Termush di Sven Holm

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In un immaginario rifugio antiatomico i superstiti rivelano la natura dell'uomo: in parte altruista, in parte no

di Tiziana Pasetti

Trama – L’incubo è diventato realtà. Nessun deterrente, la lettura politica della detenzione delle armi nucleari dopo Hiroshima e Nagasaki non ha tenuto, le armi nucleari – in possesso dei blocchi contrapposti – non rappresentano lo strumento per garantire al mondo gli equilibri e una parvenza di pace. La catastrofe, in un modo o in un altro, è avvenuta, non importa sapere come, importa sapere da cosa sia stata scatenata. A raccontare il mondo del giorno dopo è un uomo, un uomo che grazie al suo stato abbiente ha potuto acquistare, in tempi non sospetti e insieme a un gruppo di ‘fortunati’ come lui, un posto nel rifugio dell’albergo più lussuoso del pianeta, adattato a rifugio antiatomico. Il mondo non sembra essere poi così tanto cambiato, a guardarlo dalla finestra, quando la direzione della struttura consente agli ospiti di abbandonare il rifugio sotterraneo e salire in superficie. E proprio questo è quello che maggiormente colpisce i superstiti: tutto sembra come è sempre stato. In apparenza, però. Perché fuori non si può uscire se non per brevi momenti e dopo che l’aria, le piante, la terra, tutto è stato disinfettato. Che fine hanno fatto le persone, l’umanità quasi intera al netto degli ospiti di Termush, dopo la catastrofe? Sono morti tutti? E se non sono morti dove sono? E se avessero bisogno d’aiuto? Come salvarsi dalla contaminazione dei contaminati, se dovessero presentarsi a Termush?

Un assaggio – Ci aspettavamo di trovare un mondo completamente annientato. Un mondo dal quale ci siamo cautelati iscrivendoci a Termush. A nessuno è venuto in mente di cautelarsi dai superstiti e dalle loro pretese nei nostri confronti. Abbiamo pagato per continuare a vivere così come un tempo si pagava l’assicurazione contro le malattie, abbiamo comprato il prodotto denominato sopravvivenza e secondo tutti i contratti esistenti nessuno ce la può togliere né rivendicarla. Poi di punto in bianco si presentano degli stranieri pretendendo di usufruire della nostra tutela. Non vogliamo atteggiarci a cinici, ma Termush cesserebbe di funzionare nell’istante stesso in cui spalancasse le sue porte come un ospedale. Concordiamo sul fatto che vengano distribuiti acqua, farmaci e generi alimentari necessari a pochi stranieri. Ma dobbiamo stabilire un precedente, adottare un regolamento. Sarà permesso a una decina di feriti di pernottare nei rifugi a condizione che li lascino se dovessero servire agli ospiti. Dobbiamo essere previdenti fin da ora: il primo ospite non sarà l’unico. I sentimentalismi e l’insicurezza non gioverebbero agli estranei, impedirebbero soltanto ai residenti di Termush di sopravvivere. Dopo pranzo siamo stati interrotti da un trambusto improvviso nell’atrio. Quando la porta si è aperta abbiamo visto due addetti alla sicurezza con indosso le tute bianche che per precauzione hanno l’obbligo di togliersi prima di entrare nell’edificio. Portavano di peso una donna anziana che si lamentava ad alta voce sollevando in continuazione la testa e facendola subito ricadere indietro. Dietro veniva una giovane coppia. La donna teneva tra le braccia un bambino in posizione quasi eretta e l’uomo la seguiva a capo chino con una mano sulla sua spalla.

Leggerlo perché – Sven Holm, scrittore e drammaturgo danese, pubblicò Termush nel 1967, a ventisette anni. Figlio della guerra nuova, figlio della bomba immensa che non nasce dal fuoco ma dal silenzio ‘carico’ di un atomo, scrisse questo romanzo di fantascienza che solo adesso arriva, tradotto nella nostra lingua, in Italia. Un romanzo dalla lettura veloce, meno di duecento paginette, che ci porta a interrogarci sul valore dell’esperienza terrena come fatto sociale da condividere con altri esseri umani. Una catastrofe atomica che mette in evidenza la natura dell’uomo: in parte altruista, in parte no. Una stasi che chiarisce le modalità spontanee dei dissidi: ‘fin dove posso mettere in pericolo la mia salvezza, che ho pagato di tasca mia, per garantirne una anche a te?’, questo l’interrogativo che striscia tra le righe delle pagine di questo romanzo che ha la portata di un trattato spartano di filosofia, di uno scritto di critica a un capitalismo giudicabile ma ormai fuso nel Dna di chi reputa di detenere le chiavi della cultura, del progresso, del futuro del pianeta Terra. Attualissimo, ovviamente, in ogni tempo storico – e noi siamo anche questo – di ‘attesa’ e timore.

Sven Holm, Termush, ilSaggiatore

Traduzione di Eva Kampmann

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