Per anni non ho più messo piede al Conero, un luogo che associavo a momenti felici ma anche a troppe sofferenze. Poi ho capito che sono le persone a fare la differenza, non i posti
Storia vera di Rosalinda S. raccolta da Roberta Giudetti
A un certo punto della mia vita ho iniziato a odiare il mare. Associavo all’estate e al profumo del mare tutto quello che di più triste mi fosse capitato. E pensare che da bambina adoravo le vacanze al Conero insieme a mamma e papà. Ma quella era un’altra Rosy. A un certo punto abbiamo smesso di essere una famiglia felice e anche di andare al mare.
Verso i 12 anni ho iniziato a trascorrere le vacanze estive dai nonni materni, in montagna, dove mi sentivo più sola che mai. Non avevo amici, non conoscevo nessuno. I miei mi spedivano lì come un pacco in quel paesino dove vivevano sì e no 300 anime. I nonni cercavano di coinvolgermi, ma io odiavo tutto della mia forzata permanenza in quel posto. Mamma arrivava puntuale durante la prima settimana di agosto per poi ripartire dopo Ferragosto.
Papà non veniva mai dai nonni, diceva che in quel posto, secondo lui, Silvio Pellico aveva scritto Le mie prigioni. Non mi faceva affatto ridere. Aspettavo solo che arrivasse settembre e mi riportassero a casa. Avrei voluto che il tempo tornasse indietro alle belle estati passate tutti insieme sul Conero, ma nulla era ormai come una volta.
Da quando era nata Beatrice poi, era stato anche peggio. Avevo sperato che l’arrivo inatteso della mia sorellina portasse una tregua in famiglia, invece no. Non passava giorno senza che i miei genitori litigassero. Allora avevo 15 anni e Bea era un fagottino che piangeva notte e giorno. Non avevo nessuno con cui confrontarmi. Li guardavo e cercavo di ricordarmi quando fosse stata l’ultima volta che li avevo visti scambiarsi un bacio o un gesto di tenerezza. Un giorno avevo affrontato mia madre e glielo avevo chiesto.«Perché tu e papà litigate sempre?» avevo domandato ingenuamente.
«Ormai tesoro mio sei abbastanza grande per capire che io e tuo padre non ci amiamo più».
«Ma come? E Bea allora? Perché avete voluto un’altra figlia se non vi amate più?».
Lei mi aveva folgorato con lo sguardo.
Quando alzavano troppo la voce, mi rifugiavo in camera e mi tappavo le orecchie. Mi ripetevo che non sarei mai diventata come loro. Avevo 17 anni quando mamma e papà decisero di separarsi. Io andai a vivere con papà e Bea con la mamma. Una decisione folle ai miei occhi, che non avevo capito ma che avevo dovuto accettare ugualmente. Ero devastata, tanto che al liceo non superai l’anno e venni bocciata.
Quell’estate non andai in montagna dai nonni. Papà mi mise su un treno per Ancona e mi spedì a casa di nonna Annamaria, in un paesino di mare nelle Marche dove eravamo stati qualche volta durante le nostre vacanze al Conero. Alla stazione avevo aspettato quasi un’ora che mi venissero a prendere. Ero già in lacrime quando alla fine era apparso Giulio.
Si presentò come un cugino alla lontana. Di brusche maniere ma bello come un dio greco. Aveva 20 anni, la pelle bruciata dal sole, le mani piene di calli nonostante la giovane età. Iniziavo a capire cosa significasse essere travolte da un colpo di fulmine. Ogni volta che incrociavo il suo sguardo sentivo il cuore schizzarmi fuori dal petto e cominciavo a sudare talmente tanto che mi grondavano le mani.
Al mio arrivo nonna Anna era stata davvero affettuosa, mi aveva mostrato la mia stanza, mi aveva preparato le olive ascolane ma appena si era accorta di come guardavo Giulio mi aveva rimproverata.
«Senti, sono contenta di averti qui, sei mia nipote, sangue del mio sangue, ma vedi di rigare diritto. Spero che tua madre non abbia fatto danni. La mela non cade mai troppo lontana dall’albero».
«Certo nonna… Ma cosa c’entra mia madre?». Nonna Anna non mi aveva nemmeno risposto. Era chiaro che fosse arrabbiata con lei. Come darle torto?
Da quando se n’era andata con Bea, riuscivo a vederla sì e no una volta al mese. Con papà non si parlava nemmeno più. Sembrava che non le importasse più di me, di noi. Aveva un nuovo fidanzato ed era davvero felice. Tuttavia negavo l’evidenza nella speranza che un giorno tutto si sarebbe sistemato e che i miei genitori sarebbero tornati insieme. Mi ostinavo a sognare ancora le vacanze al Conero di quando ero bambina.
Quell’estate però smisi di sognare, da un giorno all’altro. Ci pensò Giulio a svegliarmi. Con lui posso dire di essere diventata adulta. Non è stato né bello né magico. Passavamo molto tempo insieme. Io ero letteralmente stregata da lui. Oltre ad avermi raccontato tutto quello che sapeva su mio padre e mia madre, una sera di luglio, dopo il tramonto, passeggiando a piedi nudi sulla spiaggia si era fermato e a un tratto mi aveva baciata.
Attendevo quel momento da settimane, eppure mi ero sentita strana, fuori posto. Volevo andare oltre, ma allo stesso tempo sentivo che non era il momento. Credevo di essere innamorata di Giulio ma non mi rendevo conto di cosa stessi facendo. Di fronte alla mia esitazione, lui si era innervosito. «Insomma, sono settimane che mi muori dietro e ora fai la preziosa?».
