L’Iran dietro le porte chiuse di Stephan Orth

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Orth ha passato 60 giorni in Iran, ospite della gente del luogo per raccontare un Paese di cui le prime vittime sono gli iraniani stessi

Tiziana Pasetti

Trama – Stephan Orth, classe 1979, dopo aver lavorato come redattore nel dipartimento viaggi di Spiegel versione online, è diventato autore freelance di reportage di viaggio tra i più premiati del mondo. Oltre a questo sull’Iran altri due preziosi ‘giri’ riguardano la Russia e la Cina. In Iran è stato 62 giorni, percorrendo 8484 chilometri dei quali 2275 in aereo, 85 in barca e 6124 su strada. La modalità, come suggerisce il titolo, è strepitosa: conoscere un Paese facendosi ospitare nelle case da perfetti sconosciuti. In Iran sono state 22 le porte che, nonostante il divieto, si sono aperte per farlo entrare. A Stephen gli ospiti hanno raccontato, e mostrato, un Iran che non è quello ufficiale, rigido e teocratico che terrorizza per la brutalità di ogni sua politica (estera e interna) ma un luogo con una storia culturale e artistica luminosissima e una eleganza strepitosa che caratterizza – parliamo di modi, di accoglienza, di gentilezza, di simpatia – i suoi abitanti. Da Teheran a Kish, da Qeshm a Bam, da Mashhad a Abbas Abad, un viaggio al limite del possibile, oltre l’impossibile.

Un assaggio – Non appena le ruote dell’aereo TK898 proveniente da Istanbul toccano il suolo, vale un altro calendario. Il tempo in Iran, avanti di due ore e mezza e indietro di 621 anni. Benvenuti all’Aeroporto Internazionale Imam Khomeini, oggi è il 7 Farvardin 1393, “happy Nowruz”, felice anno nuovo. Un uomo tondo al posto 14B butta giù l’ultimo sorso della bottiglia di birra Efes che si era portato, una ragazzina al 17F si mette le calze per nascondere le caviglie. Capelli neri, biondi, castani, rossi, grigi, tinti, in piega, pettinati, scompigliati, corti e lunghi spariscono sotto veli neri, marroni e rossi. Le straniere si distinguono dalle iraniane perché su di loro quel lembo di tessuto insolito scivola indietro sulla nuca già quando aprono la cappelliera. RESPECTED LADIES: OBSERVE THE ISLAMIC DRESS CODE c’è scritto su un cartellone nel terminal, senza “please” né “thank you”, ovviamente. Sopra una pubblicità luminosa di cellulari Sony, al nastro dei bagagli mi accolgono i primi poster dei due uomini barbuti, dieci volte più grandi di come sono nella realtà. Ruhollah Khomeini ha uno sguardo furbo e cupo, gli occhi sembrano penetrare tutto perfino in foto. Il capo della rivoluzione guarda il mondo dall’alto in basso con grande intelligenza e infinita freddezza. La Guida Suprema in carica, Ali Khamenei, con gli occhiali troppo grandi e gli occhi inespressivi, appare invece ingenua e innocua, cosa notevole, visto che Khamenei è tra i capi di Stato più potenti e brutali della storia recente. Lo sguardo dei due ayatollah dice: d’ora in poi ti osserviamo, ovunque tu vada.

Leggerlo perché – “Si sconsigliano i viaggi a destinazione dell’Iran”, si legge sui siti dei ministeri degli Esteri di quasi tutti i Paesi occidentali (compresa la Svizzera, che sul sito DFAE scrive: “Il rischio di inasprimento in tutta la regione rimane alto; l’evoluzione della situazione è incerta. Le persone straniere in viaggio corrono un rischio considerevole di essere arrestate, interrogate e detenute senza un motivo apparente; possono rischiare lunghe pene detentive. Il numero degli arresti di turiste e turisti stranieri è aumentato). Leggerlo per scoprire che le vittime di questa situazione non sono i turisti ma gli stessi iraniani. Leggerlo perché grazie a Orth e al suo coraggio l’Iran può diventare quello che merita: una questione del giorno, l’attenzione verso una parte di mondo eccellente che è stata chiusa e reclusa. Chiunque abbia la fortuna di avere (e io sono tra questi) amici iraniani sa. Conosce il loro dolore, la loro dignità, l’assoluta e pacifica inclinazione.

Stephan Orth, L’Iran dietro le porte chiuse, Keller

Traduzione dal tedesco di Melissa Maggioni

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