Lasciarla andare

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Nella Giornata mondiale per l’eliminazione della violenza sulle donne vi proponiamo la storia vera pubblicata su Confidenze: parla un uomo violento che ha capito e scontato i suoi errori

Pensavo alla mia ex giorno e notte, stavo malissimo. Ero così nervoso che litigavo con tutti e se uscivo di sera cercavo la rissa. Sono seguite denunce ripetute per stalking. Ma non ascoltavo nessuno, né parenti, né amici. Mi ha fermato il carcere. E una terapia psicologica

 

Storia vera di Lucio C. raccolta da Alina Rizzi

Penso che l’amore sia la cosa più bella che possa capitarci nella vita, ma come tutte le cose, prima o poi finisce. Non sono pessimista, l’ho sperimentato sulla mia pelle. Anche quella che sembra una grande passione può esaurirsi e allora se non sei forte, se non hai qualcuno a cui aggrapparti, un amico, o un lavoro che ti dà molta soddisfazione, puoi precipitare e perderti. È quello che è successo a me, ormai otto anni fa.

Avevo 32 anni, ero sposato da sei con una bambina di quattro anni. Io e Sara (è un nome di fantasia, non voglio coinvolgerla), ci eravamo sposati per amore, con una grande festa, le famiglie unite, gli amici. Eravamo certi che sarebbe durata per sempre. Io almeno ne ero sicuro. Lei era bellissima, lo è ancora, ma io la ricordo sempre il giorno delle nozze. Mi sentivo davvero fortunato ed ero convinto di aver trovato l’anima gemella. Come un po’ tutti, credo, non mi era molto chiaro che la vita da fidanzati non è esattamente uguale a quella dopo il matrimonio. Voglio dire che è bellissimo vivere insieme, ritrovarsi alla sera, però entrano in gioco anche altri fattori, tipo la stanchezza del lavoro, lo stress di tutti i conti da pagare, compresi i debiti per il matrimonio in grande stile, o lei che ti obbliga a essere preciso e ordinato quando tu non hai mai pensato a tenere a posto le tue cose perché tanto vivevi in famiglia e c’era tua madre che lo faceva.

Ecco, nella vita di coppia può capitare che dopo alcuni anni di matrimonio subentri una certa stanchezza o noia o abitudine. E quando è arrivata la nostra adorata bambina le cose si sono complicate ulteriormente. Sara voleva continuare a lavorare, ma la bambina aveva bisogno di cure. Sua madre ci aiutava quando poteva. Il nido non potevamo permettercelo. Pensavo toccasse a lei restare a casa, ma non ne voleva sapere. Dovevamo dividerci i compiti, prendere permessi, ferie. «Ma sei sua madre!» dicevo io esasperato. E lei rispondeva che io ero il padre, avevo i suoi stessi doveri e lei non avrebbe rinunciato alla sua indipendenza economica. Avrei dovuto esserne orgoglioso: era una donna che ci teneva alla propria autonomia e a un rapporto paritario, equilibrato.

Ma io cominciai a pensare che in realtà lei voleva essere indipendente da me, conservare il lavoro e lo stipendio per essere libera di andarsene quando voleva. E allora forse non mi amava poi così tanto e si era fatta altri progetti.

Mi facevo mille domande, ero stressato. Davvero non riuscivo a immaginarmi senza Sara. E poi c’era mia figlia, la mia bambola: dovevamo restare una famiglia. Non avevo mai pensato che uno dei due si potesse stancare o che l’amore potesse finire, invece è successo, quando eravamo sposati ormai da quattro anni e mia figlia ne aveva tre e aveva iniziato la scuola materna. Sara mi ha detto che non se la sentiva più di continuare, che dovevamo separarci, almeno per un po’. Sono cose che capitano, lo so, ma io non riuscivo ad accettarlo. Sono tornato a casa dei miei arrabbiatissimo e offeso, vergognandomi per come stavano andando le cose. Mi sentivo un perdente, uno sfigato mollato dalla moglie. Non potevo immaginare le chiacchiere della gente. Volevo convincerla a tornare insieme così la seguivo, le chiedevo con insistenza di poterle parlare. Avevo brutti pensieri: e se aveva già incontrato un altro uomo?

