Un segreto nel cuore

Cuore
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Davide mi piace ancora e sono sicura che anche lui prova qualcosa per me. Però non ho intenzione di rivelargli quello che mi è successo e mi difendo col silenzio. Sbaglio a non confidarmi?

Storia vera di Giada B. raccolta da Simona Maria Corvese
Abbracciata a Marina la mia migliore amica del liceo, sul molo di Riva San Biagio, a Venezia, sorrido all’obiettivo del cellulare. Lo steward di bordo del nostro yacht, un maestoso caicco in mogano attraccato all’ormeggio, ingrandisce l’inquadratura e scatta. Alle nostre spalle il sole tramonta sul bacino di San Davide. Si avvicina Andrea: «Signore, potrebbe fare una foto anche a tutto il gruppo?». Si volta verso il resto della comitiva sparso sul molo e richiama l’attenzione con il braccio alzato. «Dai, venite qui tutti, facciamo una foto prima di salpare».
Ci disponiamo in due file, tutti sorridenti ma una voce interrompe il momento. «Aspettate, ci sono anch’io».
Sgrano gli occhi perché riconosco quella voce.
Andrea si volta verso di lui. «Davide, ce l’hai fatta!».
Mi volto anch’io, a bocca aperta. «Ciao, Davide… Non sapevo venissi anche tu». Cerco di nascondere l’imbarazzo con un sorriso, ma non ci riesco.
Il sorriso gli muore sulle labbra e mi lancia un’occhiata esitante. «Mi ha invitato Andrea».
Osservo la reazione di Andrea e lui si stringe nelle spalle. «Quando mi hai chiesto di darti una mano a ricontattare gli ex compagni di classe per la reunion, ho pensato di chiamare anche lui».
Davide mi guarda con improvvisa attenzione. «Tu non mi avresti contattato per questa vacanza, Giada?».
Distolgo lo sguardo fulminea e tossicchio poi mi schiarisco la voce. «Certo che lo avrei fatto, solo che tu sei sempre talmente impegnato che è difficile rintracciarti. Mi fa piacere però che tu e Andrea siate rimasti in contatto».
Andrea, Marina e gli altri ex compagni di classe si scambiano sguardi imbarazzati. Davide e io lasciamo che si avviino verso la passerella dello yacht e ci attardiamo sul molo con i nostri trolley.
Lui mi si avvicina, goffo, si mette una mano nella tasca dei jeans e si piega con il busto verso di me. «Quando Andrea mi ha chiamato per dirmi della crociera tra le isole della laguna nord di Venezia, ho pensato che tu lo sapessi e che andasse bene anche a te. Invece non è così. Ti ho messo in imbarazzo, scusami».
Arretro di un passo e soppeso le parole che voglio rivolgerli. «No, Davide. Non sono a disagio. Sono sorpresa, semplicemente».
Lui mi studia, immobile e si fa serio. «Posso andarmene se non gradisci la mia presenza. Non c’è problema».
Mi avvicino, gli sfioro il braccio e scuoto la testa. «No, per favore. Rimani». M’interrompo, in colpa per come l’ho trattato. «È stato tanto tempo fa. Siamo adulti adesso».
Mi toccano a una spalla e sussulto. Ero così presa da quello che stava accadendo che non ho prestato più attenzione a quello che mi stava intorno. Mi giro e riconosco lo steward che ci sorride. «Tra poco salpiamo, se volete seguirmi, entriamo e vi faccio vedere le vostre cabine».
Più tardi, la luna è alta nel cielo incrostato da miriadi di stelle splendenti e proietta un morbido bagliore bianco sulla superficie del mare.
Marina si siede accanto a me su un divanetto a prua. «Senti, Giada, ho visto come vi siete guardati tu e Davide tutta la sera. Se ti piace ancora perché non glielo fai capire chiaramente?».
La guardo bonaria e accavallo una gamba. «Ha realizzato il suo sogno di fare il formatore internazionale, ma se gli chiedessi di cambiare vita per me, a lungo andare proverebbe risentimento nei miei confronti. Adesso le cose sono ancora più difficili».
