La trama – New York, autunno 2002. Liat è nata e cresciuta a Tel Aviv, fa la traduttrice e la glottologa e si trova negli Stati Uniti grazie a una borsa di studio. Hilmi è un pittore che vive a Brooklyn, è cresciuto a Hebron ma viene da Ramallah. Tra di loro è amore, subito. Con una data di scadenza: la borsa di studio di Liat terminerà la primavera successiva: il 20 maggio un volo la riporterà a casa sua. Una casa non lontana da quella di Hilmi. Due case vicinissime, irraggiungibili. A dividerle prima una Linea Verde immaginaria, poi un muro. Ma intanto c’è New York, la metropoli che nonostante l’attentato del settembre 2001 continua a gridare ‘libertà’. Liat e Hilmi possono amarsi. Ma se il muro che divide la storia non riesce a separare i cuori dei due giovani a creare una distanza siderale tra loro è il senso di appartenenza: due popoli nemici.
Un assaggio – Per tutta la sera ho tenuto il telefono vicino, lo tenevo d’occhio, ma Hilmi non ha chiamato. La sera successiva, dopo aver aspettato sino all’una, ho preso coraggio e l’ho chiamato io. Mi ha parlato di Ramallah, mi ha raccontato di quanto era cambiata dal ’99, da quando era partito. Mi ha raccontato delle tracce dell’Intifada che si vedevano ovunque, della distruzione, degli uomini armati, dei poster dei «martiri», dei volti velati che si erano moltiplicati, delle moschee gremite, della disoccupazione, dei poveri e dei mendicanti, dell’atmosfera di disperazione, della stanchezza. E del muro. Mi ha raccontato del muro che Israele aveva cominciato a costruire in Cisgiordania, il muro di cui avevamo sentito parlare già durante l’inverno, lui con preoccupazione e io con sfiducia, mentre adesso ce lo aveva sotto gli occhi, alto e concreto, e me lo descriveva sconvolto: un muro di cemento grigio che si estendeva come una brutta cicatrice fra le colline, attraversando paesi e piantagioni. «Ma qui dicono che è una recinzione», ho balbettato. Ed è subito seguito il suo sbuffo di disprezzo, vicinissimo al microfono: «Recinzione…»
Leggerlo perché – Dal pomeriggio di un sabato di metà novembre in cui si incontrano per caso al bar Aquarium tra la Nona e la Sixth Avenue al giorno di maggio che li separerà scorrono non sei mesi ma qualcosa che ha un sapore e una consistenza diversa da quella del tempo. L’incompatibilità che rende nemici israeliani e palestinesi costituisce il Dna di Liat e Hilmi e l’autrice è molto brava a raccontare quello che in genere non viene raccontato. Un giorno un popolo guidato da una promessa divina ha raggiunto la terra indicata. C’era già qualcuno, lì. Ma la promessa di un Dio è più grande e più forte dei diritti terreni, delle precedenze, delle radici altrui. Liat è israeliana. Hilmi è palestinese. Liat ha dalla sua la solidarietà di gran parte del mondo e un carattere forte, poco paziente, determinato. Hilmi ha dalla sua la forza, di fronte all’arroganza degli Scacchisti della geopolitica furba e ‘divina’, di dire no. Dorit Rabinyan ha scritto un romanzo che racconta una storia d’amore. Una storia d’amore fatta di incastri perfetti, di profumi comuni, di tramonti identici, di incolmabile distanza. Liat e Hilmi si amano. Ma Liat è al di qua e Hilmi è al di là della Linea Verde, del muro, della storia, dell’odio. Le autorità israeliane hanno bandito questo titolo dalle letture consigliate nei licei dello Stato-nazione. Ovviamente Borderlife è diventato un bestseller.
Dorit Rabinyan, Borderlife, Tea
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