Ero geloso se solo beveva un caffè con un suo collega o se lasciava la bambina da sua madre per uscire da sola. Vedevo cose non vere, mi facevo dei film nella testa, immaginavo che uscisse con questo o quello. Ero in uno stato confusionale, volevo tornasse con me, ma la odiavo per avermi scaricato, così le mandavo messaggi di continuo, alternando frasi d’amore a minacce. Mi facevo trovare sotto il suo posto di lavoro e le proponevo di fare colazione insieme. Le mandavo spesso dei fiori. Ero già contento se solo la vedevo perché attenuava un po’ il mio dolore. Per me erano gesti d’amore nei suoi confronti, come se le dicessi: “Io sono qua, stai sbagliando tutto”. Lei per tutta risposta iniziò a cambiare abitudini uscendo prima o più tardi dal lavoro, per non incontrarmi. Io la vissi come una sfida. Ero talmente arrabbiato che a volte stavo a casa dal lavoro per pedinarla. Pensavo a Sara giorno e notte, stavo malissimo. Ero così nervoso che litigavo con tutti e se uscivo di sera cercavo la rissa per sfogarmi. Sono seguite denunce ripetute per stalking. Ma non ascoltavo nessuno, né parenti, né amici, né i Carabinieri. Se Sara mi avesse dato una seconda possibilità sarei stato un marito perfetto, pensavo. Dovevo dimostrarglielo a ogni costo, ma lei me lo impediva e io la odiavo per questo. In un anno ho fatto di tutto e cosa ho ricavato? Tre giorni di custodia cautelare in carcere, nove mesi di arresti domiciliari a casa e quattro anni di carcere, ormai scontati. Ho distrutto la mia vita, questo pensavo, quando dopo i pochi giorni di custodia cautelare, terribili perché pensavo di non uscire più, l’assistente sociale mi ha vincolato a fare dei colloqui con uno psicologo, mentre tornavo agli arresti domiciliari, in attesa della sentenza.

Invece è stata la mia salvezza quella terapia: mi ha fatto guardare le cose in un modo diverso, mi ha aiutato a vedere il bicchiere mezzo pieno e non solo mezzo vuoto; mi ha mostrato anche i difetti della mia compagna e non solo i pregi. Questo mi ha permesso di vedere anche i miei lati buoni e non solo la violenza psicologica e gli errori commessi.

Ho imparato a guardare tutto l’insieme delle cose e mi sono reso conto davvero che essere così fissato per una donna è una cosa malata. Ho anche lavorato sull’impulsività. Ricordo l’esempio che fece lo psicologo per convincermi che c’è sempre una via d’uscita. Mi disse: “Se sei in autostrada e perdi l’uscita giusta, non sei obbligato a continuare sulla strada sbagliata, puoi uscire al casello successivo e tornare indietro”. Quindi la mia vita non era finita. Il carcere stesso, che è seguito agli arresti domiciliari, una volta definitivo ha avuto il suo senso. In cella c’è tanto tempo per pensare e ti fai domande che fuori non ti faresti mai. Pensi a quando eri piccolo, alla tua famiglia d’origine e a come sei cresciuto. Ho capito che è normale che un uomo innamorato si senta sconfitto e abbandonato: la separazione viene vissuta come un lutto grave, sia dagli uomini che dalle donne, soprattutto se si hanno dei figli, ma proprio per loro bisogna essere forti, non dargli dispiaceri in più. Non è tollerabile nessuna violenza, nessuna ripicca. E se finisci in galera, fai altro male a te stesso. C’è sempre una strada nuova da percorrere, ma prima di tutto occorre fare pace col passato: chiedersi perché la tua donna ti ha lasciato, mettersi nei suoi panni e ricordare che gli errori si fanno da entrambe le parti. Dopo si può ricominciare, tenendo sempre a mente che se ami una donna e lei non ti vuole più devi lasciarla andare, accettando le sue decisioni, anche se fanno male. Oggi, ho ripreso in mano la mia vita, grato per le alternative che mi ha offerto, e per la figlia meravigliosa che ho potuto riabbracciare.

