Dopo quello che mi è successo, preferisco mantenere relazioni di superficie per non soffrire. Ma Fabio è così gentile che finisco per aprirgli il mio cuore e raccontargli tutto. Sua sorella però mi avvisa: «Ha un’aria così affidabile, che attrae tante donne»
Storia vera di Mela B. raccolta da Simona Maria Corvese
Lancio un’occhiata all’orologio del display degli appuntamenti alla parete, accanto al corridoio del poliambulatorio che conduce agli studi dei medici. È quasi l’una e mi brontola lo stomaco. Tossisco per nasconderlo e consegno dei moduli da compilare a un’anziana di fronte a me, al bancone della reception.Dalla finestra aperta sento il vento sibilare lungo i pendii della montagna e far frusciare i pini. Uno scoiattolo sfreccia sul ramo di un abete rosso, la cui corteccia ruvida è a tratti ricoperta di muschio e si tuffa sotto le sue folte fronde d’aghi. In lontananza il rombo attutito di una cascata che precipita in un torrente.Lena mi da un colpetto con il gomito. «Finiamo con queste due persone in coda e poi chiudiamo. Non ci vedo più dalla fame».
Seduta alla scrivania registro dei dati al pc, con alle spalle il ronzio della stampante che emette dei fogli.
«Per favore, mi stampi questo documento per il laboratorio?». Alzo di scatto lo sguardo e di fronte a me ho una bella donna in camice bianco che mi studia e mi porge un post-it con un appunto scritto a mano. Non ha molti anni più di me. Accanto a lei c’è un medico.
«Mi dispiace, non so ancora farlo. Ho iniziato a lavorare qui oggi, ma mi sembra che non sia una cosa che devono fare gli amministrativi».
Lui mi sorride rassicurante. «Tranquilla, è corretto. Sono cose che di solito i dottori si stampano da soli» si volta verso la donna. «E tu lo sai».
La dottoressa mi fissa, con gli occhi che sono due fessure. Stringe la penna che ha in mano e gli risponde senza guardarlo. «Dovrà pure impararlo se rimarrà a lavorare da noi».
Io deglutisco intimidita di fronte al suo tono stizzito.
Lei, piccata, gira sui tacchi e se ne va.
Lui torna a voltarsi verso di me, rilassato, con un gomito appoggiato al bancone e gli occhi che ridono. «Lei è Sara, la nostra ginecologa».
Non so che cosa dire.
È Lena che rompe il silenzio. «Ti presento Mela, la nuova impiegata amministrativa che lavorerà per noi tutta l’estate». Si volta verso di me: «Lui è il mio fratellone Fabio, uno dei medici del poliambulatorio di famiglia. È sollevato che tu sia qui perché io non ce la facevo più a gestire l’amministrazione da sola».
Abbozzo un sorriso tirato. «M’impegnerò al massimo, ma se sbaglio qualcosa all’inizio, ditemelo e siate comprensivi, per favore».
Lui si protende con il busto verso di me.
«Non preoccuparti: segnalo e correggo sempre gli errori, altrimenti si ripetono. Vero, Lena?».
Lena scatta su dalla sedia e lo guarda dritto negli occhi. «Non spaventarla, Fabio. Non fare il dottore scontroso fino a quando non sarà autonoma. Ok?».
Lui mi rivolge un sorriso aperto che gli arriva fino agli occhi. «Non darle retta, Mela. Scherzavo: non sono scontroso».
Un piacevole tepore mi s’irradia nel petto. Gli sono simpatica.
Lena alza un sopracciglio, scettica. «Bene, allora conto su di te. Senti, noi due adesso andiamo in pausa pranzo».
Fabio si gira verso di lei e abbassa il tono della voce, ma sento allo stesso quello che le dice. «Lena, cosa ti è venuto in mente di assumere una bella ragazza come Mela? Immagina che effetto farà a Sara: la vedrà come una rivale».
«Non preoccuparti: ci sarò io con lei».
L’anziana signora mi consegna il modulo compilato e si volta verso Fabio. «Dottore, ma che carina che è la nuova ragazza. La sua fidanzata?».
