La preoccupazione su quali cibi mangiare, e soprattutto quali evitare, è senza dubbio quella che, da nutrizionista, riscontro più spesso nei miei pazienti oncologici.
Visto che ottobre è il mese dedicato alla sensibilizzazione sulla prevenzione del tumore al seno, voglio cogliere l’occasione per fare un po’ di chiarezza su due alimenti molto controversi e temuti dalle donne: la soia e il latte, nonché i loro derivati. Aggiungerò poi alcune precisazioni su una sostanza i cui effetti carcinogenici vengono invece tipicamente sottostimati, ovvero l’alcol.
Ma andiamo con ordine.
La soia, in tutte le sue forme (fagiolo tal quale, “latte”, tofu, miso ecc.), è stata a lungo additata come possibile responsabile di un aumento del rischio di cancro al seno. La colpa? Del suo contenuto in fitoestrogeni (isoflavoni, in particolare), molecole dalla struttura chimica simile a quella degli estrogeni, gli ormoni femminili, che in effetti hanno un ruolo importante in circa due terzi dei tumori della mammella. Da qualche anno, però, grazie a ricerche sempre più approfondite, sappiamo che il consumo di soia fino a ben tre porzioni al giorno è sicuro, persino nella donna che ha o ha avuto una neoplasia mammaria. Anzi, consumare soia sembra ridurre il rischio di recidive. Considerato che molti medici raccomandano tuttora alle loro pazienti con carcinoma della mammella di evitare tempeh, edamame & Co., tocca constatare che i sospetti sulla soia come fattore di promozione del tumore del seno sembrano decisamente duri a morire. Ma sono infondati.
Latte e derivati (formaggi e yogurt, innanzitutto) sono oggi, nell’era dei social, non di rado criminalizzati quando si tratta di cancro al seno. Qui la responsabilità sembra soprattutto di alcuni medici e nutrizionisti, anche molto noti, che demonizzano i latticini per ragioni ideologiche e visioni personali più che sulla scorta di precisi riscontri scientifici. Il tam tam della rete, poi, fa il resto, amplificando a dismisura posizioni che nel mondo scientifico non sono semplicemente minoritarie: sono francamente sbagliate. Infatti, le principali istituzioni mondiali che si occupano delle relazioni tra tumori e stile di vita, come il WCRF, il Fondo mondiale per la ricerca sul cancro, dopo aver esaminato la complessità delle ricerche sull’argomento svolte negli anni, in ogni parte del mondo e su milioni di donne, affermano che non esistono prove convincenti sul collegamento tra consumo normale di latte e derivati e aumento del rischio di cancro al seno. Ci sono invece alcune evidenze che il consumo di latticini riduca la probabilità di sviluppare una neoplasia mammaria nelle donne in pre-menopausa. Tuttavia, soprattutto alle donne che hanno già avuto un tumore al seno, viene raccomandato di ricorrere alle versioni scremate o parzialmente scremate dei latticini, perché i grassi – questi sì – sappiamo che possono aumentare il rischio di recidiva.
Tante donne escludono immotivatamente soia e latte dalle loro diete e continuano allegramente a sorseggiare vino o birra (e spesso pure amari e superalcolici). Ebbene, se vuoi eliminare qualcosa, taglia l’alcol e tutto ciò che lo contiene: a livello medico e istituzionale se ne parla ancora, colpevolmente, troppo poco, eppure l’alcol è fortemente implicato nell’aumento del rischio di cancro della mammella. Ha infatti la capacità di danneggiare il Dna ed elevare il livello di infiammazione nel corpo, fattori con una riconosciuta responsabilità nello sviluppo delle malattie oncologiche. Inoltre, l’alcol stimola l’azione degli estrogeni (lui sì, non la soia!). Le donne, per giunta, metabolizzano l’alcol – e quindi lo eliminano – con più difficoltà degli uomini, quindi esso persiste nell’organismo più a lungo, provocando danni maggiori: la Fondazione Veronesi ricorda che un terzo dei nuovi casi di tumore al seno ogni anno sono legati a bere l’equivalente di due piccoli bicchieri di vino al giorno.
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