Storia vera di Laura B. Raccolta da Sabrina Bergamini
Due volte quattro. Il gesto della mano è lento, preciso, inequivocabile. Mi sveglio di soprassalto. Sento il cuore pulsare forte nelle tempie. L’immagine che ho sognato mi sta ancora dinnanzi. Dalle tende color crema filtra tenue la luce del sole. Strizzo un paio di volte gli occhi che faticano ad adattarsi e mettere a fuoco la stanza. Mi appoggio sui gomiti e afferro l’orologio sopra il comodino. Sono le 8.30. Accidenti. Detesto non riuscire a salutare i ragazzi prima che escano per andare a scuola. Ci tengo che mi trovino in cucina pronta a preparargli al volo qualcosa da mettere sotto i denti, anche se non accade praticamente mai, scendono con lo zaino già in spalla e al massimo agguantano al volo una brioche prima di uscire.Ultimamente dormo male di notte, mi giro e rigiro nel letto, riesco a prendere sonno quando ormai è l’alba e quando suona la sveglia nemmeno la sento perché mio marito provvede a staccarla al primo trillo per non interrompere il mio riposo. È sempre stato molto premuroso nei miei confronti, devo riconoscerlo. Non ho mai sofferto di insonnia, forse sono questi dannati ormoni, chissà. Durante l’ultima visita, il ginecologo mi ha parlato della possibilità di una menopausa precoce. Spero proprio di no, sono ancora così giovane. Il getto d’acqua che arriva dal bagno mi distrae momentaneamente dai pensieri. Poco dopo mio marito compare sulla soglia della porta, asciugamano stretto in vita ed espressione preoccupata.«Hai sognato un fantasma?» mi domanda posando le sue labbra sulle mie. Lo guardo allontanarsi verso l’armadio e lo osservo mentre inizia a vestirsi dopo aver scelto cosa indossare.
«No, anzi sì. Ti ricordi mia nonna Maria?».
Lui posa i suoi occhi scuri dentro ai miei per un breve istante, poi torna ad abbottonarsi con cura la camicia bianca. «Certo che mi ricordo, come potrei averla dimenticata? Tua madre, quando eravamo fidanzati, ci costringeva a trascorrere da lei ogni domenica» risponde con una risata. Il suo buonumore riesce a strapparmi un sorriso.
Mentre bevo il caffè cerco di organizzarmi mentalmente la giornata. Niente di importante: estetista alle 11, pranzo in centro con Gabriella, passare in lavanderia, lezione di yoga nel pomeriggio. Sono una donna che non ha mai avuto bisogno di lavorare e che si ritrova improvvisamente con troppo tempo libero.
Quando i figli erano piccoli, trovavo delizioso poterli accudire in ogni momento della giornata, poterli accompagnare a scuola, aiutarli a fare i compiti, intrattenermi a conversare con le altre mamme, assistere ai loro allenamenti di danza e judo. Non solo: mi sentivo una privilegiata. Non invidiavo di certo quelle donne che dovevano fare i salti mortali per conciliare carriera e famiglia. Spesso per scelta, ma il più delle volte per la necessità di arrivare a fine mese. Poi, quasi senza che me ne rendessi conto, quasi per magia, ecco che i miei figli mi hanno giocato il brutto scherzo di diventare adolescenti, imbronciati e riservati, quasi sempre di pessimo umore e soprattutto indipendenti. Adesso, al massimo mi chiedono un passaggio in macchina, ma proprio solo quando non ne possono fare a meno. E così io mi ritrovo a dovermi inventare una nuova routine per non cedere al tedio. Ma non posso lamentarmi.
Sono una donna invidiata, in quante farebbero carte false per essere al mio posto? Mentre bevo il mio caffè macchiato al latte, lascio scorrere lo sguardo sulla mia casa, frutto del duro lavoro di mio marito, imprenditore che si è fatto da solo, come si usa dire. Mi alzo e raggiungo il salone. Lo osservo come se lo vedessi per la prima volta. Mi compiaccio con me stessa. Mi sono occupata personalmente di arredare ogni angolo, non ho voluto delegare nulla a nessuno, ho scelto tutto io, dal colore delle pareti ai tessuti delle tende.
Poso gli occhi sulle foto appese qua e là a testimonianza degli eventi più importanti che hanno costellato questi anni e dei luoghi più belli che abbiamo visitato. “Sì, sono una donna fortunata” mi ripeto nella mente: Ludovica e Luca sono ragazzi stupendi, generosi, impegnati nel volontariato, sempre pronti ad aiutare il prossimo.
