Leggendo l’articolo A cinque anni dal Covid, su Confidenze in edicola adesso, sono trasecolata: da quel periodo apocalittico sono già passati cinque anni? Pazzesco. Perché da un lato mi sembra ieri. Mentre dall’altro vedo la pandemia così lontana nel tempo da chiedermi se l’ho vissuta davvero.
Poi, mi fermo a pensarci e tornano limpidissimi tutti i dettagli: il rientro in fretta e furia dalla montagna un sabato sera (era l’8 marzo 2020), dopo l’inverosimile notizia che nell’arco di 48 ore non saremmo più usciti dalle mura domestiche.
L’appuntamento in redazione la domenica 9 marzo, per ritirare i computer con cui avremmo lavorato in smartworking (vocabolo mai usato prima).
E l’inizio di una giornata professionale molto particolare (lunedì 10), che ignoravamo si sarebbe trasformata nella routine.
Dopodiché, c’è stato di tutto di più. Ma preferisco elencare solo le cose carine: i cori dai balconi. I video che raccontavano con ironia l’isolamento. La spesa vissuta come una festa perché finalmente incontravi qualcuno (anche se bardato dalla testa ai piedi). Le ore trascorse ai fornelli, nonostante la penuria di farina. Gli escamotage per fare quattro passi all’aria aperta (il più gettonato, la ramazza usata come fosse un cane).
Per alcuni il Covid è stato una vera tragedia. Ma per i fortunati che non ha avuto vittime tra i propri cari si è rivelato l’occasione per guardarsi dentro. Tant’è che, complice la paura, abbiamo promesso tutti di ripresentarci al mondo in una veste più buona, caritatevole, onesta, generosa e corretta.
Durante il lockdown, insomma, è sembrato che ci stessimo trasformando in persone perbene, pacifiche e solidali.
Invece, l’essere umano ha la memoria molto breve. Quindi, i giusti sono rimasti giusti. I farabutti, farabutti. E l’unica cosa che quell’esperienza ha dimostrato è il nostro credere che le brutture a noi personalmente non possano accadere.
Ricordate quando la televisione mandava in onda immagini di città cinesi deserte, annunciando che da lì a breve ci saremmo trovati anche noi nella stessa situazione?
Tutti abbiamo pensato che si trattasse di panzane. Mentre così è stato.
Certo, il ritiro forzato ha creato molti disagi. Isolato giovani e anziani. Avvolto il mondo intero nel terrore. E indotto ognuno di noi a profondi esami di coscienza.
Eppure, appena è finito abbiamo semplicemente ripreso la nostra vita da dove l’avevamo lasciata.
Purtroppo, questo è successo anche chi governa il mondo. Tant’è che in un’epoca in cui ci si interroga su come salvare il Pianeta, i big l’hanno confuso con la tavola del Risiko. Dove, però, non schierano carrarmatini colorati, ma ventilano l’ipotesi di un conflitto atomico.
Allora mi chiedo: cinque anni fa non potevano, almeno loro, diventare davvero più buoni, caritatevoli, onesti, generosi, corretti? Cioè, tornare in pista nei panni dei giusti e non dei farabutti?
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