Sono un padre separato e da due anni vivo nel convento di Baccanello, grazie a un progetto che dà conforto a tanti uomini nella mia condizione. Finalmente ho un posto dove stare con i miei figli
Storia vera di Gaetano F. raccolta da Marco Angilletti
Fuori piove. Goccioloni che lavano via i pensieri. Il chiostro è tutto un sollevarsi di terra mista a fango. Foglie sgualcite come i buoni propositi della mezzanotte, cullate nel ventre di una pozzanghera che le porterà sotto chissà quali scarponi. Un ombrello rotto sulla gradinata della chiesa, abbandonato, come le persone lasciate lungo il cammino. I vetri della mia finestra sembrano lacrimare, ma ho imparato che per ogni pianto versato c’è sempre una fetta di umanità capace di tendere una mano.
La pioggia lava, ma non tutto. La pioggia bagna, ma non tutti. Mentre la strada resta deserta e diventa il regno dei mendicanti, io mi sento ancora più fortunato tra queste quattro mura. Il convento di Baccanello è diventato il mio rifugio; è casa ed è fortezza, un posto dove finalmente riesco a sentirmi al riparo da ogni subbuglio.
Non sono un frate, neppure un cappellano, sono un semplice padre separato, uno di quei genitori di cui in genere si parla poco. E qui, a Calusco d’Adda, il progetto “Casa nel chiostro” consente ai padri come me di trovare conforto e sostegno.
In questa piccola frazione della bergamasca, i frati minori francescani avevano dato vita nel Seicento a un microcosmo di fede e buone azioni, in un edificio religioso che era diventato uno spazio aperto al mondo, capace di parlare alle comunità dei paesi vicini, accompagnando il lavoro dei contadini nelle campagne limitrofe. La disponibilità dei frati aveva conquistato il cuore della gente attraverso uno scambio fatto di insegnamenti, ma soprattutto di azioni concrete.
Un luogo tanto caro anche a Papa Giovanni XXIII che aveva l’abitudine di rintanarsi qui per qualche giorno di ritiro, a due passi da Sotto il Monte, il suo caro nido. E per me questo convento rappresenta davvero un nido, dove i rami dell’albero sono così robusti e intrecciati da annientare la paura di cadere ancora.
Guardo il campanile alto quasi 30 metri. È una bandiera visibile a chiunque, issata verso il cielo, quasi a toccare la grazia divina che ha voluto donare a tutti noi un nuovo capitolo. Quando un anno e mezzo fa gli ultimi frati hanno lasciato il convento, questo luogo rischiava di restare un paradiso vivo a metà. Perché lasciare che la generosità della fede svanisse? Un’associazione ha deciso di accogliere i padri separati nelle celle dei frati, trasformandole in stanze-appartamento per persone in difficoltà o con problemi abitativi.
Ogni famiglia che abbraccia la via della separazione ha la sua storia e inevitabili conseguenze. Non ho intenzione di puntare il dito né di screditare l’universo femminile, non fa parte del mio modo di essere. Devo riconoscere, però, che quando si parla di coppie separate spesso si fa riferimento alle madri che restano sole, tra difficoltà di gestione familiare e di cura dei figli.
E ai padri separati ci pensate mai? Tutto sommato la mia storia non è stata così disastrosa, ma da questo convento passano persone che, a causa della separazione, sono ridotte a vivere in una macchina per strada o in ripari di fortuna. Altri costretti a chiedere aiuto economico per avere semplicemente un pasto caldo, una doccia, un cappotto meno sdrucito.
E tutte queste mancanze hanno sempre inciso sulla qualità del rapporto con i figli. Non puoi certo permetterti di ospitare i ragazzi all’interno di un’auto o in un tugurio. Allora finisci per vederli sempre meno, mentre fai i conti con una beffarda vergogna.
Chi avrebbe potuto darmi fiducia se non il buon cuore della gente? Il convento di Baccanello continua a dare coraggio a quelli come me, a coloro che pensavano fosse tutto perduto e che mai sarebbe arrivata una rinascita.
Ho 68 anni, sono in pensione e da quasi due anni e mezzo vivo nel convento. Una vita spesa nel mio salone da parrucchiere. C’erano giorni in cui abbassavo la saracinesca con un nodo alla gola perché non era stata una giornata abbastanza produttiva, però mi bastava sapere che sarei tornato a casa dalla mia famiglia per sotterrare ogni pensiero negativo. Poi, dopo una serie di problemi, io e la mia ex moglie abbiamo deciso di separarci. Non le ho chiesto nulla, ce la avrei fatta da solo. A lei spettò la casa e io rimasi con qualche valigia tra le gambe, senza sapere dove andare. I nostri due figli restarono con lei, il più piccolo era ancora minorenne.
La prima sistemazione è stata un monolocale piccolissimo, uno spazio angusto che era più che altro un appoggio. Finché non sono stato costretto a vendere il negozio e lì è iniziato il vero tracollo. Ho dovuto lasciare il monolocale e, grazie alla gentilezza di una cliente del salone, ho trovato riparo in una vecchia cascina. Il freddo fasciava le ossa, era tutto da rimettere a nuovo. Se da un lato apprezzavo la fortuna di stare in un luogo chiuso, dall’altro mi sentivo relegato in un perimetro di punizione. Avevo l’impressione che quella pseudo-casa non mi appartenesse e non rispecchiasse il mio modo di essere. Era tutto arrangiato e malfunzionante, il riflesso perfetto della mia condizione.
