La storia più votata del n. 33 di Confidenze è “Primo bacio” di Simona Busto. Una nostra lettrice, Elena, ci scrive: “Io credo nel grande amore che dura per sempre e quello fra Elsa e Diego lo è davvero. Questa storia mi ha emozionata e mi ha fatto sognare”.
Storia vera di Elsa C. raccolta da Simona Busto
C’è chi non crede che il primo amore sia vero amore. Io vivo sulla mia stessa pelle, ogni giorno, il calore di quel sentimento, il primo nato in me, che non ha mai smesso di accarezzarmi.
Ricordo ancora il giorno del nostro incontro, come se fosse accaduto ieri, invece di essere una memoria che vent’anni di vita avrebbero dovuto far sbiadire.
Lui attendeva il tram che l’avrebbe portato in stazione, verso quell’anno di servizio militare che all’epoca era obbligatorio. Indossava la divisa verde e portava i capelli biondissimi tagliati a spazzola. Rammento bene che m’immobilizzai lì dove mi trovavo, incapace di proseguire per la mia strada.
Marina, mia sorella, non si accorse subito che non la stavo più seguendo. Era già all’altro capo della strada quando notò infine la mia assenza. Sentii la sua voce che mi chiamava con disappunto e stizza. Mi voltai un solo istante, il tempo di farle un rapido cenno di assenso con il capo, poi il mio sguardo cadde, quasi animato da volontà propria, al ragazzo che leggeva Dylan Dog.
Ebbi un tuffo al cuore quando vidi che i suoi occhi, chiari come il cielo di primavera, si erano posati su di me. Avvertii un calore inopportuno alle orecchie e lo stomaco mi si contorse in maniera fastidiosa. Il cuore galoppava impazzito. Gettai una rapida occhiata alla strada, poi attraversai di corsa e mi riaccostai a Marina. Ignorai il suo sguardo carico di rimprovero e non potei impedirmi di osservare ancora il giovane soldato.
I suoi occhi incatenarono di nuovo i miei. Mi sentivo il volto in fiamme. Alzò la mano e sorrise. Io abbassai subito lo sguardo. Volevo solo fuggire. O sprofondare.
Non mi ero mai sentita tanto fuori posto prima di quel momento. Seguii mia sorella in silenzio. Stavolta vinsi la tentazione di girarmi ancora.
Percepivo il suo sguardo sulla schiena. Scottava. Strinsi forte le bretelle imbottite dello zaino, e continuai ad avanzare con gli occhi fissi sull’asfalto.
Lo rividi all’incirca un mese dopo quel primo, fortuito incontro. Stavolta non era alla fermata del tram, ma seduto sul muretto che delimitava una piccola aiuola, i piedi che penzolavano nel vuoto. Li muoveva con un oscillare nervoso, accompagnato da rapidi sguardi circolari.
Quando mi vide si bloccò all’improvviso, le palpebre appena socchiuse e un sorriso gli increspò le labbra. Due piccole fossette gli si disegnarono ai lati della bocca, facendomi provare l’insano desiderio di sfiorarle con le dita. Fui terrorizzata da quella pulsione improvvisa. Avevo quindici anni e mi credevo ancora immune ai sospiri e agli sguardi languidi che mia sorella e le sue coetanee riservavano ai rappresentanti dell’altro sesso.
Con orrore notai che Marina rallentava il passo in un attimo di esitazione. Ripresi a respirare solo quando tornò a camminare con la solita andatura decisa.
Non ricambiai il sorriso, ma non potei distogliere lo sguardo da lui. Riuscii a vincere quella malia quando gli fui proprio accanto, e solo perché altrimenti avrei dovuto voltare il capo, rendendomi sospetta davanti a mia sorella.
Un rumore appena percettibile mi fece capire che era saltato giù dal muretto. Con il cuore in gola mi accorsi che ci stava seguendo. Avrei voluto scappare, ma non potevo farlo finché Marina era lì con me. Mi sentii al sicuro solo quando attraversai il portone della scuola. Per la prima volta fu un sollievo immergermi nella fiumana che ogni giorno scorreva per i corridoi.
