Alla mattina mi alzo e rifaccio subito il letto. Finita la colazione riordino la cucina. Se in casa c’è qualcosa in giro la metto a posto. E quando pulisco il bagno splende come un brillante.
Raccontata così sembro l’incarnazione della massaia perfetta. Invece, in quel ruolo ho molte lacune. Per esempio, piuttosto che spolverare preferisco vivere con la tosse da sostanze volatili. Pur di non stirare indosso magliette stropicciate. Vivo la spesa come un incubo. E detesto buttare la pattumiera.
Insomma, dalla mia bocca non sentirete mai uscire un convinto: Sì, sono casalinga!, titolo di un articolo pubblicato su Confidenze in edicola adesso. Nel quale le donne intervistate manifestano la loro gioia per aver abbandonato il lavoro ed essersi dedicate esclusivamente a casa e famiglia.
Un’idea balzana che a me non è venuta in mente neanche dopo la nascita del mio secondo bambino. Tant’è che appena è finito il congedo di maternità sono tornata di corsa in redazione senza rimpiangere i panni della stay at home mum (adesso si chiamano così).
Questa scelta ha fatto di me una madre degenere? In realtà, la domanda andrebbe rivolta ai miei figli. Ma se dovessi rispondere io direi di no. O, per lo meno, non credo di essere colpevole per aver ripreso a lavorare, anzi.
Senza criticare le decisioni altrui, non ho mai pensato di dedicare la vita alla famiglia. Anche perché nei rari mesi in cui l’ho fatto (durante le maternità, appunto) ho avuto la prova lampante: da casalinga oscillavo dall’inerzia totale alla frenesia nevrotica e viceversa, come un pendolo impazzito. E sapete il motivo? Per avere un po’ di equilibrio psico-fisico ho bisogno di essere impegnata su più fronti.
Infatti, più sono le incombenze, più mi carico di adrenalina e meno mi spaventano. Perciò, organizzare impegni professionali, quelli con i bambini e le faccende domestiche è sempre stato il pane che ha dato senso e un piacevole rigore alla mia esistenza.
Ma c’è dell’altro. Sono convinta che il lavoro offra alle donne un’impareggiabile valvola di sfogo. Perché andare in ufficio quando in casa c’è maretta è la manna dal cielo. E tornare in famiglia se le questioni professionali stancano, preoccupano, tormentano è il top del top della felicità.
In altre parole, avere la possibilità di scegliere se dare più importanza alla scrivania o alla tavola da imbandire a seconda di come vanno le cose da una parte e dall’altra non rende troppo claustrofobiche le situazioni quando non funzionano.
Questo, almeno, vale per me. Ed è la ragione per cui non ho mai voluto essere prigioniera di un unico ruolo dai contorni troppo definiti. Tant’è che ho sempre cercato di stare insieme ai miei figli e mandare avanti il ménage famigliare. Ma senza rinunciare a un po’ di libertà né a qualche soddisfazione fuori dalle mura domestiche.
E oggi, su gentile richiesta consiglierei a tutte la formula del piede in due scarpe. Perchè, alla fine, i luoghi comuni la dicono lunga…
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