Cuore di nonna

Cuore
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Per la festa dei nonni vi proponiamo una storia vera a tema, con gli auguri a tutti i nonni

Mia nipote Lucrezia, cinque anni, è la mia ragione di vita e sarei disposta a fare di tutto per lei. Così quando la vedo triste perché ha perso il suo orsetto, mi lancio in una follia

 

storia vera di Graziella L. raccolta da Maddalena Giuffrida

 

Mi chiamo Graziella, ho 75 anni e le mie gambe sono come gelatine, molli e instabili. Quando sono in casa mi aggiro per le stanze come se cercassi l’equilibrio su una zattera in mezzo a un mare agitato. Il mio medico non è riuscito a trovare una soluzione per il mio problema, se non consigliarmi l’uso di un bastone per non perdere l’equilibrio.

A me non piace uscire reggendomi su un pezzo di legno, mi fa sentire vecchia, ma per fortuna riesco ancora a guidare e a sentirmi autonoma e al sicuro sul sedile della mia macchina.

Il problema, semmai, è arrivare fino al parcheggio dell’automobile, cercando di mantenere un’andatura elegante e dignitosa, cosa che mi riesce piuttosto male da quando cammino tenendo le gambe larghe per non barcollare.

Quando si diventa vecchi è come se si tornasse neonati e non ci si regge più in piedi. A un certo momento, le cose cambiano e le gambe diventano tremolanti. Da giovane le gambe mi tremavano per altri motivi, ben più appassionanti e romantici. Quando mio marito Luigi mi baciava, mi sentivo mancare sì, ma che meraviglia!

Mia nipote Lucrezia, cinque anni e una parlantina da influencer, si diverte un mondo a imitare la mia andatura che è tutto un “balla balla”. Io sto al gioco solo per vedere i suoi occhi brillare di gioia bambina mentre improvvisiamo un incerto e barcollante twist.

La nascita di Lucrezia ha illuminato la mia vita diventata improvvisamente silenziosa e solitaria dopo la morte di Luigi e l’ha riempita di giochi e calde carezze. Con lei ho scoperto una parte tenera di me che non conoscevo, come se la piccola Lucrezia avesse avuto il potere di sciogliere magicamente certe asperità del mio carattere. Tutti gli abbracci che non ho dato a suo tempo a mia figlia Gianna, li ho riservati per Lucrezia. Non sono stata una madre anaffettiva, semplicemente la mia è stata un’educazione marziale, dove non c’era posto per il conforto delle carezze.

Oggi, però, Lucrezia non ha il suo solito sorriso ed è stranamente silenziosa.

«Che cosa è successo, Lucrezia? Come mai questo muso lungo?» le chiedo dopo un paio di minuti di ermetico mutismo.

Mia figlia Gianna la stringe a sé, accarezzandole i morbidi capelli biondi, e Lucrezia a quel punto non riesce a trattenere le lacrime.

«Fufi è volato dal finestrino» riesce solo a dire tra i singhiozzi. Sul momento non mi viene in mente nessuna frase di effetto per consolare Lucrezia della perdita di Fufi, l’orsetto del suo cuore, e mi limito a guardare Gianna con aria interrogativa.

Mia figlia si sistema sulla poltrona, fa accomodare la bambina sulle sue gambe e racconta come sono andate le cose. Mia nipote annuisce tutto il tempo con la testa, quasi a confermare ogni singola parola della mamma. «Lucrezia oggi ha pensato di far prendere a Fufi un po’ d’aria, abbassando il finestrino dell’automobile» racconta Gianna, guardando di traverso sua figlia, con un’aria di rimprovero.

«Sì nonna, c’era caldissimo e in macchina Fufi e io eravamo in un bagno di sudore» interviene Lucrezia, per giustificare il suo gesto. «Mi stavo divertendo un mondo con Fufi che sembrava un aeroplano, ma a un certo punto mi è scivolato dalle mani ed è volato via» conclude con voce rotta dal pianto.

Mia figlia mi spiega che erano sulla superstrada ed era impossibile invertire la marcia per recuperare lo sventurato Fufi, che chissà dove sarà finito. Rimango in silenzio e mi avvio a tentoni in cucina a prendere il dolce che ho preparato, così a Lucrezia per un attimo torna il sorriso su quel visetto delizioso, che stropiccerei di baci.

Il giorno dopo metto in atto il mio piano, che solo a pensarci è stato davvero sconsiderato. Mi infilo in macchina e raggiungo la superstrada, ripercorrendo il tragitto di Lucrezia e Gianna.