Ultimamente sono molto permalosi ma la ribellione fa parte della crescita, l’ho letto da qualche parte e deve essere certamente vero. Alberto mi ama ancora come il primo giorno, certo ogni matrimonio ha i suoi alti e bassi ma il nostro è solido come una roccia. Tiro un sospiro di sollievo, cercando di cacciare in fondo allo stomaco quel senso di malessere che mi accompagna dal risveglio e che proprio non mi riesco a spiegare. L’ombra di cattivi presagi mi avvolge per il resto della giornata.
Vicino alla palestra che frequento c’è una tabaccheria, non ci ho mai messo piede ma questa sera, dopo la lezione di yoga, decido di entrare e seguire il consiglio di mio marito. Gioco i numeri che mi ha portato in sogno mia nonna, in tutte le combinazioni possibili. Il sabato seguente controllo se ho tra le mani la schedina fortunata. Nulla, non ho vinto nemmeno 5 euro. Archivio tutto in un angolo della mente, probabilmente è stato un sogno senza nessun significato particolare, inutile continuare a rimuginarci sopra.
L’ombra dei cattivi presagi si trasforma in realtà un mese dopo. Una telefona all’alba mi annuncia la morte di mio fratello Gilberto. Le circostanze in cui ha perso la vita lasciano spazio a molti dubbi, tra questi, si insinua ben presto quello che il suo sia stato un gesto volontario. La sua macchina, infatti, si è schiantata contro un pilone, sulla strada sono completamente assenti i tentativi di una frenata. Da tempo mostrava i segni di una depressione latente, segni a cui nessuno aveva dato la giusta importanza. Tutti, in famiglia, ci sentiamo improvvisamente colpevoli per non averlo aiutato, per non essere stati più presenti. Sapevamo che con la moglie stava attraversando un momento difficile, ma per la verità il loro rapporto era sempre stato in crisi, a complicarlo i problemi economici e le figlie che avevano iniziato a mostrare un certo malessere legato ai disturbi alimentari.
Il giorno del funerale, mentre tengo la mano di mia madre stretta nella mia, mi attraversa la mente, come una lampo a ciel sereno, l’immagine di mia nonna. Due volte quattro. La data della morte di Gilberto. Mio fratello infatti è morto il giorno 4 del quarto mese dell’anno. Ecco il significato del sogno. Ecco cosa era venuta ad annunciarmi la mia nonna. Da quel momento non riesco a darmi pace. Non oso condividere questo pensiero con nessuno, non voglio essere scambiata per pazza ma non riesco a far a meno di pensare a come avrei potuto decifrare il messaggio invece di giocarmi i numeri. Ma la verità è che non avrei potuto decifrarlo in nessun modo. Prendo l’abitudine di passare a trovare mia madre ogni mattina. È una donna distrutta.
Per la prima volta la vedo indifesa, lei che è sempre stata la vera colonna portante della nostra piccola tribù, lei che non si è mai lasciata piegare dalle tempeste che la vita le ha riservato, adesso sembra una rosa recisa, non c’è più linfa vitale che scorre nel suo sangue.
«Tuo fratello è sempre stato il più sfortunato di voi tre. Lo sai che quando è nato, in un primo momento l’ho rifiutato? Dopo la nascita di Carlo desideravo una femmina con tutta me stessa. Chissà, forse quel primo rifiuto gli è entrato dentro, si è insinuato nel suo cuore e lo ha contaminato per il resto dei suoi giorni. È sempre stato diverso da te e tuo fratello, così solitario, così introverso, ha sempre faticato a farsi degli amici, ai coetanei ha sempre preferito la sua canna da pesca, il silenzio della campagna. Ho sempre trovato che ci fosse qualcosa di sbagliato. Poi ha incontrato Anna e l’ha sposata in fretta e furia, hanno avuto due figlie e questo in qualche modo mi ha tranquillizzata. Eppure è sempre rimasta in lui l’ombra di un dolore, di una sofferenza nascosta. Io la vedevo» mi confessa un giorno, lo sguardo perso nel vuoto, gli occhi pieni di lacrime.
«Non dire sciocchezze. Tu non hai nessuna colpa».