Fabio la guarda, con gli occhi sgranati e si schiarisce la gola. «No, l’ho conosciuta anch’io stamattina. È compagna d’università di mia sorella: sono alla fine degli studi, ormai».
«Be’, allora si dia da fare: lei ha bisogno di una fidanzata». Un silenzio imbarazzante è calato tra tutti noi e mi vien da ridere per la situazione che si è creata.
Lena e io ce ne andiamo ma con la coda dell’occhio faccio in tempo a notare che Fabio ci segue con lo sguardo.
Il grande chalet di proprietà della famiglia di Lena non dista molto dal poliambulatorio. Dalla finestra della stanza che i suoi genitori mi hanno affittato per l’estate la luce di un rosa profondo del cielo e delle montagne si specchia sulla superficie liscia e lucente del lago, che cattura le tonalità dorate, ora più intense, del sole.
Ho bisogno di aria fresca per snebbiarmi la mente. Sono qui da un mese e non ho ancora fatto sport sul lungo lago. Indosso la tuta con il cappuccio, le scarpe da corsa ed esco. Imbocco il sentiero panoramico ma l’aria che scende dalla pineta e sussurra tra gli alberi a quest’ora della sera è gelida. Mi tiro su il cappuccio e mi infilo le mani in tasca, ma il mio abbigliamento è troppo leggero. Le onde lambiscono la riva rocciosa, con ghiaia colorata nei toni del grigio e del bianco. Affretto il passo, immersa nei ricordi del passato.
«Ehilà». Una mano entra nel mio campo visivo.
Mi manca un battito. Arretro di un passo e alzo la testa di scatto.
Fabio mi sorride, incoraggiante. «Tranquilla, sono io».
Mi porto una mano al cuore. «Che spavento. Scusami, ero sopra pensiero».
«Non era mia intenzione». Fa scorrere lo sguardo su di me. «Hai freddo?».
Io incrocio le braccia per tenermi caldo. «Si gela a quest’ora».
«Andavi da qualche parte?».
Riprendiamo tutti e due a camminare a passo sostenuto.
«Solo un giro del lungo lago ma è meglio che torno a casa».
«Ho il fuoristrada al parcheggio qui vicino. Vieni, ti do un passaggio a casa dei miei».
Salgo sulla sua macchina e al tepore del vano mi riscaldo subito.
Lui fruga con il braccio sul sedile dietro al mio. «Dovrebbe esserci una felpa in pile… Eccola! Tieni». Apro la zip e la indosso subito. Mi va larga, ma il suo calore è avvolgente.
«Grazie, ci voleva».
Lui mi studia. «Va tutto bene? Sei stata silenziosa tutto il tempo oggi in pausa pranzo». Il suo tono gentile e l’attenzione che ha nei miei confronti mi toccano.
Gli sorrido rassicurante. «Sono timida, ci metto un po’ a ingranare con gli altri, ma va tutto bene, tranquillo».
Anche lui mi sorride, fino agli occhi. «Ti capisco».
Mi viene un pensiero improvviso. «Andavi da qualche parte e ti ho rovinato la serata?».
Fabio ride. «No, facevo un giro anch’io prima di rincasare. Stasera ricevo degli amici».
Mi studia con un’occhiata fulminea e torna a guardare la strada. «I tuoi genitori saranno orgogliosi di te: studi e lavori tutta estate invece di fare vacanza come molti tuoi coetanei».
Mi faccio seria. «Non viviamo più insieme da due anni. Mia madre si è trasferita da sua sorella e io a Milano. Mio padre è rimasto in Calabria. Ha cercato di ricucire il rapporto e anche di stare con me, come ha potuto, dopo la disgrazia. Comunque ha permesso che questa situazione si trascinasse troppo a lungo».
Ho buttato fuori tutto insieme e adesso ho il fiato corto. In compenso Fabio è un ottimo ascoltatore.
Lui parcheggia il fuoristrada di fronte allo chalet. «Disgrazia?».
