Premetto che non ho tatuaggi e mai ne farò. Gli aghi sulla pelle mi fanno impressione: già i buchi nelle orecchie sono stata una sofferenza. E poi tatuarsi mi sembra una forma di violenza sul corpo, un’usanza barbara e tribale.
Ricordo anni fa quando le cronache del gossip riportarono del repentino addio di Vittorio Sgarbi alla bella Elenoire Casalegno, motivo? Lei si era fatta un tatuaggio. «È come se avesse violato un’opera d’arte» disse il famoso critico d’arte e in parte ne condivido il pensiero.
Detto questo, però, dei tatuaggi mi piace il valore simbolico: incidersi la pelle per ricordare qualcosa o mostrare agli altri qualcosa: la nascita di un figlio, il suggello di un amore, la vittoria della squadra del cuore, sono tanti i motivi che spingono a lasciare un segno indelebile sul corpo.
Quello che invece mi fa paura è che il marchio inciso è per sempre. Non puoi cambiare idea, te lo porti addosso tutta la vita.
Ricordo Giulia, la figlia di mio marito, l’estate che si presentò in vacanza in Sardegna con una minuscola A tatuata sulla caviglia, era l’iniziale del suo fidanzato di allora, peccato che si fossero appena lasciati da una settimana. Se lei avesse potuto, in quel momento, si sarebbe scarnificata la gamba pur di togliersi dalla vista quel nome.
Negli anni successivi comparve poi in spiaggia con una poesia di Thomas Stearns Eliot incisa sul fianco e io mi preoccupai subito per l’invadenza della scritta. «Tanto sotto il maglione non si vede» mi tranquillizzò lei.
Pensavo fosse una cosa da ragazzi, una moda arginata giusto dal divieto di praticare tatuaggi ai minori di 16 anni, senza il consenso scritto dei genitori.
Invece è diventato un fenomeno trasversale che colpisce tutte le generazioni e le classi sociali: 13 milioni di italiani si sono tatuati la pelle, dice l’Istituto Superiore di Sanità.
E in questi giorni di vacanze sulle spiagge diventa più facile constatare quanti non si accontentino più di un piccolo disegno, ma scolpiscano bicipiti e pettorali con navi da pirati, draghi e scorpioni, non risparmiandosi neanche un centimetro libero di pelle.
Altro che la timida rosa tatuata sulla caviglia sfoggiata da tante mie amiche …
Ma quando questi ragazzi saranno vecchi, mi sono sempre chiesta, che ne sarà dei loro bicipiti inchiostrati?
Qualche settimana fa mio marito raccontava del colloquio di lavoro finale sostenuto con lui da un brillante studente d’ingegneria: alla fine della chiacchierata lo sguardo del mio consorte si è posato sul tatuaggio che il giovane aveva sul polso: Alla domanda su cosa fosse quello, il ragazzo è sbiancato, temendo di essersi giocato il posto. «È il segno dell’equilibrio» ha spiegato un po’ imbarazzato «mi aiuta a tenere la mente in sintonia con il mondo». Mai simbolo e frase è stata più azzeccata. Segno che anche il mondo del lavoro ormai li ha sdoganati.
Dell’argomento parliamo su Confidenze nella storia vera “Un tatuaggio può raccontare una storia” raccolta da Roberta Giudetti. vi invito a leggerla e a riflettere sul commento di Paolo Crepet, per dirci poi che rapporto avete con i tatuaggi e cosa avete disegnato sul vostro corpo o vi piacerebbe disegnare.
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