Storia vera di Pietro T. raccolta da Simona Maria Corvese
Non avrei mai pensato che alla festa per i 18 anni della mia migliore amica, in questa splendida villa di delizie, mi sarei compromesso con una ragazza che conosco di vista a scuola. «Tesoro, scusami se ho fatto tardi. Mi hanno trattenuto dei conoscenti di mio padre» dico e metto un braccio al collo di Elena che, muta, rimane a bocca aperta. Mi volto verso la coppietta felice che le sta di fronte: lei le ha appena sventolato un anello di fidanzamento sotto il naso. Rivolgo loro un sorriso radioso. «Ciao, sono Pietro, il ragazzo di Elena».
Carlo mi guarda, incredulo. «Sei Pietro, il figlio del cardiochirurgo?».
Sono sempre più divertito per lo smacco che gli ho dato. «Sì. Adesso scusatemi, ma Elena e io andiamo a prenderci una boccata d’aria in giardino». Rivolgo lo sguardo alla ragazza e la prendo a braccetto.
Ci allontaniamo da lì ma faccio in tempo a sentire la voce di Carlo che commenta piccato: «Come ha fatto a fidanzarsi? L’ho lasciata da un mese!».
Cosa mi è preso poco fa? C’erano tanti conoscenti di mio padre intorno a noi. Ormai hanno assistito tutti alla scena e pensano che stia davvero con Elena.
Lei si scioglie dal mio abbraccio e si ferma a metà vialetto del giardino. «Grazie per prima».
«Era il tuo ex danzato quello?».
Elena mi risponde con lo di voce. «Sì, con la sua nuova ragazza, come hai visto».
Scuoto la testa con disappunto. «Scusa se sono intervenuto d’impulso. Qualunque cosa sia accaduta tra voi prima non giusti ca il suo comportamento: è stata una mortificazione gratuita e questo non potevo tollerarlo».
«Cosa facciamo adesso?».
La guardo dritto nei suoi occhi limpidi e innocenti che mi fanno accelerare i battiti del cuore: non avevo notato quanto è bella. «Non possiamo tornare indietro. Ormai siamo insieme in questa bugia».
I nostri sguardi rimangono avvinti per un istante carico di desiderio e ho l’inspiegabile sensazione che quello che è accaduto sia scritto nel nostro destino. È assurdo: come posso provare questa certezza? Proprio io che non credo nell’amore. Deglutisco a fatica, ancora incredulo.
«Senti, facciamo un patto. Rimani con me no al matrimonio di mio padre, tra un mese » le propongo.
Elena s’irrigidisce. «Pietro, tu hai la fama del donnaiolo. Lo dicono tutte le ragazze a scuola. Come faccio a fidarmi di te?».
Scoppio a ridere. «Fidati: sarò correttissimo con te. Tu sei la brava ragazza con cui vorrebbe vedermi mio padre. E poi anche lui ha avuto tante danzate!».
Elena sbatte le palpebre, pensierosa. Esita a rispondere e io sono sulle spine.
Lei è la mia occasione di dimostrare a mio padre e a mia madre che anch’io sono capace di affetti profondi. Sarà tutto nto ma almeno mi lasceranno in pace. Nessuno sa cosa vuol dire essere me. Perché è così difficile affrontare tutto?
Mi bilancio sulle gambe, nervoso e in lo le mani in tasca. Cos’altro posso dirle per convincerla? «Sai, non sono solo io che cambio fidanzate a ripetizione. Ci sono anche tante ragazze che sono interessate a quello che rappresenta la mia famiglia e non a me. Come faccio a innamorarmi così? Che senso ha impegnarsi in una relazione, quando sai che le cose non cambieranno?».
Elena mi tende la mano per stringermela. «Va bene. Ti reggo il gioco per un mese, ma in cambio vorrei che tu m’insegnassi a danzare. Ti ho visto stasera ballare il valzer e ho invidiato le ragazze che volteggiavano con te. Finito il matrimonio, ognuno per la sua strada».