Decido di accostare la macchina sulla corsia di emergenza nel punto in cui penso che Fufi possa essere scivolato dalle mani di Lucrezia. Gianna era stata molto precisa nel suo racconto e il luogo in cui mi sono fermata, all’altezza di un complesso condominiale con le facciate multicolore, coincide con quello dell’incidente.

Aziono le quattro frecce, prendo coraggio e esco dalla macchina. Non ho il bastone con me e mi avventuro nella corsia di emergenza della superstrada, avanzando a gambe larghe, con un’insolita sicurezza che meraviglia anche me. Sento sfrecciare le macchine e proseguo, pensando che solo il cuore di una nonna sconsiderata può essere così matto.

Faccio ancora una ventina di passi e lo vedo. Fufi è sotto il guardrail che divide le due corsie. Sospiro e mi dico che se sono giunta fino a quel punto, devo arrivare fino in fondo. Aspetto che un paio di macchine liberino la strada e con le mie gambe traballanti raggiungo il guardrail, afferrando Fufi, che è davvero malconcio, ma intero.

Qualcuno dal finestrino deve aver gridato qualcosa come “vecchia pazza” o altre impronunciabili imprecazioni. Con Fufi in borsetta, il cuore in tumulto e le gambe vacillanti raggiungo la macchina e tiro un sospiro di sollievo, immaginando la gioia di Lucrezia nel riabbracciare il suo orsetto e i rimproveri di mia figlia, che me ne dirà sicuramente di tutti i colori. Da giovane, non l’ho detto, ero una sportiva e nulla mi faceva paura. Cosa sia successo alle mie gambe forti e veloci, non lo so. Se loro mi hanno abbandonata, il mio cuore è rimasto quello di allora e continuo a non avere paura di niente. E poi, alla mia età, non è bene vivere di rimpianti, anche se, a dirla di tutta, non è mai consigliabile.

Arrivo a casa e infilo Fufi direttamente in lavatrice. Sento ancora l’adrenalina che frizza sotto il mio corpo, ma sono felice. Continuo a chiedermi come farò a raccontare a Gianna il mio rocambolesco salvataggio dell’orsetto, mentre la storia per la piccola Lucrezia è già tutta nella mia testa e ha il sapore di una bella favola, che non vedo l’ora di raccontarle. Con Lucrezia ho riscoperto l’incanto delle fiabe, che forse ho trascurato di leggere a Gianna, da giovane mamma cresciuta senza la magia e il profumo dei libri. Cosa c’è di più bello per una nonna se non lasciare ai nipoti il ricordo di chi non ha altri compiti da assolvere se non amarli incondizionatamente?

Terminato il lavaggio, asciugo Fufi sommariamente con l’asciugacapelli e lo sistemo sullo stendino. Oggi è una magnifica giornata di sole e nel pomeriggio sarà già completamente asciutto.

Eccole qui, davanti alla porta Lucrezia e Gianna, ignare della sorpresa. Non sto più nella pelle e mi sembra di barcollare più del solito per l’emozione, mentre mi dirigo sul balcone.

Lucrezia mi raggiunge e caccia un urlo di gioia, nel vedere il suo Fufi, steso come un panno al sole. «Mamma, mamma vieni!» grida forte, mentre Gianna si lancia verso il balcone, spaventata dalle urla della piccola.

«Nonna, nonna come hai fatto ? Dove hai trovato Fufi?» chiede Lucrezia saltellando avanti e indietro sul terrazzo accarezzando il suo orsetto, mentre Gianna mi osserva con aria interrogativa.

«Tu sei pazza!» sbotta mia figlia.

Non le permetto di aggiungere altro e mi metto un dito davanti allo bocca per farle capire di non continuare. Lucrezia è davanti a me e sta aspettando la sua storia.

«Vedi piccola» attacco con aria molto seria, «stamattina sul davanzale c’erano due cornacchie…».

«Due cornacchie?» esclama Lucrezia divertita, mentre Gianna ciondola la testa da una parte all’altra come se non credesse alle sue orecchie.

«Sì, sì proprio due cornacchie» insisto io. «Sono degli uccelli molto intelligenti ed è per questo che le ho pregate di andare a cercare Fufi, spiegando che la mia nipotina era davvero disperata. Le cornacchie, non solo sono intelligenti, ma anche molto sensibili. Appena hanno sentito la tua storia hanno spiccato il volo e nel giro di un paio d’ore sono ritornate con Fufi sano e salvo nel becco».

Lucrezia mi ascolta in silenzio con i grandi occhi sgranati e la bocca spalancata. Non oso posare il mio sguardo, invece, su Gianna.

Mia figlia, come quasi tutte le madri che conosco, è una donna molto ansiosa, anche se questa volta non posso darle torto. Il mio è stato davvero un gesto da pazza. Del resto, al cuore di una nonna non si comanda.

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