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Penso che l’amore sia la cosa più bella che possa capitarci nella vita, ma come tutte le cose, prima o poi finisce. Non sono pessimista, l’ho sperimentato sulla mia pelle. Anche quella che sembra una grande passione può esaurirsi e allora se non sei forte, se non hai qualcuno a cui aggrapparti, un amico, o un lavoro che ti dà molta soddisfazione, puoi precipitare e perderti. È quello che è successo a me, ormai otto anni fa.

Avevo 32 anni, ero sposato da sei con una bambina di quattro anni. Io e Sara (è un nome di fantasia, non voglio coinvolgerla), ci eravamo sposati per amore, con una grande festa, le famiglie unite, gli amici. Eravamo certi che sarebbe durata per sempre. Io almeno ne ero sicuro. Lei era bellissima, lo è ancora, ma io la ricordo sempre il giorno delle nozze. Mi sentivo davvero fortunato ed ero convinto di aver trovato l’anima gemella. Come un po’ tutti, credo, non mi era molto chiaro che la vita da fidanzati non è esattamente uguale a quella dopo il matrimonio. Voglio dire che è bellissimo vivere insieme, ritrovarsi alla sera, però entrano in gioco anche altri fattori, tipo la stanchezza del lavoro, lo stress di tutti i conti da pagare, compresi i debiti per il matrimonio in grande stile, o lei che ti obbliga a essere preciso e ordinato quando tu non hai mai pensato a tenere a posto le tue cose perché tanto vivevi in famiglia e c’era tua madre che lo faceva.

Ecco, nella vita di coppia può capitare che dopo alcuni anni di matrimonio subentri una certa stanchezza o noia o abitudine. E quando è arrivata la nostra adorata bambina le cose si sono complicate ulteriormente. Sara voleva continuare a lavorare, ma la bambina aveva bisogno di cure. Sua madre ci aiutava quando poteva. Il nido non potevamo permettercelo. Pensavo toccasse a lei restare a casa, ma non ne voleva sapere. Dovevamo dividerci i compiti, prendere permessi, ferie. «Ma sei sua madre!» dicevo io esasperato. E lei rispondeva che io ero il padre, avevo i suoi stessi doveri e lei non avrebbe rinunciato alla sua indipendenza economica. Avrei dovuto esserne orgoglioso: era una donna che ci teneva alla propria autonomia e a un rapporto paritario, equilibrato.

Ma io cominciai a pensare che in realtà lei voleva essere indipendente da me, conservare il lavoro e lo stipendio per essere libera di andarsene quando voleva. E allora forse non mi amava poi così tanto e si era fatta altri progetti.

Mi facevo mille domande, ero stressato. Davvero non riuscivo a immaginarmi senza Sara. E poi c’era mia figlia, la mia bambola: dovevamo restare una famiglia. Non avevo mai pensato che uno dei due si potesse stancare o che l’amore potesse finire, invece è successo, quando eravamo sposati ormai da quattro anni e mia figlia ne aveva tre e aveva iniziato la scuola materna. Sara mi ha detto che non se la sentiva più di continuare, che dovevamo separarci, almeno per un po’. Sono cose che capitano, lo so, ma io non riuscivo ad accettarlo. Sono tornato a casa dei miei arrabbiatissimo e offeso, vergognandomi per come stavano andando le cose. Mi sentivo un perdente, uno sfigato mollato dalla moglie. Non potevo immaginare le chiacchiere della gente. Volevo convincerla a tornare insieme così la seguivo, le chiedevo con insistenza di poterle parlare. Avevo brutti pensieri: e se aveva già incontrato un altro uomo?

