Per tanti anni ho visto nello sport l’occasione per stare con gli amici. Infatti, con loro ho sciato in inverno. Giocato a tennis nelle stagioni morte. Nuotato in estate.
Sì, perché sin dall’infanzia sono stata abituata al movimento e allo spirito competitivo. Un mix che ha dato la marcia in più alle mie vacanze, fatte di discese in pista, partite sulla terra rossa, sfide in spiaggia per vedere chi arrivava primo alla boa.
Con il trascorrere degli anni, invece, ho iniziato a dare all’attività fisica una nuova valenza. E piano piano l’ho trasformata in una specie di dovere per mantenere il corpo in forma, a dispetto del passare del tempo. Tant’è che lo spartiacque tra divertimento e terapia si è palesato in età pseudo avanzata. Per l’esattezza, alla vigilia del mio cinquantesimo compleanno.
Tutto è successo perché una mattina mi sono alzata dal letto saccagnata. Forse avevo semplicemente dormito in una strana posizione. Lo stesso, però, ho interpretato i dolorini a collo e schiena come un avvertimento: prendermi cura di me stessa stava diventando un obbligo.
Morale, quel giorno ho deciso: avrei fatto ginnastica regolarmente. E adottato la NEAT. Cioè, la Non Exercise Activity Thermogenesis di cui si parla nell’articolo 5 modi facili per muoverti di più (su Confidenze in edicola adesso).
Si tratta di una strategia per contrastare gli effetti deleteri della sedentarietà, della quale sono vittima anch’io dall’avvento dello smartworking.
Ma torniamo al punto. Fedele alla promessa fatta spegnendo le 50 candeline, dieci anni fa ho eletto la gym il mio must quotidiano. Ma se l’allenamento di 50/60/70 minuti (a seconda delle giornate) mi aiuta a non vivere come una larva davanti al computer, ho capito che non è comunque sufficiente per un completo benessere psico-fisico.
Ecco perché, come suggerisce la NEAT, ho preso l’abitudine di camminare appena posso. Quando lavoro mi alzo spesso dalla sedia. Preferisco le scale all’ascensore. Porto a mano le borse della spesa.
Sulla carta le intenzioni sono encomiabili. Peccato che mi stiano conducendo a una sorta di fanatismo che non vede nel movimento un passatempo, ma un vero e proprio allenamento.
Me ne rendo conto le volte in cui faccio commissioni in bici e mi ritrovo a pedalare con la foga di Fausto Coppi. Salgo fino al quarto piano (dove abito) alla velocità di Abebe Bikila. Oppure, esco dal supermercato carica di sacchi tipo macigni, che spaventerebbero anche il sollevatore di pesi Sergio Massidda.
In tutto questo, poi, non ho neppure la certezza che la strategia sia davvero funzionale. Però, mi sono detta che andando incontro alla vecchiaia voglio lasciare molto al fato e poco al caso.
Nel senso che se il destino mi dovesse tenere in vita a lungo, non mi piacerebbe stare al mondo con marshmallow al posto dei muscoli, fiato zero ed elasticità da asse di legno. Perciò, cerco di tenermi allenata. Con l’obiettivo di diventare una vecchietta sprint, desiderosa ancora di camminare, sciare e nuotare come una teenager.
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