Cantare e recitare è stata l’arma con cui ho reagito ai soprusi subiti negli anni della scuola. La mia famiglia ha sempre creduto in me, e il mondo dello spettacolo mi ha aperto le porte
Storia vera di Alessandro Gatta raccolta da Federico Toro
«Ale, sveglia, è ora di andare a scuola» mi esorta la mamma.
Rannicchiato sotto le coperte, vorrei rimanere lì per sempre. Anche questa notte mostri e fantasmi si sono accavallati nei miei sogni. Quanto vorrei dire tutto, quanto vorrei esternare le mie paure, ma sono troppo piccolo, ho soltanto sei anni. Dovrei sognare fate e gnomi, castelli incantati, invece incubi spaventosi si verificano senza tregua durante la notte.
Non posso comprendere la causa delle mie angoscianti scene oniriche, ma sono consapevole di ciò che avviene tra le mura della mia aula. Schiaffi, pizzichi, bacchettate sulle mani. Ecco cosa succede a scuola. Sono terrorizzato, ma invece di piangere accolgo le tremende punizioni mantenendo sul volto un sorriso radioso. Una difesa per esorcizzare il dolore, lo sgomento. Ma questo scatena nella maestra, quella che dovrebbe essere una seconda mamma, ancora più astio e livore nei miei confronti.
La violenza fisica e psicologica aumenta ogni giorno. In seconda elementare la maestra mi punisce confinandomi da solo in un banco faccia al muro. Sopporto le angherie fino alla quinta elementare.
Per fortuna, appena rientro a casa trovo un clima sereno e distensivo. Nonostante mia madre lavori duramente e mio padre sia gravemente malato. Forse per questa ragione, evito di raccontare ai miei genitori ciò che mi tormenta, darei loro soltanto un dispiacere e soprattutto altre preoccupazioni. Nascondo i maltrattamenti che subisco indossando la maschera del bambino felice. In verità, riesco a trovare un’oasi di serenità. Mi ribello ai soprusi cantando e recitando. La sera esco con papà e mi diverto molto. Partecipo ad alcuni provini e inizio a lavorare in tivù. Comprendo di poter sopportare la vita orribile a scuola ed esprimere me stesso in un luogo dove trovo accoglienza e amore. Ancora oggi quando mi capita di entrare al Teatro delle Vittorie, il tempio della tivù, provo un nodo alla gola, devo trattenere le lacrime. Momenti di pura spensieratezza.
«Dài, Ale, sali sul tavolo e recita una poesia» mi incita una sera mio padre.
Ho otto anni. Siamo a Roma, in un ristorante di Trastevere. Con noi ci sono l’attrice Marisa Merlini e altri attori di cui non ricordo il nome.
Io, sicuro di me, salgo sul tavolo e recito con particolare enfasi una poesia di mio padre dal titolo: Vita sei bella. Tutti rimangono stupiti. Una valanga di applausi e complimenti. Sono elettrizzato, felice, anche se so che la mattina seguente ricominceranno le torture. In compenso, in classe realizzo delle scenette comiche per i compagni. Ridono a crepapelle e mi chiedono in continuazione di imitare vari personaggi. Come dimenticare quella sera in un teatro a San Benedetto del Tronto? I miei genitori seduti in prima fila hanno gli occhi lucidi nel vedere il proprio bambino sul palco esibirsi in una serie di gag esilaranti. Una di quelle sere, un regista del posto mi propone un provino per uno sceneggiato da girare a Milano, lontano da casa. Devo stare fuori per circa un mese. È davvero troppo per me. Inizio a piangere, mi fa male separarmi dalla famiglia, così decido di rifiutare. Intanto, lo spettacolo mi salva da un incubo atroce. Terminate le scuole elementari, comincio a respirare, a sentirmi vivo e assaporare una spensierata tranquillità rubata nell’infanzia. Durante le scuole medie con due amici, Elisabetta e Davide, avvio una compagnia vera e propria. Organizziamo dei tour nelle scuole, nelle cliniche e negli ospedali. Ci ispiriamo ai siparietti televisivi di Simona Marchini, con il suo comico personaggio di Iside Martufoni.
