Come si contrasta davvero il bullismo?

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Il film Il ragazzo dai pantaloni rosa viene proposto ai ragazzi delle scuole per arginare il bullismo. Ma per fermare certi abusi vanno formati anche gli adulti.

Il film Il ragazzo dai pantaloni rosa, che molte scuole propongono agli studenti, s’ispira a una tragica storia vera. È bene che lo vedano gli adolescenti, ma per fermare certi abusi vanno formati anche gli adulti

di Maria Rita Parsi

 

Nelle scuole italiane vengono spesso proiettate pellicole in cui si parla di bullismo. Si tratta d’iniziative decisive, soprattutto quando vengono indirizzate non solo ai ragazzi, ma anche a genitori, educatori e operatori della comunicazione e della salute mentale.

Un film al centro dei dibattiti in questo periodo è “Il ragazzo dai pantaloni rosa” di Margherita Ferri, ispirato alla drammatica storia vera di Andrea Spezzacatena, un quindicenne vittima di bullismo e cyberbullismo che nel 2012 è arrivato a togliersi la vita. In seguito, la madre, Teresa Manes, ​ha dedicato la vita a testimoniare contro il bullismo e ha scritto il libro a cui è ispirato il film. I pantaloni rosa, lo smalto alle unghie, la passione per il pianoforte sono i tratti per cui Andrea veniva dileggiato pubblicamente, anche su Facebook.

Perché tanti minori mettono in atto comportamenti violenti nei confronti di chi appare, in qualche modo, diverso?

La pratica del dileggio è assai spesso un modo per esorcizzare le paure più profonde proprio di chi perseguita e aggredisce. È possibile prevenire situazioni di questo tipo?

Per me, sarebbe di fondamentale importanza un’educazione sentimentale e sessuale da impartire, prima di tutto, a genitori, insegnanti ed educatori. In generale, a chi opera a contatto con i giovani, in modo da poter poi offrire ai ragazzi ascolto, sostegno e consulenza nelle scuole. Solo così gli adolescenti, supportati da adulti preparati, possono elaborare la sofferenza affettiva e relazionale che colpisce moltissimi di loro.

Il vero problema dei giovani è, infatti, la solitudine in cui si trovano a vivere quando si sentono “diversi” e non ricevono aiuto da mediatori qualificati che sappiano cogliere le loro richieste di sostegno e dare una risposta competente a dubbi e problemi.

A questo proposito, è impossibile dimenticare il film Il signore delle mosche di Peter Brook, tratto dall’omonimo romanzo di William Golding: un gruppo di ragazzi si ritrova a vivere su un’isola deserta senza adulti che possano aiutarli ad acquisire regole. Che cosa succede, allora? Prevale la legge del più distruttivo, che si erge a capo del gruppo e inizia a disprezzare e perseguitare, fino al crimine estremo, tutti i ragazzi “diversi”: il ragazzo colto, quello cicciottello con gli occhiali, il leader sostenitore della giustizia… Tra il “capo” e gli altri ragazzi non si stabilisce alcun dialogo, esistono solo lotta, dileggio e persecuzione. Le stesse dinamiche che si determinano nel film sono tristemente presenti nella quotidianità di tanti ragazzi. E possono essere sconfitte solo con l’ascolto e la mediazione.

Tornando ad Andrea, basta ascoltare le parole di una sua compagna di classe per abbandonare ogni pregiudizio nei suoi confronti: «Sei stato un amico fantastico, l’unico ragazzo che mi ha fatto cambiare idea su tante cose. Eri folle, ma sappi una cosa: i migliori sono sempre un po’ folli».

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Articolo pubblicato su Confidenze n. 46
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