Mi manca un battito: ha accettato. Le stringo anch’io la mano e una scarica elettrica mi percorre il braccio. «Affare fatto!».
Elena si guarda intorno. «Non sapevo che tua madre avesse una scuola di ballo.» I suoi tacchi risuonano sul pavimento di marmo della sala da ballo. Dai soffitti a volta, impreziositi da bordi smerlati, medaglioni in gesso e modanature personalizzate, pendono enormi lampadari di cristallo a più livelli, scintillanti nella luce soffusa.
«È una delle sue attività. Mia madre appartiene a una famiglia facoltosa e questo è uno dei modi per impegnare il suo patrimonio. Ora vive in Sardegna con il suo secondo marito e il mio fratellastro di un anno».
Elena, con un tocco lieve e gentile, mi s ora il braccio. «Mi dispiace». Ritrae veloce la mano, abbassa lo sguardo ma torna a guardarmi. Il suo disagio è palpabile.
Stringo i pugni e trattengo il desiderio di abbracciarla. Il modo in cui mi ha guardato mi dice che anche lei lo desidera: è attratta da me e questo mi lusinga, ma resiste. Vorrei scoprire il perché ma non voglio illuderla. Elena non sa niente della mia vita.
«Ai miei genitori non è mai importato molto di me. La loro carriera e i loro desideri sono sempre venuti prima. Mio padre con le sue danzate già da prima di divorziare, mia madre con il suo nuovo amore. E adesso anche il mio fratellastro viene prima di me. Io sono rimasto con mio padre: gli uomini superficiali hanno bisogno di figli».
Elena m’interrompe. «Non dire così, sono sicura che tua madre ama te quanto il tuo fratellino».
Scuoto la testa, scettico. «Abbiamo 18 anni di differenza. Lui ha bisogno di cure e attenzioni. Io ormai sono grande. Non vedo mia madre dall’anno scorso, quando sono stato bocciato a scuola… E non voglio rivederla».
Lei mi ha dato tutta la sua attenzione, ma ora è ammutolita. Riflette. «Non hai qualcuno più grande con cui parlare? C’è sempre una soluzione ai nostri problemi».
Le sorrido con tenerezza: è giovane ma matura per i suoi 17 anni e dolce. «Sì, mio padre mi ha affidato al mio insegnante di latino e greco. Abita in una villetta vicino alla nostra e dopo la scuola trascorro il pomeriggio con lui e i suoi genitori. Con lui posso parlare di tutto: è il fratello maggiore che ho sempre desiderato avere».
Elena mi sorride, rasserenata.
«Ho sempre pensato di non contare nulla per gli altri. Fabio è la prima persona che ha trovato in me delle qualità e che mi apprezza».
«Ti capisco, anch’io vorrei essere importante per qualcuno. Sono la sorella di mezzo di una famiglia numerosa: ne ho quattro tra fratelli e sorelle. Tutti hanno un talento: io non eccello in nulla e non sprigiono un grande fascino».
Sgrano gli occhi: non mi aspettavo da Elena una simile confidenza. «Elena, tu sei bella! Non ti vedi?».
Adesso è lei a rimanere a bocca aperta. «Ogni donna dovrebbe sentirselo dire almeno una volta nella vita. Ti ringrazio per essere quello che lo ha fatto con me».
Mi chino verso di lei e riduco il mio tono di voce a un soffio. «Tu sei importante per me».
Elena arrossisce. Mi sono ripromesso di non sedurla ma cosa sto facendo adesso? No, Elena non è una conquista, provo qualcosa per lei. Mi stacco: è meglio se vado ad accendere lo stereo, ora. «Vieni, ti faccio vedere i passi base del valzer» la invito.