Ero geloso se solo beveva un caffè con un suo collega o se lasciava la bambina da sua madre per uscire da sola. Vedevo cose non vere, mi facevo dei film nella testa, immaginavo che uscisse con questo o quello. Ero in uno stato confusionale, volevo tornasse con me, ma la odiavo per avermi scaricato, così le mandavo messaggi di continuo, alternando frasi d’amore a minacce. Mi facevo trovare sotto il suo posto di lavoro e le proponevo di fare colazione insieme. Le mandavo spesso dei fiori. Ero già contento se solo la vedevo perché attenuava un po’ il mio dolore. Per me erano gesti d’amore nei suoi confronti, come se le dicessi: “Io sono qua, stai sbagliando tutto”. Lei per tutta risposta iniziò a cambiare abitudini uscendo prima o più tardi dal lavoro, per non incontrarmi. Io la vissi come una sfida. Ero talmente arrabbiato che a volte stavo a casa dal lavoro per pedinarla. Pensavo a Sara giorno e notte, stavo malissimo. Ero così nervoso che litigavo con tutti e se uscivo di sera cercavo la rissa per sfogarmi. Sono seguite denunce ripetute per stalking. Ma non ascoltavo nessuno, né parenti, né amici, né i Carabinieri. Se Sara mi avesse dato una seconda possibilità sarei stato un marito perfetto, pensavo. Dovevo dimostrarglielo a ogni costo, ma lei me lo impediva e io la odiavo per questo. In un anno ho fatto di tutto e cosa ho ricavato? Tre giorni di custodia cautelare in carcere, nove mesi di arresti domiciliari a casa e quattro anni di carcere, ormai scontati. Ho distrutto la mia vita, questo pensavo, quando dopo i pochi giorni di custodia cautelare, terribili perché pensavo di non uscire più, l’assistente sociale mi ha vincolato a fare dei colloqui con uno psicologo, mentre tornavo agli arresti domiciliari, in attesa della sentenza.

Invece è stata la mia salvezza quella terapia: mi ha fatto guardare le cose in un modo diverso, mi ha aiutato a vedere il bicchiere mezzo pieno e non solo mezzo vuoto; mi ha mostrato anche i difetti della mia compagna e non solo i pregi. Questo mi ha permesso di vedere anche i miei lati buoni e non solo la violenza psicologica e gli errori commessi.

Ho imparato a guardare tutto l’insieme delle cose e mi sono reso conto davvero che essere così fissato per una donna è una cosa malata. Ho anche lavorato sull’impulsività. Ricordo l’esempio che fece lo psicologo per convincermi che c’è sempre una via d’uscita. Mi disse: “Se sei in autostrada e perdi l’uscita giusta, non sei obbligato a continuare sulla strada sbagliata, puoi uscire al casello successivo e tornare indietro”. Quindi la mia vita non era finita. Il carcere stesso, che è seguito agli arresti domiciliari, una volta definitivo ha avuto il suo senso. In cella c’è tanto tempo per pensare e ti fai domande che fuori non ti faresti mai. Pensi a quando eri piccolo, alla tua famiglia d’origine e a come sei cresciuto.

Ho capito che è normale che un uomo innamorato si senta sconfitto e abbandonato: la separazione viene vissuta come un lutto grave, sia dagli uomini che dalle donne, soprattutto se si hanno dei figli, ma proprio per loro bisogna essere forti, non dargli dispiaceri in più. Non è tollerabile nessuna violenza, nessuna ripicca. E se finisci in galera, fai altro male a te stesso. C’è sempre una strada nuova da percorrere, ma prima di tutto occorre fare pace col passato: chiedersi perché la tua donna ti ha lasciato, mettersi nei suoi panni e ricordare che gli errori si fanno da entrambe le parti. Dopo si può ricominciare, tenendo sempre a mente che se ami una donna e lei non ti vuole più devi lasciarla andare, accettando le sue decisioni, anche se fanno male. Oggi, ho ripreso in mano la mia vita, grato per le alternative che mi ha offerto, e per la figlia meravigliosa che ho potuto riabbracciare.

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