Senza una casa tutta mia, senza lavoro e senza la possibilità di vedere i miei figli. Questa era la mancanza più severa, su tutto il resto avrei potuto soprassedere. Erano ancora piccoli, costretti a subire le conseguenze di un padre e una madre che non si amano più. I rapporti con loro erano ridotti all’osso.
Evitavo di guardarmi allo specchio, per la fatica di non riconoscermi. Ho provato il gelo della solitudine, i tormenti delle privazioni. Quello che era il centro del mio mondo non esisteva più: la mia famiglia ridotta in mille pezzi senza collante.
Mi scorrevano davanti le immagini gioiose del passato mentre tenevo in braccio i bambini appena nati, o ancora la serenità che provavo ogni qualvolta rientravo a casa e loro correvano verso di me a braccia aperte. Come tutte le famiglie, abbiamo affrontato momenti di spensieratezza e giornate più grigie, ma poi alla fine tutto si risolveva e tornavamo a essere la famiglia unita di sempre. In quella cascina, invece, i muri spogli mi ricordavano che le cose erano cambiate. Quanti giorni di dolore ho vissuto nell’assordante mutismo di una stanza. La disperazione ti provoca una disconnessione con la realtà, arrivi a fare brutti pensieri, a immaginare che non c’è una via di uscita dal tuo fallimento personale. Rifletti sul senso delle cose, sulle volte a cui hai dato importanza alle banalità. Come può un padre tornare a essere un semplice uomo? Senza figli, mi sentivo come se non fossi mai esistito.
Quando mi è stato chiesto di lasciare la cascina, ero davvero arrivato a un bivio. Dovevo chiedere aiuto o chissà che fine avrei fatto. Amici e familiari disposti ad aiutarmi ce n’erano, ma non volevo né recare disturbo né trovarmi in una situazione altalenante, obbligato a spostarmi da un posto all’altro come si fa con i maglioni che non metti più ma che non vuoi buttare perché ci sei affezionato.
Rivolgersi agli assistenti sociali era l’unica strada. Il loro è stato un contributo prezioso, anche se alla fine si può dire che sia stato io a trovare la soluzione. Avevo sentito parlare di un progetto dedicato ai padri separati e, tramite il Comune, mi sono messo in contatto con l’Associazione Convento Francescano di Baccanello per fare richiesta di ospitalità. È stato mio figlio grande ad accompagnarmi il primo giorno, lo ricordo bene. Appena ho messo un piede dentro, ho avvertito una strana sensazione, un’energia inspiegabile. Ecco perché continuo a ripetere che qualcuno mi ha guidato fino a qui.
I giudizi intorno non erano tutti benevoli, alcuni pensavano che non sarei stato capace di resistere nemmeno una settimana. E invece, in via del tutto straordinaria, sono rimasto qui oltre il tempo limite. Questo perché ho iniziato a dare il mio contributo in ogni modo: occupandomi delle piccole manutenzioni, dando una mano nell’organizzazione della vita comunitaria, mettendomi al servizio della parrocchia.
Sono una sorta di custode, mi occupo anche di suonare manualmente le campane a mezzogiorno. E ogni volta che lo faccio è come se i rintocchi fossero note di speranza destinate al mondo fuori con cui voglio urlare “sono ancora qui, vivo e sereno”. Il percorso non è stato facile, ma ho avuto accanto persone che hanno saputo ricostruire l’equilibrio. Gli spazi di ascolto con educatori e assistenti sociali, i progetti di beneficenza, gli incontri formativi, le rassegne teatrali. Ogni tassello ha riparato qualcosa nel mio cuore.
“Casa nel chiostro” oggi ha cambiato forma: dalle prime stanze in condivisione per più padri, ora sono stati realizzati dei piccoli appartamenti dove ognuno ha i propri servizi e può ospitare anche eventuali figli, con maggiore autonomia. Tutto ciò è stato possibile grazie alla generosità ricevuta dall’esterno e dai tanti volontari che si adoperano affinché il convento possa essere – nel senso più vero degli insegnamenti cristiani – una mangiatoia in grado di offrire calore.
Da quando vivo qui, è cambiato il rapporto con i miei figli. Ora ci sentiamo costantemente, ci vediamo, ogni tanto li ospito nel mio appartamento. Sono la parte migliore di me, hanno proseguito gli studi e continuano a darmi grandi soddisfazioni.
Baccanello è un luogo dove l’amore si moltiplica. Sono passati da qui medici, professionisti, uomini con storie importanti, tutti accomunati dalla stessa situazione di fragilità. E ne sono usciti migliorati.
Mi commuovo se ripenso ai tempi del passato, quando avevo dimenticato totalmente cosa significhi “stare insieme”. Ricordo dieci lunghissimi Natali trascorsi senza nessuno. Mi infilavo nel letto sotto una montagna di coperte, al buio, e chiudevo gli occhi pur di non farmi disintegrare dalla solitudine.
Questo luogo ha avuto lo straordinario potere di sovvertire ogni cosa, anche le terribili mancanze. Lo scorso anno ho avuto i miei figli qui la sera della Vigilia, tutti e due; allora sì che la magia del Natale si è pienamente compiuta. Piccoli grandi miracoli che continuano a stupirmi. C’è un filo conduttore in tutte le evoluzioni del mio percorso, ne sono sicuro. Ho capito che i frati sarebbero stati importanti nella mia vita già quando da bambino giocavo nel santuario della Madonna delle Grazie a Monza. E ora, l’ultimo frate andato via da Baccanello è finito proprio in quel santuario lì. È come se si fosse chiuso un cerchio. Il cerchio dell’amore, quello che non risparmia nessuno e dove chiunque viene salvato. ●
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