Ecco chi è la nostra autrice: Mi chiamo Grazia e tra poco compirò cinquantuno anni. Ho un figlio di ventidue anni e sono rimasta vedova circa sette anni fa. Sono nata in una piccola cittadina di provincia in cui tuttora vivo, nonostante il mio desiderio più grande fosse e rimane ancora oggi quello di poter viaggiare; per fortuna posso permettermi viaggi e avventure sia con la lettura che con la scrittura, le grandi passioni della mia vita, a cui, molto recentemente, ho aggiunto la pratica del “Cimento”, cioè del bagno in acque gelide nei mesi più freddi dell’anno. Amo i cani, ma condivido il mio tempo con una gatta
L’azzurro del cielo è quasi inquietante, più brillante del topazio azzurro che pende dal mio collo, velato solo di tanto in tanto da nastri di nubi evanescenti, che quasi spariscono passando davanti a questo sole grasso, tondo e sorridente, che pare godere del calore che riesce a sprigionare, un calore insolito per questa città, mitigato da questa brezza lieve, ma pungente, birichina come la risata di un monello.
Ho perso la cognizione del tempo, ma non mi importa, e lascio che il mio sguardo venga nuovamente attirato dai giochi d’acqua della fontana: i getti centrali, gorgogliando sempre più forte, hanno raggiunto il loro culmine e si spengono per rinascere di nuovo tremolanti, facendosi sempre più potenti durante la loro salita, fino a interrompersi in un silenzio improvviso, per tornare immediatamente a rinascere, ancora e ancora e ancora, come fiori che, in un ciclo di vita accelerato, spuntano, sbocciano e seccano donandosi al terreno, da cui rispunteranno in una nuova vita che, daccapo, cesserà per poi ricominciare.
Il cerchio della vita, la fine che porta alla rinascita e il nuovo inizio che avrà a sua volta una fine per lasciare posto a una nuova partenza, in un continuo cambiamento che rende la vita degna di essere vissuta.
Sorrido. A centinaia di chilometri dalla mia città, sola in mezzo a migliaia di Russi con cui non riesco a dialogare perché non conosco la loro lingua e loro non conoscono la mia, io sorrido, perché mi sento bene, mi sento nuovamente viva, sono finalmente libera dopo mesi, anni di orrore, mediocrità e paura.
Ho affrontato a testa alta, con una forza che mai avrei pensato di possedere, situazioni che avrebbero annientato quelle stesso persone che hanno tratto godimento e piacere nel farmi oggetto dei loro pettegolezzi cattivi, dei loro giudizi ingiustificabili e infondati, della loro curiosità morbosa.
Io sola conosco la sofferenza e il terrore provati durante la malattia di mio marito, io sola conosco l’orrore di vedere l’uomo che amavo soffrire senza che si potesse fare nulla per alleviare il suo dolore, io sola so che cosa abbia significato dover abbandonare ogni progetto e ogni sogno per il nostro futuro, annientandomi volontariamente per dedicare ogni mio momento, ogni mio sforzo, ogni mio pensiero alle due persone che avevo ancora accanto, deboli e bisognose entrambi, seppure in modi diversi; nostro figlio perché ancora bambino, mio marito per le condizioni fisiche.
Ho conosciuto lo strazio di notti trascorse chiusa nel bagno per nascondermi, con i pugni premuti sulla bocca per impedire alle mie urla di uscirne, scossa dai singulti di un pianto senza più lacrime, genuflessa a maledire una vita così crudele o per invocare pietà, pregando per un sollievo anche solo momentaneo da quell’inferno. Fino al quell’ultimo, pesante respiro di morte con cui lui ci ha detto addio.
Ripensare al periodo che è seguito mi fa ancora stare male, ma non posso fare a meno di domandarmi, se è vero che esiste una legge dell’attrazione, che cosa fossi diventata io per attrarre proprio te.
Il nostro primo incontro rimarrà indelebile nella mia mente e ne voglio conservare il ricordo come monito per ogni decisione che tenterò di prendere senza seguire l’istinto.
Piccolo di statura, con una pancia prominente da cui sporgono braccia e gambe che, al confronto, paiono addirittura rachitiche, mi sei sembrato un ragno e così ti ha anche definito mia sorella, prima ancora di fare la tua conoscenza, davanti alle mie lacrime per i tuoi comportamenti inesplicabili: un ragno che tesse la tela per imprigionare la mosca. La mosca, ovviamente, ero io.
Avrei voluto voltarti le spalle e andarmene subito, ma la mia innata, insensata buona educazione mi ha impedito un comportamento così villano e mi sono seduta al tavolino del bar dove ci eravamo dati appuntamento dopo esserci sentiti più e più volte telefonicamente.
Davanti a due tristissimi caffè, mi hai brevemente raccontato della tua decisione di lasciare tua moglie, dopo più di venti anni di matrimonio, perché ti eri accorto di non amarla più. La mia esperienza personale mi aveva portato a credere che gli uomini, solitamente, non cercano l’Amore, quello assoluto, duraturo, con la A maiuscola, ma si adagiano in un rapporto qualsiasi, con una donna qualsiasi pur di non rimanere soli e, fidandomi delle tue parole, ho travato il tuo comportamento inusuale, ma molto ammirevole.
Peccato che non fosse la verità, che anche quella fosse una delle tante, tantissime bugie che mi hai raccontato su di te, mentendo su ogni aspetto della tua misera vita: non eri un ex Maresciallo dei Carabinieri, ma solo un Appuntato, non eri titolare di un’agenzia di investigazioni, ma solo un disoccupato per scelta, non per necessità, non eri mai stato consigliere al turismo nel tuo comune, non eri mai stato volontario presso la Croce Rossa.