Marina mi guarda e mi offre tutta la sua attenzione. «Non capisco, Giada. Ora siete adulti, avete realizzato i vostri sogni professionali e magari anche lui desidera una famiglia adesso».
Scuoto la testa. «È proprio questo il punto. Se Davide volesse dei figli, io non potrei più darglieli».
Marina mi mette una mano sulla mia, ferma. «Non dire stupidaggini: hai 39 anni. Sai quante donne hanno figli alla tua età?».
«No, Marina. Sono andata in menopausa anticipata qualche mese fa e nessuno ha saputo dirmi le cause. È troppo tardi per tutto con Davide, ormai. Viviamo vite inconciliabili» chiudo il discorso.
Marina rimane senza parole. «I figli si possono anche adottare o prendere in affido. Parlatevi, Giada: se Davide prova i tuoi stessi sentimenti, allora c’è ancora speranza».
L’umidità della notte in alto mare si fa sentire e ho un brivido. Mi stringo il golfino al petto ma mi viene anche uno sbadiglio, così mi alzo. «Per me è ora di andare a dormire. Grazie per i tuoi consigli, sei una vera amica: li terrò in considerazione».
Mi avvicino alla scaletta che porta in coperta alle cabine ma la oltrepasso e salgo alla terrazza in coperta, dove c’è il bar. Voglio prendermi ancora una tisana calda prima di coricarmi.
Il locale è deserto. Al bancone ci sono solo Davide, Andrea e il barman che li sta servendo. Mi avvicino alle loro spalle e faccio in tempo a sentire un frammento della conversazione di Davide, senza volerlo.
«Sono venuto quasi solo per Giada e sento che anche lei prova qualcosa per me, ma non capisco perché non mi dà la possibilità di avvicinarla. Sento come una barriera da parte sua».
Queste parole non mi fanno cambiare idea. Quando sono con lui mi sento completa ma non scoprirà mai il mio segreto. Non voglio la sua compassione.
Davide si volta per scendere dall’alto sgabello e ci troviamo faccia a faccia. Lui impallidisce e io arretro di qualche passo. «Sono venuta a prendermi una camomilla». Non so cos’altro dire.
Lui tormenta il braccialetto di cuoio sottile con un nodo nautico, che ha al polso. «Stai bene?».
«Sì, sì. Ho preso un po’ di freddo fuori e ho bisogno di qualcosa di caldo ora».
«Ottima idea. Allora a domani, Giada». E si allontana a passo spedito verso l’uscita.
Svegliarsi in barca la mattina e fare colazione con la cornice delle case colorate di Burano è fantastico. Il sole scintilla sull’acqua, e proietta brillanti schegge di luce contro l’esterno dello yacht. Lo sciabordio dell’acqua schiaffeggia lo scafo.
Davide, io e altri amici scendiamo dal caicco e c’incamminiamo lungo il molo, dove sono allineate barche di diverse dimensioni. Onde dolci le fanno oscillare e gli scafi urtano contro i piloni.Ci addentriamo e una brezza che porta il profumo salmastro dell’acqua mi tira il vestito e mi aggroviglia i capelli.
L’occhio mi cade sullo storico palazzetto del Podestà di Torcello, come mi indica la mappa che ho in mano. Mi volto verso il resto della comitiva: «Ragazzi, il museo del merletto è lì. Entriamo?».
Dei cartoncini sui vetri delle teche forniscono informazioni sui manufatti pregiati esposti. Colletti, stole di pizzo a motivi floreali. Rimango a bocca aperta.
Mi volto verso una parete con antichi affreschi sbiaditi, che lasciano intravedere motivi vegetali e medaglioni e mi avvicino alla teca con il manichino di una sposa che indossa un lungo velo a strascico, principesco. Davide mi indica una teca. «E guarda quel vestitino da battesimo: è sontuoso».
Ha toccato un tasto dolente per me, ma non lo sa. Guardo di sfuggita quella sfarzosa tunica, ma me ne allontano subito.
