L’importanza di educare alla non violenza

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8 italiani su 10 considerano la violenza di genere un'emergenza sociale e vorrebbero l'educazione all'affettività nelle scuole

Mai come quest’anno si ha l’impressione che la Giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne del 25 novembre non sia più solo un momento di rivendicazione tra i tanti, ma un movimento di protesta su cui l’attenzione mediatica è rimasta alta per tutto l’anno, vuoi purtroppo per il numero di femminicidi (oltre 90 da inizio anno, secondo gli ultimi dati del Viminale) vuoi per il forte coinvolgimento dell’opinione pubblica dopo l’omicidio di Giulia Cecchettin.

Alcuni dati ci aiutano a comprendere meglio la situazione: nei primi sei mesi dell’anno le chiamate al 1522, il Numero Verde Antiviolenza, sono state: 32.989, il 70% in più rispetto allo stesso periodo del 2023. Più donne denunciano o  sono aumentati i casi di violenza?

Otto italiani su 10 pensano che ormai la violenza di genere sia un’emergenza sociale e come tale vada fermata, una consapevolezza che fino a qualche anno fa mancava del tutto.

Dall’indagine presentata ieri a Roma: “Prima che sia troppo tardi. Educare i giovani all’affettività per contrastare la violenza di genere”, condotta da AstraRicerche, su un campione di italiani tra i 18 e i 75 anni, con il patrocinio di Rai Per la Sostenibilità – ESG,  emerge anche che la famiglia è il luogo dove si parla di più di questi temi: 8 su 10 tra chi ha figli in età compresa tra 14 e 18 anni ne discute e commenta i fatti di cronaca con i propri ragazzi, ma ormai è diffusa la convinzione che non basti più e che anche le varie campagne di comunicazione fatte dai media con linguaggi anche forti ed espliciti alla fine risultino poco efficaci e quasi retoriche, poco utili a generare un effettivo cambiamento.

Un altro dato che fa riflettere è che sono più sensibili al problema le persone di età avanzata, dai 55 anni in su, che non i giovani maschi 18-24enni (meno di 4 su 10 la considerano un’emergenza).

Serve dunque educare i bambini e ragazzi prima che sia troppo tardi e le scuole sono il luogo precipuo dove questa educazione all’affettività dev’essere impartita. Lo pensa l’80% del campione intervistato, per i quali l’educazione all’affettività deve diventare una materia di studio per aiutare i ragazzi a riconoscere i segnali della violenza, a superare gli stereotipi di genere, ma anche ad affrontare la rabbia e i rapporti sentimentali e amorosi.

Chi di certo in questi anni ha tenuto un contatto con le scuole sono stati i Centri antiviolenza sparsi sul territorio: sui 385 centri antiviolenza attivi in Italia nel 2022, 9 su 10 svolgono attività di informazione e formazione nelle scuole. Ma evidentemente non basta se stando ai dati preliminari dell’Istat sulla violenza di genere, un giovane su 10 ritiene accettabile il controllo dell’uomo sulle comunicazione della compagna e il 2,3% considera non così grave che un ragazzo schiaffeggi la sua fidanzata perché ha civettato con un altro uomo.

Sul nostro giornale questa settimana abbiamo riportato due testimonianze diverse di violenza di genere, una è la storia vera di Linda Moberg, salvata dall’ennesima violenza del marito dal figlio maggiore, l’altra è quella di un’esponente del terzo settore, Anna Agus di Terre Des Hommes, che è stata volontaria nelle case di accoglienza in India dove trovano rifugio le spose bambine, e ci racconta i destini di tante di loro.

Infine vi invito a leggere quanto scrive Maria Rita Parsi nel suo commento alla violenza di genere su Confidenze, quando ricorda che tutti noi siamo venuti al mondo grazie a una donna e al suo ventre materno, e che sono le donne a dare vita alle forme della vita umana.

Confidenze