ha ordinato di spostare. Un tecnico nella cabina di controllo per l’illuminazione e il mixaggio audio ha acceso le luci appese al soffitto.
Dei riflettori evidenziano varie parti del palco, oltre ai fondali e le scenografie che stanno alle nostre spalle. Ci muoviamo in piena sintonia e quando nella parte di Miranda gli chiedo se mi ama, lui, Ferdinando, mi dichiara il suo amore, porgendomi la mano. La prendo, ipnotizzata dai suoi occhi attenti e comprensivi e una scarica elettrica mi percorre il braccio. I suoi respiri si fanno ampi e profondi e ammutoliamo come se avessimo dimenticato le battute. Riprendo il controllo e dopo qualche parola, esco di scena con il sottofondo di effetti sonori. Altri attori che parlano e si muovono a bordo palco applaudono la nostra performance. Fabio e io andiamo a sederci in prima fila per osservarli ma lui è distratto. «I tuoi genitori saranno orgogliosi di te» dico con ammirazione. È talmente bravo che poco fa, mentre recitavamo ho avuto l’impressione che provasse veramente sentimenti per me. Recitava o era sincero?
Lui tossisce poi si schiarisce la gola. «La mia famiglia mi ha fatto pressioni in passato. Volevano che frequentassi la scuola alberghiera per poi lavorare nel nostro ristorante. Ho tradito le loro aspettative» mi dice abbassando lo sguardo sulle sue mani. Lo guardo, addolorata per i sensi di colpa ingiustificati che prova. «Mi sono allontanato da loro e mio fratello non me lo ha perdonato. Diceva che mi comportavo come uno che ogni tanto si ricorda di avere una famiglia». Non esprimo giudizi e mi sporgo verso di lui per ascoltarlo, senza interromperlo. «Quando mia madre si è ammalata lui si è sentito solo a lottare per tenere aperto il ristorante e contemporaneamente badare a lei. Quando sono tornato per il funerale, ci siamo rinfacciati cose che non avremmo dovuto dirci. Sono stati momenti duri e rimpiango di avergli detto cose che non pensavo». Io lo guardo con comprensione. «Tranquilla, abbiamo risolto le nostre incomprensioni. Lui mi ha detto che è orgoglioso di me e che anche mamma lo era» precisa, rasserenandomi.
Passiamo dalle costumiste per fare la prova degli abiti di scena poi usciamo per tornare a casa. «Vieni, ti do un passaggio. Ti andrebbe di mangiare qualcosa prima?» mi dice. La mia auto è dal meccanico, così accetto. Di lì a poco siamo sul suo fuoristrada, diretti al ristorante di suo fratello. Il passaggio dal caldissimo parcheggio all’auto fresca è rigenerante.
Al ristorante ci sediamo a un pesante tavolo di legno. «Il pollo arrosto è la loro specialità» mi confida Fabio quando lo ordiniamo. Mentre aspettiamo, noi riprendiamo a conversare. «Come vanno le cose con il tuo fidanzato?».
«Non è cambiato in nulla» rispondo. «Continuava a prendere decisioni anche per me. Sul lavoro metteva sistematicamente da parte le mie idee» continuo. Sento lo sfrigolio del cibo portato direttamente dalla cucina e non vedo l’ora di mangiare. Fabio annuisce attentissimo, invitandomi con lo sguardo a continuare.
«Ho combattuto per rimanere positiva, anche se non ero apprezzata. Volevo dire no a quella situazione, ma lui è anche il mio capo: temevo d’indisporlo. Volevo essere accettata e provavo risentimento per il trattamento che ricevevo. Frequentare il tuo corso mi ha dato sicurezza, ho capito che avevo una relazione con una persona che non andava bene per me». «Avevo?» m’interrompe spalancando gli occhi, incredulo.
Appoggiandomi allo schienale della robusta sedia, gli sorrido. «Non apprezzava le mie qualità ed era manipolatore ed egoista: l’ho lasciato e ho accettato il lavoro nell’agenzia di eventi di Lara. Non ce l’avrei fatta senza il tuo aiuto, anche se inconsapevole».
«Noi due siamo una bella squadra» mi risponde con un dolce luccichio negli occhi. È una serata piena di sorprese «Una compagnia teatrale di Londra mi ha affidato la parte di Petruccio ne La bisbetica domata di Shakespeare», mi prende la mano e me l’accarezza. «Questo significa che la sera che manderemo in scena La tempesta forse non reciterai con me» mi rivela dispiaciuto.
«Non puoi rinunciare a un’opportunità così, Fabio» lo esorto, mostrandogli la mia approvazione. Questa notizia mi ha rattristato. Lo perderò, anche se abbiamo capito di aver scambiato per amicizia un sentimento più profondo. Amare significa lasciare liberi. La sera del nostro spettacolo però, a sorpresa, Fabio sale sul palco. «Ho preso la giusta decisione. Non è più importante andare a Londra» mi dice.
«Non ci posso credere che tu l’abbia fatto» mormoro facendo un passo indietro, sbalordita, vicino alla pesante tenda che sta per aprirsi sul palco.
«D’ora in poi voglio stare dove sei tu. Ti amo, Clivia».
Mi alzo in punta di piedi e gli sussurro a fior di labbra: «Anch’io, Fabio», prima che lui mi baci. Da quel giorno siamo una coppia: uniti in una sola entità ma distinti e liberi di essere noi stessi. ●
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