Davide mi si affianca e in quel momento mi balugina un pensiero che ho escluso fino a ora. Mi volto verso di lui. «C’è qualcuno d’importante nella tua vita?».
«Sì, c’è il mio lavoro. Adesso ho una proposta per un lavoro a Melbourne con una società di formazione internazionale».
Scuoto la testa. «Non so come fai a vivere così, sempre con il trolley in mano».
Lui scoppia a ridere. «Ho la libertà di andare dove voglio ed è bello girare il mondo».
Mi stringo nelle spalle e rifletto sulle sue parole. «Non voglio giudicarti ma non è un modo di prendere le distanze dagli altri, di scappare dalla vita reale? Non ti senti mai solo?».
Davide mi sorride indulgente. «Non ho proprio il tempo di annoiarmi. Ti confesso che mi hanno offerto un posto in una rinomata società di formazione aziendale a Milano, come trainer per adulti».Il cuore accelera i battiti e non posso nascondere il mio entusiasmo. «Ma è meraviglioso! Con l’esperienza che hai saresti un ottimo coach. E sarebbe un cambiamento enorme di stile di vita per te».
Lui ride. «Sì, ho realizzato tutti i miei sogni ma ora desidererei anche un matrimonio con chi ama la mia professione come me e dei figli. E tu, non ci pensi?».
Perdo il sorriso e faccio una smorfia. Mi aspettavo quella domanda dolorosa, quindi è inutile tergiversare sull’argomento. «Sono libera come te. Sono anch’io formatrice ma sono sempre rimasta qui in Italia e… non voglio avere figli».
Lui sgrana gli occhi, spiazzato. «Perché?».
Distolgo lo sguardo imbarazzata, ma decido di portare avanti la mia menzogna. «Non sarei una brava madre».
Lui incrocia le braccia sul petto e mi guarda dritto negli occhi, serissimo. «Tu? Non ti crederò mai».
Cala tra noi un silenzio imbarazzato, poi lasciamo il museo e torniamo in barca.
Il caicco ha ripreso il largo. Lo scafo fende l’acqua e le onde gli s’infrangono contro. Con i piedi nudi sul rivestimento in legno del ponte e i palmi delle mani appoggiati alla ringhiera, mi godo questo momento e ripenso alla conversazione di oggi con Davide. Se scoprisse che non posso più avere figli proverebbe pietà per me. Meglio fingere che non ne voglio. Non è giusto che io cerchi una relazione stabile con lui, perché sono impossibilitata a concepire. Impedirei a lui di realizzare i suoi desideri e se si stancasse di me, io rimarrei di nuovo sola. Stringo il corrimano fino a farmi diventar rosse le nocche della mano e sospiro… Non troverò mai la felicità. Invecchierò da sola, con nessuno cui importi di me.
La superficie del mare brilla dell’ultima luce del sole che affonda sotto l’orizzonte. Le bandiere sventolano in cima all’albero maestro e l’equipaggio vestito in uniforme si prende cura dello yacht, tra gli altri alberi e il sartiame. Alcuni parlano tra di loro, altri con noi ospiti. Il cielo digrada verso il rosa, il viola e sfumature di arancione più profonde.
La voce di Davide interrompe i miei pensieri. «Giada, vieni, inizia il laboratorio delle rotte nautiche con il capitano».
Lo guardo dritto negli occhi e scuoto la testa scettica. «Abbiamo perso la rotta molti anni fa e non l’abbiamo più ritrovata, Davide».
Lui mi sorride incoraggiante. «Possiamo farcela a ritrovarla. Fidati di me».

Vedere davanti ai miei occhi il profilo di Venezia al tramonto, alla fine della navigazione, mi riempie di commozione e fiducia nel futuro. La rotta per riportare lo yacht indietro l’abbiamo tracciata noi, insieme. Davide, accanto a me sul ponte, mi mette un braccio sulla spalla, orgoglioso. «Noi due siamo un grande team».
