Miss smemorina

Cuore
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È la storia più votata dalle lettrici per il n. 42: un racconto leggero e a lieto fine

Era Matthew, il mio ex fidanzato, a chiamarmi così. Allora ero innamorata di lui e mi perdevo nei miei pensieri. Ma oggi? Sono sola, rischio di arrivare in ritardo alla Cresima di mio nipote e forse a un nuovo appuntamento con l’amore

Storia vera di Giovanna S. raccolta da Elena Macchi 

 

Le sette del mattino e già la mia cucina è un conte- nitore di luce. A piedi nudi attraverso il locale. Intrappolato tra le pareti, avverto l’odore del cibo che ho cucinato ieri sera. Con disappunto mi accorgo di avere dimenticato di congelare l’arrosto e la pasta al forno cucinati per la prossima settimana. Questa giornata mi vedrà impegnata nel ruolo di madrina di Cresima del mio nipotino Aldo. Non sono avvezza a essere invitata a feste. Per non parlare di quest’altro ruolo di madrina, che richiama un impegno anche futuro. Mio fratello Alberto e il mio adorato nipotino hanno però tanto insistito che senza troppe resistenze ho capitolato. Alberto, in famiglia non ha trovato nessun altro che abbia mantenuto un legame con la pratica religiosa. Non che io sia una bigotta, ma frequento la parrocchia per il gruppo della corale. Ho le prove ogni giovedì sera, e cerco di essere sempre presente alla Messa della domenica. Non ho impegni familiari. Sono quella che una volta si sarebbe detta zitella, e oggi single. Per scelta? Forse. Ma che m’importa? E poi quali sarebbero gli svantaggi? È forse uno svantaggio sentirmi libera di fare e decidere di testa mia, senza dover dare rendiconto alcuno? Lo so, ho un indole molto individualista.

Forse qualcuno potrebbe addirittura definirmi “asociale”. Nego nel modo più assoluto. Ho le

mie amicizie. Ho avuto anche storie d’amore. Una in particolare, tanto tempo fa, ma questa è un’altra storia, che chissà perché, mio fratello Alberto di tanto in tanto va a ripescare dall’archivio dei ricordi. Sono forse, anzi senza forse, un tantino distratta. A volte mi perdo nei miei pensieri, imbarcandomi in solitari e fantasiosi viaggi della mente. Ho un’attenuante però, che mi permette di perdonarmi sempre. È il mio lavoro creativo: sono una sceneggiatrice, lavoro soprattutto per la tivù. Scrivo dialoghi, immagino situazioni, vivo di idee e di spunti. Ho sempre bisogno di scappare,

così continuando a evadere, le distrazioni aumentano. Ma ora devo concentrarmi su questo, seguire il programma per questo progetto super impeccabile.

Oltre che da madrina, farò anche da solista nel coro, per il canto iniziale e finale. Poi mi defilerò e sarò tutta per il mio Aldo.

Entro nella cabina armadio, alzo lo sguardo alle grucce, e realizzo che il tailleur che dovrò indossare per la cerimonia non c’è. Com‘è possibile? Poi mi ricordo che l’abito è ancora in sartoria, dove l’avevo portato per un ritocco e mi sono dimenticata di ritiralo ieri. Devo assolutamente recuperarlo al più presto. Mi attacco al telefono, mentre sono alle prese con l’ostile apertura del rotolo di pellicola per alimenti, destinata a fasciare il cibo dimenticato. «Pronto, parlo con la sartoria?».

«Sì, dica pure».
Nel medesimo istante, mi scappa un urlo, dopo che l’affilatissima lama seghettata della confezione ferisce le mie dita. «Pronto?» ripete la voce, prima che la mia inizi a spiegare. Alla fine l’abito l’ho ritirato, ma c’è un problema: avevo segna- to male la lunghezza da ritoccare, la sarta non ha avuto tempo di risistemarla adesso e mi ritrovo con l’orlo dei pantaloni che farà da spolverino al suolo. Pazienza!
Prossima tappa: parrucchiere. Non faccio in tempo a uscire dal negozio che le nuvole si gonfiano di pioggia. Una pioggia che scende fitta e velocissima, infilandosi nell’intreccio complicato della mia acconcia- tura, che va via via appiattendosi sul capo. Sospiro, ovvia- mente, per non smentirmi, ho dimenticato l’ombrello. Rientro a casa. La prima cosa che vedo è il tacco a stiletto delle mie nuovissime scarpe. Non farà certo un figurone, dal momento che verrà nascosto totalmente dalla lunghezza di quel tragico orlo.
Squilla il cellulare: «Ciao sorellina smemorina, ricordi che oggi sarai madrina del tuo adorato nipotino Aldo?».
La risata divertita di mio fratello attraversa il ricevitore e arriva impertinente al mio orecchio. «Sei il solito idiota Alby, ma che ti credi, che mi sia to- talmente rimbambita?» rispondo piccata.
Alberto mi ha chiamata al telefono con un soprannome che conosco bene: Smemorina. Era Matthew a chiamarmi così:

”Miss Smemorina”, con il suo affascinante accento inglese, dalla forte inflessione americana. Io appena adolescente mi ero innamorata di lui. Matthew era uno studente fuori sede, compagno di università di Alberto alla facoltà di Medicina.

Posso dire che la mia famiglia l’avesse praticamente adottato. Era il classico ragazzone americano a cui serviva abbassare la testa per entrare nel nostro garage, stringersi un po’ nelle spalle da rugbista, e posare quello sguardo vivace e così profondamente celeste, sulla moto di Alberto, compagna delle loro scorribande estive. Solo qualche tempo dopo, Matthew si era accorto finalmente di me, quando ormai ero innamorata senza via d’uscita. Ho ancora nostalgia di quel suo sorriso aperto e contagioso. Per quattro meravigliosi anni, siamo stati fidanzatissimi. Inevitabilmente, però, dopo la laurea in Medicina, lui ripartì per tornare a casa sua, nello stato del Maine, sull’Oceano Atlantico. Inutile dire che la nostra storia subì un naufragio tra le onde dell’oceano che ci separava.