Passai la giornata in totale distrazione, al punto di dimenticare un libro sotto il banco. Dovetti tornare indietro a recuperarlo, e uscii quando la scuola era ormai praticamente deserta.
Fui sorpresa di vedere Marina che mi aspettava appoggiata al cancello d’ingresso, a braccia conserte, e lui a pochi passi di distanza. Stava parlando con un ragazzo che sapevo essere in classe con mia sorella, e di tanto in tanto rivolgeva la parola anche a lei. Mentre mi avvicinavo, si misero a ridere tra loro. Notai Marina che lo guardava e si scostava una ciocca di capelli dal viso, in un gesto civettuolo.
Una rabbia sorda mi morse dall’interno. E lacrime brucianti salirono fino agli occhi. Ero stata una stupida e un’ingenua. Come avevo potuto pensare che lui potesse interessarsi a una sciocca ragazzina? Con ogni evidenza l’oggetto della sua attrazione era stato sin dall’inizio mia sorella. Avrei dovuto immaginarlo.
Inghiottii un singhiozzo e mi asciugai le ciglia con il dorso della mano. Nessuno mi avrebbe vista piangere.
Mi posi accanto a Marina, le mani infilate nelle tasche dei jeans e una smorfia scolpita sul viso.
Il suo sguardo, curioso e divertito, si posò su di me. Dovetti trattenermi dal mostrargli la lingua. Temevo di apparirgli ancora più bambina.
«Bene, noi dobbiamo andare a casa» sospirò Marina. E io sentii che la rabbia mi si addensava alla base della gola.
«Che sciocco!» esclamò lui all’improvviso, con una calda voce da uomo che mi diede un brivido. «Non ci siamo ancora presentati. Io sono Diego».
Nel parlare aveva steso la mano in direzione di mia sorella, che la afferrò prontamente con un sorriso. Le sue labbra però si piegarono subito all’ingiù, quando vide che lui abbandonava in fretta la stretta per protendere le dita verso di me.
Arrossii, e maledissi quel calore che mi tradiva. «Elsa» proferii, cercando d’infondere tutta la sicurezza possibile nel tono e nella pressione delle dita.
Il palmo di Diego indugiò contro il mio un secondo di troppo.
«Ok, ora andiamo» fu l’intervento stizzito di Marina.
La seguii come un fragile cucciolo che trotterella dietro alla madre. Ero confusa: uno strano miscuglio di sentimenti mi si agitava dentro e non dava alla mia mente spazio per pensare.
«Lo conoscevi?» chiese mia sorella all’improvviso. La domanda mi spiazzò, ma al contempo tolse ogni dubbio sul fatto che anche lei l’avesse notato e fosse interessata.
«No, come potrei?» mi affrettai a negare. Ammettere un qualsiasi coinvolgimento emotivo mi sembrava umiliante e fuori luogo. «Già» concordò lei, rivolta più a se stessa che non a me. Il giorno seguente Diego non apparve. Mi sentii delusa, quasi tradita: lo aspettavo.
All’uscita da scuola fui accolta dall’espressione buia di Marina. Era arrabbiata, anche se tentava di nasconderlo, e ogni suo movimento tradiva il nervosismo. Fu solo dopo cena che mi gettò addosso una frase apparentemente casuale, ma sufficiente a svelarmi l’arcano del suo malumore: «Sabato c’è una festa. La dà quel ragazzo che abbiamo conosciuto ieri. Ha chiesto a Claudio d’invitarci. Entrambe».
Aveva calcato sull’ultima parola, per darmi modo di cogliere il fastidio. Non era normale che le sorelline venissero invitate a una festa di diciottenni, lo sapevo bene. Senz’altro Marina si aspettava che rifiutassi, visto che mi sarei indubbiamente sentita a disagio, attorniata da ragazzi più grandi che nemmeno conoscevo.
«Ottimo. Sembra divertente» esclamai invece.