Sgrano gli occhi, stupita. «Credevo te lo avesse raccontato Lena».
Lui si schiarisce la gola e deglutisce. «No, non mi ha detto nulla». Con una mano stringe il volante, senza parole.
Io invece ho un nodo in gola ma voglio essere sincera. Faccio un respiro profondo. «Mio fratello si è tolto la vita due anni fa. Non ha lasciato alcun messaggio di spiegazione e per mesi abbiamo brancolato nel buio».
Fabio corruga la fronte e si strofina il viso. «E avete scoperto qualcosa?».
Mi torco le mani: è ancora doloroso raccontare questa storia e temo che sarà sempre così. «La polizia ha scoperto che aveva un compagno. Nessuno di noi in famiglia ne era al corrente, ma qualcuno in paese lo ha scoperto e ha cominciato a deriderlo in modo pesante. Andrea ha provato vergogna e non ha retto a quella situazione».
Fabio scuote la testa. «Mi dispiace moltissimo, Mela». Posa una mano sulla mia e mi pervade una sensazione di calore che mi è di grande conforto. Lo conosco da poco ma ho capito che è molto carino e non vorrei interpretare male la sua gentilezza.
«Sono sicura che se non ci aveva presentato il suo amico è perché non si sentiva ancora pronto a farlo. Noi lo avremmo accettato».
Fabio si stacca da me ma non con lo sguardo. «Non sentirti in colpa, Mela».
Non riesco più a tenermi dentro tutto quello che ho provato. Mi stacco dal sedile, di scatto. «E invece sì, Fabio! Era mio fratello: avrei dovuto notare qualche segnale».
Lui si appoggia allo schienale, calmo e mi guarda dritto negli occhi. «Non ti agitare, non è così».
Scuoto la testa, in disaccordo. «I miei genitori erano troppo assorbiti nel lavoro. Ne facevano anche due per mantenerci agli studi. Hanno trascurato la situazione senza volerlo, ma io non ho scuse». Non posso crederci: gli ho confidato i miei sensi di colpa e non è ancora tutto. «Se fossi stata più disponibile con lui, si sarebbe aperto con me. Vado giusto bene quando la vita è facile, ma quando le cose si fanno difficili, le persone non si rivolgono a me».
Fabio emette un profondo respiro e il suo silenzio mi trasmette calma. Ora che ho detto tutto mi accascio sullo schienale, svuotata.
Mi fa una carezza lievissima sul dorso della mano.
«Io non ti vedo così, Mela. Tu sei una ragazza matura».
Il mio cuore accelera i battiti: non mi aspettavo questa confidenza, ma sono spaventata perché mi fa piacere.
«Non puoi continuare a tormentarti così. Accetta quello che è stato, ma pensa anche a fare cose belle, che ti piacciono. Io credo che tuo fratello vorrebbe vederti felice».
Giocherello con l’elastico per la coda, che ho al polso ma annuisco e gli abbozzo un sorriso. Le sue parole mi allargano il cuore.
«Ecco, finalmente un sorriso! Senti, in paese c’è la fiera estiva. Puoi farci un giro con Lena: cerca di svagarti un po’. Magari ci vediamo lì una delle prossime sere e ti facciamo conoscere gli altri fratelli e sorelle della nostra famiglia».
Gli rispondo con un filo di voce. «Sì, volentieri». Non so come gestire tutte queste emozioni e mi affretto a scendere dalla macchina. «Grazie ancora per il passaggio. Buona serata».
Salgo le scale che portano alla mia camera e Lena m’intercetta sul piano. «Tutto ok?».
Mi fermo con la mano ancora sul corrimano. «Sì, ero uscita di casa troppo leggera e Fabio mi ha dato un passaggio a casa. La prossima volta metto la tuta più pesante».
Lena mi guarda preoccupata. «Mela, Fabio è molto carino nel modo di fare e la sua gentilezza a volte viene fraintesa».
Finisco di salire le scale. «Tranquilla, non ho pensato che sia interessato a me. Ho capito che è solo una persona sensibile».