È stata l’unica storia che mi ha regalato sentimenti davvero travolgenti, che non ho mai dimenticato, a differenza di quelli vissuti in altre relazioni anche più recenti.

Rieccomi alla mia sbadataggine. Ho dimenticato di chiamare il tecnico del frigorifero che perde, per la riparazione. Oggi non me ne va dritta una, lancio un’imprecazione ad alta voce, e le mani tra i capelli, a rovinare definitivamente quel che resta della mia pettinatura.
Mi precipito in cucina. In zona frigorifero, mi aspetta insidiosa una pozzanghera che piano piano si allarga sotto i miei piedi. Un battito di ciglia e mi ritrovo a terra con il peso di un piombo. Mi rialzo immediata- mente con il fondoschiena dolorante, trascinandomi al telefono nel disperato tentativo di trovare un tecnico salvifico. Qualcuno risponde!

«Alle 16? Non potrebbe anticipare di un paio d’ore? Io a quell’ora ho le prove di canto per solista, e prima di quell’ora devo essere dall’estetista e dopo ancora…».

Mi rendo conto di parlare a ruota libera, facendo confusione e buttando fuori tutta la mia disperazione. In una mia pausa per prendere respiro, esclama esausto: «E va bene, ho capito. Facciamo per le 14».

Per ottimizzare i tempi, mentre il tecnico lavora, ho indossato abito e scarpe, cercato di ravvivare la pettinatura con scarso successo e fatto la spola tra bagno e cucina per controllarlo. A fine lavoro, l’ho quasi spinto fuori dalla porta. Mi sono precipitata in auto, diretta da Mariella, la mia estetista storica, e adesso finalmente sono pronta, mi regalo un gran sorriso. Con ritrovato ottimismo, arrivo in chiesa accompagnata dal maledettissimo ticchettio dei tacchi a stiletto, che non si vedono, ma si sentono.

Eccomi circondata dai miei colleghi coristi. «Finalmente Giovanna! Ti aspettavamo per cominciare le prove». «Scusatemi, ma oggi un imprevisto chiamava l’altro. Ma adesso è tutto a posto, eccomi qui pronta a dare il meglio di me» esclamo sorridendo.

Lo sguardo di Annalisa si cristallizza sull’orlo dei miei pantaloni, lo seguo mortificata. Ora  mi guarda con fare tra il basito e l’interrogativo. «Sicura che sia tutto a posto?».

«La sarta non ha potuto finire il lavoro» rispondo eludendo il vero motivo.

La sua voce viene assorbita dalle prime note dell’organo: tocca a me. Intono il canto, che con grazia si mescola alle vibrazioni dell’aria, sprigionate dalle lunghe ed eleganti canne dell’organo e si trasforma in musica. Ecco il mio nipotino, Aldo, che avanza un po’ impacciato nel suo abito della festa.

Tutti i cresimandi sfilano nella navata centrale, con una piccola lanterna bianca tra le mani, accesa da una fiammella di candela.

Che emozione guardarli da qui. Sono al suo fianco, ci salutiamo con un sorriso, la mia mano appoggiata alla sua spalla, che stringo un po’. Voglio dirgli che ci sarò per lui. Sempre. Insieme attendiamo che il ve scovo ci chiami all’altare per l’apposizione del Sacro Crisma. Per il canto finale, ho ripreso la mia posizione da solista. Arrivo al microfono e comincio a intonare l’ultimo canto, tra i flash impazziti di parenti e amici. Una mano si alza piano tra la folla, si fa strada al di sopra del capannello delle teste acconciate a festa.

Un braccio, che indovino forte e muscoloso attraverso la manica della camicia.

Una testa, un volto, due spalle: quelle da rugbista, e questa volta non si stringono per passare attraverso quella piccola porta di garage, si aprono per farsi spazio tra la folla.

Uno sguardo che ancora colora tutt’intorno di un bel celeste deciso, come le onde di quell’oceano che ci ha tenuto lontani. Un sorriso sincero splende largo e perfetto. Matthew! Matthew? Perdo la nota. Deglutisco.

La strofa si confonde, tra le mille righe di un pentagramma impazzito. La testa in una nuvola, e Matthew davanti a me. Quaranta occhi, più quelli allibiti di Manuel che mi dirige, mi fissano. Un leggero mormorio di disapprovazione in sottofondo.

Vorrei sparire, nascondermi sotto l’abbondante orlo dei miei pantaloni. Con il volto in fiamme, per tutte le emozioni, vedo venirmi incontro mio fratello Alberto con Matthew al fianco, Mi spiega che l’amico era di passaggio in Italia, e ne ha approfittato per invitarlo alla cerimonia.

«Ciao Miss Smemorina, ti ricordi di me?».

Ma guarda che faccia di bronzo, penso. Non ci vediamo da 20 anni, come si permette di salutarmi così?

Ma la sua risata contagiosa e trascinante scioglie presto le mie difese.

Sì, Matthew, mi ricordo di te, come il primo giorno. Ti ho con- servato nel cuore, da dove non può sfuggire via niente e nessuno, nemmeno se ci metti tutto il tuo impegno. Naturalmente questo non gliel’ho detto a voce, ma se seduti vicini a questo tavolo in festa, continueremo a ridere con allegria, e ricordare il nostro tempo passato insieme, lo scoprirà da solo, e molto presto.

Questo è quello che spero, parola di Miss Smemorina. ●

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