Incassai il suo sguardo risentito e sprezzante, poi corsi in camera a scegliere un abito adatto. Diego era sicuramente in congedo, e con ogni probabilità per parecchio tempo non avrei avuto altre occasioni di rivederlo. Per nulla al mondo mi sarei lasciata sfuggire quella possibilità di averlo accanto e magari scambiarci due parole.
Non m’importava che avesse esteso l’invito per pura cortesia, né m’interessava vedere che Marina ne fosse seccata. Passare con lui anche solo poche ore mi era sufficiente. Mi sarei accontentata di guardarlo da lontano.
Niente mi avrebbe impedito di partecipare a quella festa.
Quando venne la sera tanto attesa, impiegai un tempo smodato per prepararmi. Mi sembrava che niente fosse adatto all’occasione. Ero eccitata e nervosa come mai mi era capitato prima.
La villa non era enorme, ma aveva un bel parco capace di accogliere molte persone in quella tiepida nottata d’inizio giugno. Trattenni il fiato quando lui venne verso di me e mia sorella. Non indossava la divisa, ma una maglia azzurra che metteva in risalto i suoi occhi così chiari. Baciò prima mia sorella, su entrambe le guance. Trattenni a stento un moto di stizza, che svanì come una bolla quando la sua guancia rasata di fresco si posò contro la mia. Percepivo il calore delle sue mani sulle spalle, era una pressione delicata, ma ferma, quasi volesse rivendicare un possesso.
Ci accompagnò nel vivo della festa, animata dalla musica dance così in voga in quegli anni. Fagocitata dalla folla, continuai a cercarlo con lo sguardo, ma presto mi ritrovai sola in mezzo alla marea di sconosciuti, tutti più grandi di me. Avevo perso di vista anche Marina.
Mi accorsi di un ragazzo che mi fissava con sgradevole insistenza. Sapevo che il trucco mi faceva sembrare più donna, ma dentro di me ero la ragazzina di sempre. Cercai di sfuggirgli girando intorno ai tavoli imbanditi, ma ottenni solo di trovarmelo davanti, troppo vicino per i miei gusti.
«Vuoi ballare?» chiese con un sorriso che mi diede un brivido. Scossi il capo e mi scostai, ma lui mi afferrò per un braccio, nel tentativo di trascinarmi verso la pista affollata.
Mi divincolavo, ma il ragazzo non sembrava far caso alle mie rimostranze. Il suo alito così vicino puzzava di alcol in maniera sgradevole.
Qualcuno gli afferrò il polso, obbligandolo a lasciarmi. Lo vidi arrossire e allontanarsi velocemente. Mi voltai e incontrai lo sguardo severo di Diego.
«Devi fare più attenzione agli sconosciuti. Non mi va che ti cacci nei guai a casa mia».
Posai le mani sui fianchi e lo guardai con aria di sfida. «Innanzitutto non sono io che ho invitato qui quel tizio. E comunque non è stata una mia scelta farmi afferrare per un braccio».
Il mio cipiglio lo fece ridere. Mi sentivo ferita: non era certo quella la reazione che speravo di suscitare in lui.
Gli voltai in fretta le spalle, mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime. In un istante Diego mi fu davanti. Aveva un’espressione ansiosa sul volto.
«Scusami, non volevo essere duro», si affrettò a dire. Socchiuse le labbra quando notò le guance umide. «Vieni, andiamo un po’ in casa, così avrai modo di tranquillizzarti».
Lo seguii senza opporre resistenza, ma a un passo dalla porta mi bloccai. Voltai il capo e lo fissai con risentimento. «Non mi sono spaventata, e comunque anche tu sei uno sconosciuto».
Dopo un attimo di sbalordimento, sorrise. «Sei un’impertinente, sai? Ma hai carattere e determinazione. Mi piaci molto».
Arrossii e distolsi in fretta lo sguardo. Ma lui m’incalzò, posandomi una mano tra i capelli, alla base della nuca. «Non te ne eri accorta? Eppure credevo che fosse piuttosto evidente».
Lasciai alla mia anima il tempo di assorbire quella carezza gentile. Anche se avessi tentato di rispondere, non avrei comunque saputo cosa dire.