Iniziamo a volteggiare sul pavimento tirato a lucido e le nostre figure si riflettono negli specchi con cornice in metallo, distanziati lungo le pareti. Elena è affascinante nell’abito di seta frusciante che le ho prestato dal guardaroba della scuola. Volevo che provasse le emozioni che trasmette il ballo attraverso i suoi movimenti eleganti e l’abbigliamento appropriato. Il valzer termina e noi ci fermiamo vicino a una delle colonne scanalate, con i capitelli a volute in foglia d’oro. Abbiamo tutti e due il fiato corto e i battiti del cuore accelerati. Le indico una scala a chiocciola con balaustra, che porta al piano di sopra della sala. «Ci sediamo e mi racconti qualcosa di te? Vorrei capire che cosa intendevi dire poco fa».
Passiamo davanti alle grandi portefinestre, coperte in parte da spessi tendaggi in velluto che lasciano intravedere il paesaggio della campagna lombarda al tramonto. I tacchi di Elena ritmano i nostri passi sui gradini e ci andiamo a sedere in cima alla scala, uno accanto all’altra.
Elena si volta verso di me. «Che cosa posso dirti? Non importa a nessuno quello che penso o sento in famiglia. Ho pensato che se mi sforzo di essere brava in qualcosa, i miei genitori mi ameranno come i miei fratelli. Ma la verità è che nulla di quello che faccio è abbastanza buono da renderli felici. Quindi perché sforzarmi di eccellere in qualcosa?». Elena si ferma e mi guarda dritta negli occhi. «Tu sei il primo che mi dice che sono importante così come sono. E sai cosa ti dico? Anche tu lo sei per me, davvero. Se solo questo fidanzamento fosse vero, allora tutti saprebbero che anch’io valgo qualcosa».
I suoi occhi brillano e io non voglio più nascondere quello che provo per lei. L’imbarazzo che ci tratteneva di colpo è svanito: mi do di Elena, sono certo che non mi deluderà e ora voglio giocarmi il tutto per tutto. Mi sporgo in avanti, appoggio gli avambracci sulle gambe e un’onda di calore mi travolge. Le nostre labbra si sfiorano per qualche istante ma il timer che ho puntato suona. «La lezione è finita».
Mi stacco da lei, a malincuore: il nostro momento magico è passato. «Continueremo in un altro momento».
Passa il tempo e arriva il giorno delle nozze di mio padre.
Una cortina muraria circonda su tre lati gli edifici della fortezza medievale dove in questa lunga notte si terranno la cena e i festeggiamenti del matrimonio. Tengo per mano Elena e, come gli altri invitati, saliamo strette scale di pietra all’interno del castello che portano ai parapetti e ci guardiamo intorno ammirati. Agli angoli delle mura merlate delle bandiere sventolano sulle sommità delle torri di guardia. Le torce poste tra le merlature illuminano a giorno il parapetto. Il vento soffia attraverso le fessure dei muri, in questa buia notte dove la luna piena fa capolino tra le nuvole.
Elena ha un brivido e io mi tolgo la giacca e gliela metto sulle spalle nude. Lei se la stringe al petto per scaldarsi. «Grazie, ho dimenticato il bolero in macchina».
Le faccio un cenno con la mano. «Di nulla».
È silenziosa e mi osserva. «Ormai è fatta: sono sposati. Come ti senti?».
Emetto un respiro profondo: confidarmi mi costa un grande sforzo. «Il matrimonio di mia madre qualche anno fa ha mandato in frantumi la speranza di veder tornare insieme i miei genitori. Adesso che si è risposato anche mio padre non mi sento più parte di nessun nucleo familiare. Mi hanno voltato le spalle tutti e due».
Elena mi abbraccia, dispiaciuta. «Non dire così, Pietro. Anche se non stanno più insieme, loro non smetteranno mai di volerti bene».
Mi stacco da lei e alzo un sopracciglio, scettico. «Non puoi capire una situazione se non la vivi in prima persona». La prendo per mano e le sorrido per rassicurarla. «Vieni, scendiamo a mangiare: ci aspetta un bel banchetto nuziale con un menu tutto medievale».
