Le famiglie divise a metà per ragioni di lavoro non sono certo una novità del XXI secolo, anche se la lunga crisi economica dell’Italia e la possibilità di trovare una professione più qualificata all’estero, hanno notevolmente acuito il fenomeno. Per l’altra metà del cielo, ovvero le donne, il dilemma è sempre quello: in caso di trasferimento è meglio spostarsi e seguire il marito nella nuova destinazione o restare a casa e cercare di tenere unita la famiglia? E quanto possono soffrire i figli, specie se piccoli, per l’assenza del padre dalla loro vita quotidiana?
È quanto si chiede Anna, la protagonista della storia vera raccolta da Daniela Agostinone, Una famiglia a metà, pubblicata su Confidenze. Nel racconto il marito della donna decide d’inseguire la carriera andando a lavorare a trecento chilometri di distanza da casa e lasciandola sola con un bimbo di tre anni. Per Anna il distacco diventa insopportabile tanto da farle meditare di chiedere la separazione.
Premesso che non esiste una ricetta valida per tutti, voglio citarvi solo gli esempi che mi vengono in mente dalla mia famiglia. Mia nonna (classe 1908) mi raccontava di suo padre partito per l’America in cerca di fortuna e tornato nelle campagne piemontesi dopo tre anni: a casa lo aspettavano cinque figli e la moglie. Per mio marito il padre è stato per tanti anni una sorta di meteora, perennemente in viaggio per lavoro e per un certo periodo si trasferì in Nigeria a costruire oleodotti petroliferi. Rientrava in Italia ogni sei mesi dove sua moglie e i tre figli continuavano la loro vita. Io stessa ricordo l’anno che mio padre trascorse a Baghdad in Iraq, per lavoro, quando ero ragazza, come un periodo sereno, fatto di telefonate a tutte le ore, ma non di angosce da abbandono né per me, mia madre e mia sorella.
E stiamo parlando di generazioni cresciute senza cellulari, Whatsapp, Skype, e social network. Oggi la tecnologia permette di restare in contatto con chi è dall’altra parte del globo in mille modi. Con Skype si può telefonare gratis ed effettuare video chiamate. Ma al di là dei mezzi tecnologici, credo che il segreto del successo di una famiglia divisa a metà sia nella capacità della coppia di far vivere a se stessi e ai figli le assenze non come un vuoto, ma come un’opportunità. Per conoscere un Paese nuovo, per imparare una lingua straniera, abitudini e culture diverse. Nell’era della globalizzazione è la maggior ricchezza che si può desiderare.
Concludo con una piccola postilla: non ho volutamente preso in considerazione il caso in cui sia LEI a trasferirsi all’estero e non LUI perché non conosco esempi concreti. Ma voi pensate che sarebbe davvero possibile, per una donna che ha famiglia?
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