Una mattina, arrivo e trovo mia madre stranamente allegra. Sul suo viso si è dipinto l’accenno di un sorriso. Si offre di prepararmi un caffè. Sedute attorno al tavolo con davanti le nostre tazze bollenti, mi confida di aver sognato nonna Maria: «È comparsa ai piedi del letto. Era così reale. E poco dopo, sai che cosa è successo? Sono comparsi nonno Eugenio e nel mezzo tuo fratello Gilberto. Capisci? Sono venuti a dirmi che sono finalmente insieme e sono felici, l’ho letto suoi loro volti. Adesso mi sento più tranquilla. Mi sono svegliata e ho sentito che la tristezza era svanita per lasciare spazio a una serenità nuova, che non avevo mai assaporato prima».
Mia madre morì sei mesi più tardi.
La trovai distesa sul suo letto, le mani giunte come in preghiera e quel sorriso appena accennato che non l’aveva più abbandonata dalla notte del sogno.
Sono passati 20 anni. 22 per l’esattezza. E in questi anni, il vento del cambiamento si è abbattuto violentemente su di noi: la fabbrica di mio marito è stata fagocitata dalla globalizzazione, spazzata via dai nuovi mercati emergenti. Abbiamo perso praticamente tutto. Tutto tranne la voglia di combattere e stare insieme, uniti nella buona come nella cattiva sorte. Abbiamo scelto una piccola città di mare per ricominciare. È stata dura all’inizio, non posso negarlo.
Eppure, in questa sera d’agosto, sotto un cielo di stelle, mi attraversa lo stesso pensiero che feci quella mattina nella mia cucina: sono una donna fortunata.
I miei figli sono diventati due adulti responsabili e realizzati: Ludovica mi renderà nonna per la seconda volta tra pochi mesi, Luca si dichiara eternamente single, io spero che prima o poi trovi la sua anima gemella, ma in fondo che importa, basta che sia felice. Li osservo mentre si divertono insieme alle loro cugine. Fabiola e Lucrezia, le figlie di mio fratello, ci raggiungono ogni anno per trascorrere insieme la tradizionale festa di Ferragosto che organizza il nostro lido. Con loro ci sono state tante incomprensioni ma l’affetto ha saputo appianare le divergenze, il tempo ha ricucito gli strappi, sanato le ferite. La serata è iniziata con la messa in mare di tante piccole barchette illuminate, ognuna accompagnata da un desiderio segreto e adesso prosegue al ritmo della musica revival. E mentre le note di Bandiera gialla si disperdono nel vento, sento una forza misteriosa che mi afferra alle spalle e mi costringe a voltarmi verso il mare.
Mi alzo trasecolata, mi sfilo i sandali dai piedi e a passi svelti raggiungo il bagnasciuga. L’acqua lambisce le mie caviglie. E improvvisamente li vedo. Arrivano uno per volta, fino a formare un quadro perfetto. Prima nonna Maria, poi nonno Eugenio, mio fratello e infine mia madre. Faccio un passo verso di loro. Poi un altro. È quando l’acqua mi arriva fino al ventre che il braccio di mia nonna si alza. Io mi fermo all’istante. Temo un nuovo segno che non saprò interpretare.
Invece la sua mano si ferma.
La sua mano aperta e immobile stabilisce una distanza tra questo e l’altro mondo, mi invita a non proseguire oltre. Non è ancora la mia ora. Improvvisamente come sono apparsi, scompaiono. Resto a fissare il vuoto, il nero del cielo che incontra il blu del mare e si mescolano all’infinito davanti ai miei occhi increduli.
Poi mi volto. I miei passi, adesso, sono incerti. Guardo le mie orme subito risucchiate e cancellate dalle onde. È proprio vero: siamo solo di passaggio in questo mondo. Siamo polvere. Ma adesso so con certezza che qualcosa di noi resta per sempre, non solo nei ricordi di chi ci ama, ma nell’eternità dello spazio che ci ha accolti. E dopo questa vita qualcosa ci attende.
Il sogno di tanti anni fa era questo che voleva dirmi: c’è altro dopo la morte. Per tanto tempo mi sono colpevolizzata per non aver interpretato nel modo giusto il sogno, ma mia nonna non voleva che cambiassi il corso degli eventi, forse nessuno può farlo.
Voleva farmi sapere che c’è qualcosa di più grande che ci attende dopo la morte, che il passaggio non è la fine di tutto.
Mentre mi avvicino al lido, le note della canzone riprendono esattamente da dove le avevo lasciate. “Finché vedrai, sventolare bandiera gialla, tu saprai che qui si balla”.
È ancora tempo, per me, di ballare.●
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