Nella sala dalle mura in pietra viva e i soffitti a volta, dove viene servito il banchetto, Elena e io sediamo su pesanti panche di legno intagliato, a una tavolata fissata su cavalletti. Dietro a noi ci sono strette finestre ad arco gotico con vetri colorati. Di fronte un grande camino e colorati arazzi alle altre pareti. Mi piego con la testa verso Elena e le indico i candelabri in ferro battuto con candele di cera d’api che emanano luci tremolanti. «Certo che non hanno lesinato in candele».
Elena ridacchia. I commensali discutono tra un boccone e l’altro, ridono e fanno tintinnare i boccali. I coltelli raschiano sul tondo di legno piatto dove hanno versato le pietanze di cui si sono serviti. Mio padre e la sua sposa conversano felici a capotavola. E io qui, faccio il figlio dimenticato. Ho un moto di stizza e vorrei andarmene, ma non posso. I camerieri ci portano anche una torta salata medievale. «È dolce e salata insieme. Come hanno detto che si chiama?» mi bisbiglia all’orecchio Elena.
Io mi piego a darne una fettina al cane dei padroni che si è intrufolato sotto il tavolo in cerca di avanzi. «Tourte parmienne. Assomiglia alle nostre crostate, vero?».
«Sì ma è ripiena di carni saporite, pinoli, frutta secca, spezie e spinaci. Mai provato qualcosa di così squisito».
Noto che torce nervosa il tovagliolo che ha tra le mani. «Prima del taglio della torta ti devo parlare, Pietro. Adesso godiamoci la cena».
Io ed Elena passeggiamo tra gli alberi di ciliegio. Avanziamo su delle pietre nascoste nell’erba, che formano delle passerelle tortuose. Io osservo incuriosito i cespugli di uva spina e le erbe. «Questo giardino è uno scrigno. C’è anche la citronella che tiene lontani gli insetti».
Un irrigatore nebulizza il prato che profuma di erba appena tagliata e crea arcobaleni d’acqua. Studio Elena che non mi ha risposto. Si guarda intorno, pensierosa. «Pietro, forse siamo bloccati in una finta relazione che nessuno di noi due voleva ma per me ha cessato di essere un gioco. È diventata fin troppo reale».
Mi manca un battito: allora anche lei prova qualcosa per me. Mi avvicino. «Elena…».
Lei mi sfiora le labbra con le dita e mi zittisce. «Ssh, aspetta. C’è ancora qualcosa d’importante che ho bisogno di sapere. La tua migliore amica mi ha detto che io sono solo la tua ennesima conquista. Non voglio rimanere incatenata per sempre in questa finzione, Pietro. Che cosa sono per te?».
«Elena io provo dei sentimenti sinceri per te, ma prima di conoscerti non credevo più nell’amore. Tu mi hai insegnato a notare le cose belle della vita, a essere grato più che a lamentarmi. È con te che ho ritrovato la fiducia nel futuro e la felicità».
A Elena salgono le lacrime agli occhi:«Con te ho capito che anch’io ho valore per gli altri ma avevo bisogno di conferme. Dovevo sapere che questo non è più un gioco nemmeno per te».
«Ho capito il prezzo che con la mia amarezza ho pagato a scapito della mia felicità. Ora sono riuscito a superare tutto il risentimento che provavo per i miei genitori, così distratti nei miei confronti ed egoisti». Faccio un respiro profondo, mi avvicino ancora di più a Elena e la bacio.
«Elena, noi abbiamo lo stesso diritto di essere felici che hanno loro. Grazie a te, ho ripreso il controllo della mia vita: non sarà più governata dagli eventi passati. Solo ora abbiamo la libertà di scegliere di stare insieme, perché il nostro è vero amore».
Quello che era iniziato per gioco è diventata una meravigliosa realtà. Non so cosa ci riserverà il futuro, siamo ancora molto giovani ma so che Elena sarà sempre per me la persona che mi ha ridato la fiducia nella vita.
Testo pubblicato su Confidenze 17/2024
Foti: Istock
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