Mi strinse tra le braccia, spingendomi in casa. Quando la porta si chiuse alle sue spalle, realizzai che eravamo infine soli. Sgranai gli occhi.
Diego mi sfiorò piano una guancia. «Non devi aver paura di me, Elsa. Non so cosa ci sia in te, ma senz’altro il mio cuore l’ha visto. Puoi fidarti: non ho alcuna intenzione di farti del male».
Annuii, inghiottendo quel blocco che mi si era depositato in gola.
Fu allora che le sue labbra si posarono sulle mie. Mi baciò con gentile fermezza. Il tocco della sua bocca era morbido e lieve. Sentivo brividi intensi per tutto il corpo, accompagnati da un calore che mi colmava dentro.
D’istinto, gli passai le braccia intorno al collo. Lui mi attrasse a sé in un gesto virile e rispettoso insieme.
Non so per quanto tempo restammo così, ma ricordo con esattezza la mia piena felicità, quasi siano passate poche ore da quell’istante perfetto.
Quando si staccò da me la sua espressione era triste.
«Domani dovrò ripartire e la prossima licenza non sarà tanto presto. Avrai la pazienza di aspettarmi, Elsa?». Annuii, incapace di trovare la voce per dare un suono alle mie emozioni.
Lo attesi fino al termine del servizio di leva. Poi ci furono gli anni di formazione all’estero, a cui fu costretto dalle ambizioni della famiglia. Nonostante avesse rifiutato l’iscrizione all’università, non poté esimersi da quella richiesta dei genitori.
Per un lungo tempo rimasi appesa al filo di un telefono, in attesa di una chiamata.
Alla fine Marina mi perdonò. Dentro di me sapevo che mi accusava di averle sottratto un potenziale fidanzato. Non sapeva quanto si sbagliasse: Diego era destinato a me, da sempre, da prima ancora d’incontrarci. Anche oggi ne sono più che mai convinta.
Il nostro viaggio insieme non è sempre stato un tappeto di fiori. Ci sono stati momenti difficili, in cui lo spettro della rottura aleggiava lieve e minaccioso su di noi. Quante volte ho temuto che non ci sarebbe più stato un domani per il nostro “noi”.
Eppure siamo ancora qui, con un figlio dal caratterino pepato da gestire, con i nostri malumori e le nostre gioie, e continuiamo a scambiarci attimi d’infinita tenerezza quando riusciamo passare del tempo da soli.
Mi piace ricordargli quel primo, magico bacio. Lo vedo arrossire come un ragazzino.
«Ero giovane e irruente» si affretta a giustificarsi, imbarazzato. Io rido e lo abbraccio da dietro, posandogli il capo sulla spalla. «Non mi pare che tu sia cambiato poi così tanto» gli soffio all’orecchio con deliberata sensualità.
Vedo i suoi occhi spalancarsi. Mi attira a sé e mi bacia, a lungo. La magia tra noi non si è mai interrotta. Credo che sia quello il segreto della nostra lunga storia.
Quando mi lascia andare tendo le mani e afferro saldamente le sue. Ci guardiamo beandoci di quel che gli occhi vedono. «Sei pazza, Elsa. Forse è per questo che mi sono subito innamorato di te. La tua follia aleggia nell’aria e ammalia come il canto di una sirena».
Arriccio le labbra in una smorfia scherzosa. «Potrei dire la stessa cosa di te, ma è la nostra insanità mentale a renderci felici. Lo sai, vero? La nostra è la gioia dei pazzi».
Mi stringe più forte i palmi, mentre un sorriso dolce gli disegna le labbra. I capelli sono più radi, e qualche filo grigio gli colora le tempie, ora che non li porta più rasati. Eppure è rimasto lo stesso bellissimo ragazzo che ho incontrato vent’anni fa.
Gli sfioro le fossette con le dita, tremando. L’emozione non è variata di una virgola. Lo amo. Ho già rischiato di perderlo. Non voglio che capiti più.
Poso ancora le labbra sulle sue, perché ogni volta per noi è un primo bacio. E non mi stancherò mai di accogliere quella bocca come se ancora fosse l’inizio di tutto.
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