«Ma no è…».
«Cosa? Lo vuoi fare o no?».
E così, mentre la sabbia mi si appiccicava ai capelli e le mani di Giulio mi toccavano senza darmi alcun piacere, mentre le onde si infrangevano sulla battigia e nel buio scorgevo le luci di una barca in mare, ho vissuto la mia prima volta. Più o meno. Ero paralizzata, non sapevo cosa fare, ma non volevo nemmeno deluderlo, dirgli di no. Giulio era affannato, cercava nelle tasche un preservativo. Io volevo solo che quel momento passasse.
Alla fine, brontolando che di ragazze ne poteva avere quante ne voleva, visto che io non collaboravo se n’era andato, senza finire quello che aveva cominciato.
Mi ero sentita sollevata ma anche mortificata. Ovunque andassi, mi sentivo sola.
Per tutto il tempo che sono rimasta a Porto Piceno, ho evitato di rivedere Giulio. Sono stata chiusa a casa di nonna a studiare e a rimuginare sulla mia vita. Da quel momento ho iniziato a detestare l’idea di tornare al mare. Il viaggio verso casa è stato penoso.
Ormai sapevo che quelle liti fra i miei genitori erano dipese da un tradimento e ora avevo la certezza che Bea non fosse figlia di mio padre. Il mio affetto per lei non sarebbe cambiato ma capivo molte cose.
Quando sono stata a casa ho giurato a me stessa che non sarei mai più tornata in quel posto, anzi, che non sarei più andata in vacanza al mare. Mi sono anche ripromessa di non innamorarmi mai più. Così è stato.
Mi sono diplomata con il massimo dei voti anche se con un anno di ritardo, poi mi sono iscritta all’università. Non ho più avuto un ragazzo, ho alzato un muro attorno a me, una fortezza inespugnabile attorno al mio cuore.
Quando mio padre si è fidanzato con una donna conosciuta in vacanza e mi ha comunicato che sarebbe andato a vivere vicino a nonna Anna, non ho battuto ciglio.
«Lo so, sarebbe un cambiamento troppo grande per te, ma se vorrai venire io ne sarei felice. Lucia è speciale».
«E dove andrai precisamente?».
«A Numana, al Conero. I suoi hanno un albergo e un ristorante, li aiuterò nella gestione».
«Cos’è uno scherzo?».
Papà mi aveva guardato senza capire. A me era sembrata una beffa del destino. Gli avevo dato la mia benedizione e dopo qualche mese lo avevo visto partire.
Avrei potuto a questo punto andare a vivere con mamma, il suo nuovo compagno e Bea, ma ero grande, sapevo di potermela cavare da sola. Mi sono laureata, ho trovato un lavoro. Per due anni ho rifiutato tutti gli inviti di mio padre a raggiungerlo almeno durante l’estate.
«Vieni dai, lo sai che qui il mare è stupendo».
«Me lo ricordo» rispondevo. Mi ero ripromessa però che non sarei mai più andata al mare, tanto meno nel posto dove ero stata felice da piccola.
Poi mio padre e Lucia hanno deciso di sposarsi. Papà è venuto a prendermi, non sono riuscita a dirgli di no. Tornavo al mare dopo dieci anni. Tornavo al Conero che avevo sognato a lungo e che da bambina aveva accolto i miei giorni più spensierati. Ero certa che avrei odiato tutto di quella breve vacanza: la nuova moglie di mio padre, lui, quel posto. L’odore pungente del mare. La cerimonia, il ricevimento, gli invitati. C’era nonna Anna, che rivedevo dopo quella terribile estate in cui avevo perso del tutto la speranza nel genere umano. E nonna era accompagnata da Giulio.
Al primo sguardo, era stato come tornare indietro di dieci anni, un tuffo al cuore e tanto imbarazzo. Poi tutto aveva preso un’altra piega. Non ero più la ragazzina sprovveduta di quei giorni. Nonna era davvero felice di riabbracciarmi. Giulio sembrava non ricordarsi di me.
A un tratto, tutto quel rancore che avevo coltivato per anni, non aveva alcun senso. Il passato era passato.
Me ne rendevo conto finalmente in quell’istante.
Ero andata avanti, apparentemente, eppure era come se fossi ancora ferma a quei giorni, quando i miei si erano separati, quando mia madre non mi aveva tenuto con sé, quando Giulio non mi aveva amata come avrei desiderato. Quando credevo che l’amore è solo dolore.
Il tempo lenisce e cambia le prospettive. Le persone cambiano e si concedono nuove possibilità. Smettono di amare, ma si rimettono anche in gioco.
Alla fine il mare mi ha guarita. In quei giorni ho imparato che è inutile cercare di programmare il proprio futuro e soprattutto far dipendere la propria vita e la propria felicità dagli altri e ancora di più da un posto. Lucia, la nuova moglie di mio padre è una donna stupenda: buona, gentile, sincera. Mio padre è rinato.
Dopo tanto tempo sto davvero bene e mi sento a casa. Ho capito finalmente che non sono i luoghi, ma le persone di cui ti circondi che fanno la differenza. Ho atteso l’alba e sono andata a nuotare. Ho abbracciato il sole nascente e una consapevolezza tutta nuova di poter essere felice. E ho respirato forte il profumo del mare. ●
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