“Mi ha fatto versare una lacrima e io non piango mai” scrive una nostra lettrice, Prisca, sulla pagina Facebook. La storia più votata della settimana è “Max, il mio piccolo amico con le rotelle” di Marco Bergamaschi, pubblicata sul n. 36 di Confidenze. Ve la riproponiamo sul blog
Storia vera di Glauco Tarchini raccolta da Marco Bergamaschi
La prima volta che ho visto una foto di Max, mi hanno colpito i suoi occhi: color nocciola con dei leggeri riflessi oro; non esprimevano tristezza o rassegnazione, come era facile aspettarsi, ma, al contrario, comunicavano forza e determinazione. Quel giorno sono rimasto a lungo a fissare l’immagine di quel meticcio dal pelo nero focato, che assomigliava vagamente a un Pinscher e ho riletto più volte la sua storia, per certi versi così simile alla mia. Inevitabilmente una serie di pensieri aggrovigliati ha cominciato a prendere forma nella mia testa e più tentavo di non ascoltarli, più mi ritrovavo a chiedermi come passasse la sua giornata, se c’era qualcuno che si prendesse cura di lui e, soprattutto, come vivesse la sua nuova condizione. Fino al momento dell’incidente, la sua era stata una vita all’insegna della libertà e della gioia: abbandonato ancora cucciolotto da qualche balordo tra le strade di Agrigento, aveva girovagato un anno in cerca di cibo, riparo e qualche carezza. Il suo credo era la libertà, rincorrere gli odori e i profumi che il vento portava e decidere di dormire una volta sotto una panchina nella piazza principale del paese, un’altra in mezzo a un campo di margherite al confine della città. Poi, un giorno aveva cominciato a stare male a causa di una brutta gastroenterite emorragica: un giovane si era fermato davanti a questa creatura sofferente e l’aveva portata al rifugio dell’Associazione Aronne, una onlus che si occupa di accudire i cani di nessuno: lì era stato curato e, una volta ristabilito, reso disponibile per l’adozione. Ma non era mai arrivata nessuna richiesta concreta. Intanto Max aveva fatto capire che la vita del canile non era per lui: non che non fosse felice, ma una quotidianità trascorsa in uno spazio ristretto e scandita da orari e azioni precise l’aveva trasformato in un potenziale evaso e ogni scusa era buona per tentare la fuga. I volontari del rifugio dovevano avere sempre un’attenzione particolare nei suoi riguardi perché una porta aperta, o anche solo socchiusa, significavano delle ghiotte occasioni di fuga. Finché un giorno è riuscito nel suo intento ed è scappato. È stato ritrovato due giorni dopo all’interno di un cunicolo vicino alla tangenziale: qualcuno lo aveva investito, rompendogli la spina dorsale e rubandogli per sempre la cosa più preziosa, la libertà di correre.
Ho pensato molto alla storia di Max e inevitabilmente sono tornato indietro con la memoria: anch’io alcuni anni prima avevo perso per sempre la possibilità di camminare a causa di un brutto incidente e anch’io come il piccolo Max ero uno spirito libero, che amava la compagnia, l’avventura e la vita in tutte le sue sfaccettature. Per me era stata dura: avevo dovuto imparare a conoscere la sedia a rotelle e accettare la mia nuova quotidianità e lui avrebbe dovuto fare la stessa cosa con l’ausilio di un carrellino.
Una mattina, Fausta, la compagna che divide la vita con me, nonché “prima colpevole” per avermi fatto leggere la storia di Max, ha reso concreto il desiderio che celavo nel cuore e che forse non avevo il coraggio di portare fino in fondo: ha telefonato all’associazione e ha chiesto di adottare Max.
Così, il 23 gennaio è atterrato all’aeroporto di Linate: frastornato, confuso, i suoi occhi raccontavano mille stati d’animo: felicità, paura, euforia, stanchezza e speranza. A casa, ad aspettarlo c’era tutta la famiglia al completo: oltre a Fausta e all’inseparabile Grace, la persona che mi segue dal giorno dell’incidente, gli altri due cani di casa, Elda e Rico, due labrador dal carattere pacato e tranquillo. I primi giorni sono stati complicati: Max non conosceva il concetto di casa, di automobili, di persone; aveva paura che qualcuno gli rubasse il cibo, non sapeva giocare. Per lui, ogni cosa era nuova e sconosciuta.
Ai suoi occhi, Elda e Rico erano due antagonisti con cui contendere affetto e attenzioni e gli amici che frequentavano casa rappresentavano un’invasione del territorio. Ha dovuto imparare a muoversi con il carrellino, senza sbattere contro i muri e le porte, a correre in discesa senza capottarsi e ha dovuto comprendere che c’erano delle regole da seguire: il cambio quotidiano del pannolino con relative sessioni di pulizia e igiene, il controllo costante dell’insorgere di eventuali piaghe dovute allo sfregamento delle cinghie sulla pelle. Non sempre ha accettato tutto di buon grado. Poi, un giorno, ha compreso che, per vivere appieno la sua seconda vita, avrebbe dovuto adattarsi a una situazione nuova. Davanti all’irruenza di Max, alle sue resistenze, ai tanti pasticci combinati, non mi sono mai arrabbiato, perché so come ci si sente a dover cambiare pelle, a girare pagina e a cominciarne una nuova. Ho atteso che avvenisse il cambiamento, senza fretta e senza impazienza, perché è così che doveva essere. In passato qualcuno l’aveva fatto con me, ora io lo facevo con lui.
Alla fine Max si è rivelato un piccolo guerriero, tenace, forte, affettuoso, dolcissimo, capace di socchiudere gli occhi e mugolare di piacere davanti alle carezze e ai grattini. Con il tempo siamo diventati amici: la nostra è una relazione che non ha bisogno di molte parole perché è sufficiente guardarci per capirci al volo. Uno dei momenti che preferisco è quando sgancio il carrellino e lo prendo in braccio: rimaniamo immobili sul divano, la sua testa contro il mio cuore. Siamo due anime che diventano una e che si capiscono profondamente. Nel nostro silenzio, mi ha spiegato come la sua vita sia stata meravigliosa e lo sia ancora adesso: mi ha raccontato delle corse nei boschi a rincorrere le lucciole, dei giorni in cui un osso trovato nel sacchetto dell’immondizia rappresentava una festa, delle sfide con i cani più grandi lui e di quando, vagabondo, guardava da lontano gli altri cani passeggiare in compagnia delle persone. Mi ha parlato della sua permanenza in canile, di Piper, la sua compagna di box, una meticcia dal pelo bianco che non ha mai avuto la fortuna di conoscere l’amore di una famiglia e mi ha sussurrato la paura dopo l’incidente, la confusione e lo sgomento che hanno attanagliato il suo cuore per giorni. Mi ha ringraziato per avergli insegnato ad apprezzare la sensazione di un bacio sulla testa e il sapore della brioche alla mattina appena alzati.
Agli occhi di tanta gente sono un eroe, perché ho salvato un cane disabile, considerato da molti “inadottabile”. Max è paraplegico e deve essere seguito, ma per questo non mi sento migliore di nessuno. Solo più fortunato: ho concesso a me stesso di andare oltre e ho incontrato una creatura splendida, che ricorda a chi lo incrocia sulla sua strada che nessun ostacolo può essere più grande della forza di volontà. Lui è il mio piccolo amico con le rotelle, il compagno più fedele, leale e nobile che mai avrei potuto immaginare.
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