Stella Maris di Cormac McCarthy

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L'ultimo libro del grande scrittore americano scomparso a giugno di quest'anno

Trama – L’ebrea/caucasica Alicia Western ha vent’anni e quarantamila dollari in contanti chiusi in una busta il giorno in cui si presenta, ridotta quasi come uno scheletro, alla clinica Stella Maris (fondata nel 1902 ma struttura aconfessionale dal 1950 e casa di cura per pazienti psichiatrici medicalizzati) di Black River Falls, in Wisconsin, uno stato nel Midwest degli Stati Uniti che affaccia su due Grandi Laghi, il Superior e il Michigan, lo stesso che riflette i tramonti pazzeschi e rossi di Chicago. Alicia è già stata in quella clinica, due volte. Perché ritorna di nuovo? Perché, è lei a dirlo quando il dottor Cohen le pone la domanda, non aveva nessun altro posto in cui andare. Il dottor Cohen accoglie Alicia in un dialogo vertiginoso, un dialogo abitato dalle numerose diagnosi che etichettano la giovane (sociopatia deviante, anoressia, probabile autismo, tendenze suicide e schizofrenia paranoide); da Talidomide Kid (individuo astruso a capo di uno stuolo di personaggi allucinatori che abitano la mente di Alicia dalla pubertà), dalla matematica (Alicia è un genio di questa scienza) e dalla musica (Alicia è una virtuosa del violino). Una sola crepa può permettere a Cohen di raggiungere l’anima soffice di Alicia: suo fratello Bobby (protagonista dell’altro titolo di questa dilogia, Il passeggero, sempre pubblicato da Einaudi, nel quale il personaggio di Alicia è già ‘concluso’), in coma in Italia dopo un incidente automobilistico e dato per morto, suo unico – oltre ogni tabù – amore.

Un assaggio – “Qualcuno una volta ha detto che la materia prima dell’arte è il dolore. Vale anche per la musica?” “Non lo so. Non ho mai composto musica. Ma direi che potrebbe.” “E la matematica?” “La matematica è tutto sudore e fatica. Magari fosse romantica. Non lo è. Nei momenti peggiori ti arrivano dei suggerimenti uditivi. Difficile tenere il passo. Non osi dormire e se anche sei in piedi da due giorni pazienza. Ti ritrovi a prendere una decisione solo per trovarne altre due in attesa e poi quattro e poi otto. Devi importi di fermarti e tornare indietro. Ricominciare. Non insegui la bellezza, insegui la semplicità. La bellezza viene dopo. Dopo che ti sei ridotto un rottame.” “Ne vale la pena?” “Come nient’altro al mondo.” (ndr: nel romanzo non compaiono le virgolette, le ho inserite per facilitare la lettura e la comprensione dello scambio di persona nel dialogo che nel cartaceo è reso chiaro dalla struttura dell’impaginazione)

Leggerlo perché – Leggerlo perché è un libro complessissimo che scivola via come acqua da un ruscello o da una rapida o da una cascata o da una nuvola densa. Un dialogo serratissimo, senza intrusioni esterne. Alicia e Cohen, Alicia e Cohen, Alicia e Cohen. Noi siamo lì, a pochi passi e distantissimi e dentro, siamo Alicia e siamo Cohen, siamo in tutti i pensieri – interrogativi che hanno il peso di risposte apocalittiche – che nella disperazione e nel dolore attraversano senza tregua la mente della giovanissima donna dal Quoziente Intellettivo non testabile. McCarthy ha scritto cose grandi e ha percorso un tratto di strada portentosa: una strada alla ricerca di una scrittura, di uno stile, di una forma al servizio del senso, del legame tra realtà e rappresentazione. Che senso ha una storia? Che senso ha la letteratura? E la scienza? Non poteva lasciarci, come ultima parola terrena, un libro più MacCarthiano di questo, Cormac. Un dialogo puro, senza giudizio, senza soluzione, senza rete di protezione, senza impostazione, oltre e dentro la trama, umano anche nella regola, nella scienza: “Il guaio con il mondo perfetto e oggettivo – di Kant o di chiunque altro – è che è inconoscibile per definizione. Anche se amo la fisica io non la confondo con la realtà assoluta. È la nostra realtà”

Cormac McCarthy, Stella Maris, Einaudi

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