Otto di sera di una giornata qualsiasi, io e mio figlio di undici anni siamo seduti sul divano in attesa che arrivi il papà per mangiare.
Lui è impegnato nel suo gioco preferito sull’Xbox One, ma ogni tanto allunga l’occhio allo smartphone, distratto dal suono dei messaggini di Whatsapp. È l’ora di cena e non ho ancora capito perché i compagni di classe si scatenano proprio in questo momento a chiedere informazioni sui compiti da fare.
A un certo punto perdo la pazienza e sbotto: « Ma possibile che tu non abbia di meglio da fare che stare attaccato a ‘sto coso e giocare in continuazione? Perché non prepari lo zaino per domani, invece?». Sua risposta immediata: «Parli tu che stai davanti all’iPad tutto il tempo». «Ma io sto leggendo il giornale» ribatto. «Eh be’ sai cosa cambia, stai comunque sempre davanti all’iPad». A quel punto mi sono alzata innervosita e sono andata a preparare la cena.
Già i figli ci spingono a fare autocritica e sanno far emergere meglio di chiunque altro i nostri difetti e debolezze.
Così ho pensato di dare il buon esempio per prima. Le prossime sere mi metterò a leggere un bel libro. Ma basterà il mio sforzo a tenerlo distante dalla sua consolle preferita?
Di questo rapporto così conflittuale tra famiglie e tecnologia parliamo su Confidenze nella storia vera: Il fascino pericoloso dei social network raccolta da Orlando Piferi. Il protagonista, Marco, è un padre alle prese con un figlio diciassettenne che va male a scuola perché passa troppo tempo attaccato allo smartphone e a Facebook. Ma è il papà il primo a essere vittima dei social network, tanto da improvvisarsi una vita parallela e una relazione virtuale con una donna in chat.
Alla fine sarà lui stesso ad ammettere: «Ero troppo invischiato nella mia dipendenza per accorgermi della sua».
E voi cosa ne pensate? È giusto vietare in toto ai ragazzi l’uso di questi strumenti, entrati ormai nelle vite di tutti come principale mezzo di comunicazione? O bisogna dar loro fiducia?
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