Uno studio dell’università norvegese della Scienza e della Tecnologia sostiene che scrivere con la penna sulla carta facilita l’assorbimento delle nozioni. In più, favorisce la coordinazione tra mano, occhi, linguaggio, memoria, logica, intelligenza spaziale e pensiero astratto.
L’elenco lunghissimo non è non previsto, invece, dall’uso della tastiera, che impone movimenti meccanici, ripetitivi. E deleteri, visto che scambiano la consapevolezza con la velocità.
Dopo aver letto queste informazioni nell’articolo Con carta, penna e fantasia (su Confidenze in edicola adesso) ho avuto un momento di smarrimento.
Perché se da un lato sono una grafomane nel profondo (la mia casa è piena di quaderni, quadernetti, matite, pennarelli & Co.), dall’altro so bene quanto l’avvento di computer, tablet e smartphone abbia semplificato la vita di noi giornalisti.
Da sempre ci è stato ripetuto come un mantra di non uscire di casa senza lapis e block notes, per poter annotare notizie e dichiarazioni in qualsiasi momento. Ma ormai l’insegnamento è assolutamente superato.
Al giorno d’oggi, infatti, il reporter che si trova inaspettatamente testimone di un fatto clamoroso sfodera il cellulare, digita la cronaca e la invia subito alla sua redazione. Con tanto di foto.
Insomma, in un nano secondo fornisce al caposervizio un lavoro completo, confezionato con i fiocchi. Impresa impensabile nel passato.
Certo, io non sono una reporter in prima linea. Eppure, anche per me la rapidità della tastiera è una manna dal cielo. Perché mi permette di scrivere in tempo reale ogni sacrosanta parola delle persone che intervisto. Quindi, mi evita di registare. E il fastidio nel sentire la mia voce durante la fase di sbobinatura.
Detto questo, quando finisce il colloquio e stampo la chiacchierata, aggiungo sempre qualche annotazione scritta a mano: l’unico modo per fissarla nella memoria e trasformarla in un articolo.
Insomma, cerco di non scambiare la consapevolezza con la velocità.
Tutto cambia lontana dal lavoro. Dove l’agenda, ovviamente cartacea, è una fedele compagna sulla quale, oltre agli impegni, riporto i miei fatti personali: cosa ho fatto, chi ho sentito al telefono, i programmi della sera.
In realtà, gli appunti sono molto brevi rispetto a quelli dei tempi della scuola. Allora per scrivere sceglievo pennarelli diversi. E per dare la giusta valenza ai fatti, alternavo varie grafie: stampatello, corsivo, caratteri grandi, piccoli, più o meno tondi, a volte con prospettiva.
Se avessi più tempo, credo che ancora adesso riserverei al diario tante attenzioni. Ma il risultato, alla fine, non cambia: anche sfogliando i più recenti, stringati ed essenziali nella grafica, riesco comunque a ricordare perfettamente i momenti felici, quelli complicati, i frenetici e i rilassati.
Tutto ciò conferma quanto carta e penna sollecitino la coordinazione tra mano, occhi, linguaggio. E memoria!
Ma la vera forza dello scrivere a mano è un’altra: regala mille emozioni. Un dono che alla tastiera non possiamo chiedere.
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