Adoro il pane. Da solo, con la Nutella, intinto nel rosso dell’uovo fritto. Ma anche spalmato di burro e marmellata o imbottito di prosciutto cotto è una delle ragioni per cui vale pena di essere al mondo. Ne sono ghiotta, insomma. Però, non essendo proprio magra come un’acciuga, in casa non lo tengo, a parte quando ho ospiti a cena (se l’invitata sono io e non me lo fanno trovare divento una belva).
Ci sono delle sere, però, in cui mi domando perché diavolo non l’ho comprato e mi dico che dovrei imparare a farlo in casa. Pare che sia anche una delle ultime mode: impastare, infornare, sentire quel delizioso profumino che si diffonde nella cucina e poi portare in tavola il pane ancora caldo e fragrante (mentre scrivo ho l’acquolina in bocca) sembrerebbe, in famiglie che non sono certo la mia, una nuova abitudine.
Penso, allora, che potrei adottarla, ma vedo già come andrebbero le cose: durante l’impasto le dosi verrebbero dimezzate dai miei continui assaggi (come le torte, sono sicura che è buonissimo anche crudo). E se nel forno lo lascerei stare, appena uscito non raggiungerebbe il cestino perché inizierei a sbocconcellarlo. Prima piano piano, ma appena non scotta più lo divorerei, complimentandomi per essere diventata un’ottima cuoca. Sì, perché sembra che fare un buon pane casalingo non sia difficile. Fra l’altro, ogni volta si può decidere per tipi sempre diversi. Se già il bianco, semplice semplice, è favoloso, vogliamo parlare di quello un po’ più elaborato? Per esempio, con la crosta ricoperta di semi di ogni genere. Con le olive, le noci, i fichi. Oppure, tanto per non negarsi nulla, sia con le noci che con i fichi?
Forse, conviene che io continui a non avere pane in casa. Anche perché, se per miracolo dovesse avanzare, continuerebbe a essere un attentato alla mia linea, nonostante magari sia diventato duro come un sasso. Il problema, infatti, verrebbe subito risolto affondandolo in una bella tazza di latte caldo e cacao: una delle migliori cene nelle domeniche quando fuori piove e fa freddo.
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