Lena annuisce, seria. «Fabio ha un’aria affidabile che attrae le donne e ti da tutta la sua attenzione: tu hai l’impressione di essere importante per lui e che quello che dici sia interessante. E sei importante per lui mentre gli parli… ma come essere umano».
Deglutisco a fatica: è quello che ho provato poco fa in macchina con lui. Un’infatuazione non è amore e non può farmi soffrire quanto lo farebbe se evolvesse in qualcosa di più. Tuttavia temo che il suggerimento di Lena mi giunga in ritardo. Lui mi vedrà davvero come ha detto lei?
Sono alla fiera del paese. Grandi tende circolari di tela ospitano uno zoo didattico. Dei muli ragliano e dei pony scalpitano nei recinti. Dei bambini pescano paperelle a uno stand per vincere premi. Altri si stringono intorno a un carretto alimentare che vende fette di torta, ciambelle e mele candite. Giro tra le bancarelle e mi avvicino a quella del mercato contadino, con formaggi, vasetti di miele e di confetture di frutta.
«Preferisci i sapori asprigni o quelli dolci?».
La voce alle mie spalle è inconfondibile: è Fabio.
Mi giro di scatto con il sorriso sulle labbra. «Dolci».
Lui mi sorride anche con gli occhi, con quell’espressione che mi dà tutta la sua attenzione. «Allora assaggia la confettura di sambuco: si abbina anche ai formaggi».
Mi volto verso il contadino e indico il vasetto di sambuco. «Acquisto quello».
Prendo il sacchetto con la confettura che mi porge il commerciante e nel girarmi incrocio lo sguardo di Fabio. Lo saluto con un cenno del capo e un filo di voce. «Grazie per il consiglio. Buona serata».
Lui mi fa un cenno privo di energia con la mano, senza parole. Preferisco mantenere relazioni di superficie con lui, così evito di soffrire. Ma a chi voglio farlo credere? Anche sfuggirgli così mi angoscia. Ho già provato abbastanza dolore con quello che è accaduto alla mia famiglia e non so se quello che ha fatto mio fratello sia dovuto a una depressione. Anche mia madre è in cura per la stessa cosa e non so se questo è un patrimonio genetico della mia famiglia, che potrei trasmettere a dei figli. Faccio qualche passo con le spalle curve e lo sguardo abbassato verso il sacchetto, ma una mano mi tocca il braccio, alle mie spalle. Mi volto incredula, è Fabio. «Mela, sta tranquilla, va tutto bene».
Gli altoparlanti diffondono musica country. La fiera è gremita di persone che ci passano vicino, parlano, ridono, ma in questo momento non ne percepiamo la presenza. Lui mi accarezza il braccio e il peso che avevo al cuore se ne va. Tutta la tensione che avevo agli arti si dissolve.
Fabio però si fa serio. «Mela come accoglieresti l’idea di pranzare con me una delle prossime sere? Domani parto per Milano per un corso di aggiornamento ma tornerò tra una settimana».
Mi manca un battito, ma parlo con la voce del mio cuore. «Ne sarei onorata, Fabio. Quando sono con te ho la sensazione che tutto sia possibile».
Lui mi prende le mani tra le sue, me le sfiora con le labbra e le avvicina al suo petto. «Mi rendi molto felice, Mela. Allora lasciamo le cose così, finché non tornerò».
Fabio e io prendiamo insieme la spatola per tagliare la torta nuziale, in posa davanti al fotografo. Mi guardo intorno e vedo tutte le persone che sono state testimoni della nascita della nostra storia, tre anni fa. Ci sono soprattutto i miei genitori che sono tornati a vivere insieme. Guardo pensierosa il braccialetto di mio fratello, che ho al polso: oggi anche lui è con me. Mi volto verso Fabio e vedo l’uomo aperto e onesto, che con pazienza e gentilezza mi ha aiutato a lasciar andare quello che è stato. Ci baciamo. «Visto che avevo ragione io, Mela? Alla fine siamo tutti insieme, perché quello che ci ha sempre unito è la forza dell’amore.»●
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