“Negli ultimi decenni la parola Islam è entrata di prepotenza nei media. La sentiamo pronunciare con sempre maggiore frequenza nelle nostre conversazioni quotidiane e in relazione ad avvenimenti di cronaca. L’Islam è sulla bocca di tutti, ma spesso chi ne parla – in televisione, sui giornali, in autobus o al bar – ne ha un’idea fortemente stereotipata. Questo non deve stupirci: tutto ciò che ruota attorno all’Islam rappresenta qui – spesso per motivi comprensibili – qualcosa di alieno e sconosciuto. Ed è ovvio che diventino luogo comune le molte semplificazioni dovute alla ricezione di nozione parziali o a confronti avventati e impropri. (…) Di cosa stiamo parlando quando usiamo la parola Islam? Di una religione o di un mondo probabilmente altro rispetto al nostro?
Leggere Lorenzo Declich è necessario, mettiamola così. Non è facile, soprattutto oggi, riuscire a capire come rapportarsi con qualcosa che non sappiamo definire se non con il termine terrore. Terrore verso esseri che sentiamo nemici, al limite dell’umano, cattivi per usare una parola semplice e immediata, emotiva. L’ignoranza (intesa in senso etimologico, non sapere) chiama fortemente la semplificazione concettuale che diventa stampella non collaudata, pericolosissima.
Quella dell’Oriente Medio è storia che non conosciamo, non studiamo, non ci affascina: troppo lontana dalla nostra visione delle cose, del mondo, dei rapporti a due e più. Dopo gli attentati degli ultimi anni, dopo gli uomini vestiti di nero, dopo le teste mozzate Islam, Musulmano, Integralista, Assassino, Isis, Kamikaze, Corano, Allah, Jihad, Fondamentalismo, ognuna di queste parole è diventata intercambiabile, il significato – estremo e negativo – uno soltanto: Male.
Nulla può scusare o relativizzare culturalmente quanto accaduto a Parigi, Bruxelles e Istanbul. Possiamo però evitare che informazioni raffazzonate diventino la base della nostra conoscenza. Come dimostra attraverso numerosi esempi Declich nel suo testo, gravi errori (casuali oppure?) sono rinvenibili in molte delle maggiori testate nazionali. Il timore, unito alla disinformazione reale, crea aberrazioni: ogni musulmano o cittadino proveniente da un luogo dove la religione di riferimento è quella che adora Allah, è diventato una copia di un idealtipo che renderebbe uguali, arretrate, pericolose (e assassini almeno potenziali) quasi due miliardi di persone.
Di fatwa sentimmo parlare per la prima volta nel 1989 quando Salman Rushdie pubblicò i suoi Versetti Satanici e Khomeini non la prese poi tanto bene ritenendo il contenuto del testo una bestemmia nei confronti di Maometto. Cosa vuol dire davvero, quel termine? E burqa? Shari’a?
Un volume tascabile, un vademecum scritto con grande chiarezza e ritmo da un grande esperto del mondo islamico contemporaneo, venti parole (si parte da Corano e si arriva a Donne passando attraverso Umma, Imam, Modernità, Islamofobia e Terrorismo) da leggere, studiare, riflettere per rendere onore al senso di una Storia che è sempre complessa e mai spiegabile o riducibile ad eventi criminosi e strumentali che quella stessa Storia – ricca di colori e dignità – cercano di negare, macchiare, ridefinire.
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Lorenzo Declich, Islam in 20 parole, Editori Laterza
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