Siamo a Venezia e ondate di calore si sollevano dalla pavimentazione di Piazza San Marco. Alzo lo sguardo al cielo e le nuvole sono di un grigio talmente pesante che c’è una luce serale. Sposto lo sguardo sulla Torre dell’Orologio: le dieci in punto di mattina.
Mi scambio un’occhiata con Davide ma è lui che dà voce al mio pensiero. «Affrettiamoci perché tra poco si scatena un temporale». Troppo tardi: un lampo guizza in cielo, seguito da un tuono. Ci addentriamo tra le calli a passo spedito. «Ecco, è quello il negozio di stoffe!».
Metto la mano sulla maniglia e si scatena un diluvio che smorza il caldo.

Apro la porta d’ingresso e il campanello alla sua sommità suona. Un signore anziano ci accoglie. «Buongiorno, posso esservi utile?».
Ci avviciniamo al bancone. Il ripiano è cosparso di tessuti di lampasso, operati e decorati, di diversi tipi. Ce ne sono altri arrotolati e impilati nelle scaffalature alle sue spalle. Con un dito ne sfioro uno dallo sfondo bianco.
L’uomo mi si avvicina. «Le piace questo?».
Storco il naso: «A dir la verità ho un debole per i lampassi azzurro polvere».
«Ottimo gusto!». Mi volta le spalle e afferra due bobine dagli scaffali. Ne stende una con un lucente intreccio di esili ramoscelli e fiori. «Lo sfiori: è tridimensionale». Non ho parole, tanto è raffinato. Le stende sopra l’altra. «Anche questo è tridimensionale ma in più è policromo. Guardi i colori dei melograni…». Lancia un’occhiata a me e Davide al mio fianco. «In più sono anche di buon augurio, per il loro significato».
Impallidisco. «L’abbondanza, la fertilità» balbetto. Mi vengono le lacrime agli occhi.
Davide mi poggia una mano sul braccio. «Cosa succede, Giada?».
Non riesco a spiegarmi. «Scusami, non so come abbiano fatto a piombarmi addosso tutte queste emozioni».
Mi manca l’aria e l’espressione perplessa dei due uomini peggiora le cose. «Scusate, esco un attimo».
Riesco dalla porta a vetri e respiro a pieni polmoni l’aria fresca e salmastra.
Davide mi raggiunge alle spalle e la sua presenza silenziosa mi conforta.
Mi volto a guardarlo. Finalmente capisco che non posso continuare a tacere. «Va tutto bene ma ti devo una spiegazione. Davide, io non posso più avere figli. Sono andata in menopausa precoce un anno fa e quando il mio compagno lo ha saputo, mi ha lasciata».
Lui, pensieroso, si tocca la gola e se la schiarisce. «Non si smette di amare una persona per questo. I figli si possono anche adottare o prendere in affido».
Lo guardo a bocca aperta: le sue parole mi hanno rasserenata. Ancora non ci credo che il segreto che ho portato nel cuore per tutto questo tempo si sia dissolto così, grazie a questo imprevisto.
«Non mi sono fidata più degli uomini fino a quando ti ho rivisto. Con te ho capito che vale ancora la pena accettare il rischio di fidarmi, se questo mi porta all’amore».
Davide mi prende la mano e me l’accarezza. «Quando ci siamo lasciati e siamo andati ognuno per la sua strada, ho pensato che non ti avrei mai più incontrato. Il destino lavora in modo misterioso. Pensavo che la mia vita fosse il mio lavoro, che amo. Poi ho capito che mi ha portato a qualcosa di diverso. Di molto più bello: tu. Ricominciamo da qui, Giada?». Abbraccio Davide e una meravigliosa sensazione di calore mi s’irradia in tutto il corpo.
«Sono bastati questi pochi giorni per rendere più profondo quello che proviamo reciprocamente e sai cosa ti dico? Sì, adesso mi sento pronta a guardare il futuro con fiducia». Poi, lui mi bacia e dimentico tutto.

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Testimonianza pubblicata su Confidenze 23/2024

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