Papà mi sprona di continuo: «Ale, non dire mai che non sai fare una cosa. Se ti dicono di ballare ai provini, balla. Se ti dicono di cantare, canta. Lo sai fare, perché devi avere timore?». I suoi preziosi incoraggiamenti mi permettono di ottenere grandi risultati nella vita. La grinta non mi abbandona mai. Combatto come quel bambino che un giorno dice a un noto regista: «Se non mi prendi te ne pentirai, credimi». Nulla mi spaventa dopo l’angoscia subita. Vivo anni intensi e ricchi di creatività. In questo periodo conosco Mia Martini durante un live a Roma. L’artista rimane colpita dalla mia forte personalità e mi confida: «Ti dedico un disco perché sei un ragazzino tanto simpatico ma nascondi qualcosa di oscuro, mi incuriosisci». La canzone che scrive è una bozza, si intitola Scrupoli e uscirà molti anni dopo. Intanto per me tutto scorre liscio. La mia terribile infanzia sembra essere soltanto un tremendo ricordo. Ma un’altra fase buia sta per irrompere a oscurare la mia esistenza.
Le condizioni di salute di mio padre peggiorano. Sono ancora solo un adolescente quando ci lascia in religioso silenzio procurando a tutti noi una sofferenza indicibile. Sono al liceo, studio ma lavoro meno. Sconvolto dall’accaduto, per anni un dolore lancinante mi scava dentro e non comprendo il reale motivo. Forse ho bisogno di aiuto per tirare fuori i tormenti, i travagli che per troppo tempo sono rimasti imprigionati nell’anima. La mamma mi consiglia di intraprendere una terapia cognitivo comportamentale. Lentamente rinasco, prendo consapevolezza dei miei disagi. La negazione delle violenze subite mi ha portato a conseguenze terribili. L’ombra di quei bruttissimi anni finalmente diventa luce. Mi laureo in Lettere in breve tempo con ottimi voti. Riprendo a lavorare. Siamo ai tempi del programma televisivo Fantastico. Ottengo subito delle buone possibilità di carriera. Nella vita e soprattutto in Rai incontro delle persone straordinarie che mi supportano con affetto e stima. A 19 anni mi aiutano perfino ad acquistare un piccolo loft a Roma. Inizia così la grande e meravigliosa avventura nel mondo dello spettacolo. Anni trascorsi in qualità di inviato a La vita in diretta. Grazie al vicedirettore di allora ho l’occasione di esprimermi ed esibirmi davanti a milioni di telespettatori. Spesso gli chiedo di lavorare in redazione e abbandonare il ruolo di inviato. Detesto viaggiare, cambiare letto, abitudini. Conseguenza di un’infanzia dolorosa di cui non faccio parola con nessuno.
«Tu sei abile nella conduzione, nel montaggio, mi dispiace, ma rifiuto la tua proposta» mi risponde il vicedirettore.
Deluso ma lusingato, continuo per anni a svolgere il mio lavoro. Realizzo 6.000 servizi, sono l’inviato di tanti eventi prestigiosi, dal Festival di Sanremo a Miss Italia. Intervisto personaggi di spicco tra cui Loredana Bertè, Margherita Hack, Lucia Bosè, Gianni Morandi, Patty Pravo, Tiziano Ferro, Virna Lisi, Marco Mengoni. Ma un programma che porto nel cuore è il Tg Ragazzi una rubrica del Tg1. Il primo contenitore di informazione per adolescenti. Con la giornalista Tiziana Ferrario mi occupo di musica. Mi affida tutta la supervisione delle copertine e dei servizi. Forse, la trasmissione mi permette di tornare un po’ bambino e di riprendermi in parte ciò che mi è stato negato. Oggi, quel bambino in punizione, da solo nel banco, con il viso rivolto al muro e con la paura di ricevere ogni mattina sberle e vessazioni è ancora dentro di me. Ma quel bimbo grazie allo spettacolo ha rivisto la luce del sole riscrivendo la sua storia. Ed è un racconto magico dal sapore di fiaba. ●
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