Per ognuna delle tue bugie avevi una storia da raccontarmi: che dire delle sere in cui dicevi di presenziare a un consiglio comunale e trascorrevi il tempo a inviarmi sms sul tesoriere, noioso e arrogante, che presentava il bilancio preventivo, o di quelle in cui ti dicevi impegnato in qualche appostamento per raccogliere le prove di un tradimento coniugale per un qualche tuo fantomatico cliente, facendomene, il giorno successivo, un racconto appassionato?
Io, però, avevo scoperto subito che non eri ciò che dicevi di essere e, ogni volta che svelavo i tuoi giochetti, tu mi lanciavi accuse velenose, inventandoti (come eri bravo a inventare falsità!) storie assurde su di me, quasi tutte su altri uomini, per poterti allontanare da me, senza mai assumerti la responsabilità delle tue colpe.
Colpire alla cieca, in qualsiasi direzione, attaccare per difenderti, denigrare me per non dover ammettere la tua falsità; mai una volta mi hai chiesto scusa per avermi mentito, ferita e umiliata. Mai. Eppure, ogni volta ero io a venirti a cercare, ero io a venire da te per dirti che non importava di quel che avevi fatto, l’importante era che non capitasse più e tu, ogni volta, ti sentivi più forte, impunito, invincibile e ogni volta, dopo un periodo più o meno lungo, ricominciavi daccapo con nuove bugie e nuovi attacchi. Senza contare anche i tuoi tradimenti.
Ammetto di aver vissuto un periodo di momentanea interruzione delle mie facoltà mentali, ma la vera natura di una persona non cambia e, a poco a poco, sono riuscita a liberarmi dalle tue catene e a lasciarti andare.
Solo che, a quel punto, eri tu a non volermi lasciar andare e la mia decisione ha scatenato in te una rabbia che sapevo non saresti stato in grado di controllare e che, anzi, avresti coltivato con passione come già avevi fatto in innumerevoli altre occasioni.
Quando hai capito che non saresti riuscito a farmi desistere, hai cominciato a lanciarmi minacce di qualsiasi tipo e il fatto che tu fossi un ex Carabiniere e possedessi ancora la tua pistola di ordinanza mi ha causato un certo timore, soprattutto quando, in diversi momenti, ti ho intravisto all’uscita dal lavoro e nei pressi della mia abitazione. Con tutte le storie di violenza sulle donne che vengono riportate da giornali e telegiornali ho temuto che tu potessi compiere qualche gesto inconsulto e, per non rischiare di mettere in pericolo le persone che frequentavo, ho preferito rinunciare alla mia vita sociale.
Ho trascorso mesi in quell’isolamento che mi ero imposta; scorgerti in un ristorante in compagnia di una bambolina graziosa, apparentemente innocente e innocua, mi ha fatto capire che l’incubo per me era finalmente finito, ma ormai mi ero allontanata anche da quelle poche amicizie che mi erano rimaste accanto durante la nostra relazione.
Ho preferito lasciarmi avvolgere da quella solitudine che sentivo come necessaria, amica e protettiva, ma che ha fatto nascere in me una sensazione mai provata di malessere e malinconia; non si trattava di una vera e propria depressione: quella l’avevo conosciuta molto bene nei momenti più terribili e drammatici della malattia di mio marito ed era un turbamento pericoloso che poteva diventare distruttivo se non tenuto a bada.
Ciò che stavo provando era piuttosto un senso di deprivazione, una sensazione di stasi e grigia conformità in cui i miei giorni si trascinavano uno dietro l’altro sempre uguali, monotoni, privi di novità e di sorprese.
Ho impiegato un po’ di tempo a capire che l’unica che poteva fare qualcosa per cambiare quello stato ero io e solo io, ma non credo che sarei riuscita a comprenderlo se non fosse stato per l’ennesimo intervento del mio angelo custode.
Il mio personalissimo, stravagante e impagabile angelo custode si chiama Elena, abita a centinaia di chilometri da me ed è l’amica preziosa e insostituibile che non solo capisce quando io ho bisogno di aiuto, ma riesce a farsi viva sempre al momento giusto, quando sa, e per me è inconcepibile come faccia a saperlo, che sono pronta per accettare il suo aiuto.
Erano mesi in cui praticamente non ci eravamo più sentite, perché anche lei aveva avuto urgenti problemi lavorativi e finanziari, dei quali io non ero al corrente, ma ha percepito quando è stato il momento giusto e mi ha chiamato, riprendendo le fila di un rapporto mai sopito e, come suo solito, è riuscita a trovare la soluzione ai miei problemi: un viaggio, proprio qui a Irkutsk, la meta agognata dove poter riprendere in mano il mio destino.
Detto così può sembrare una soluzione assurda, ma per me, che da ventiquattro anni non salivo su un aereo e da almeno dieci non facevo nulla per me stessa, è stata La Rivoluzione, La Trasformazione, Il Rinnovamento.
Con l’incoscienza e l’ottimismo che mi erano propri, ma che avevo dimenticato, ho iniziato a organizzarlo. Spesso sono stata assalita dall’ansia e dalla paura, spesso mi sono immaginata scenari in cui venivo colta da una crisi di claustrofobia sull’aereo, in cui vagavo persa e raminga nell’aeroporto di Mosca senza trovare il gate per la coincidenza, in cui non riuscivo a cavarmela nell’adempiere le formalità del visto di ingresso e del soggiorno in albergo, in cui mi perdevo in questa magnifica città, idea che ora non mi appare malvagia, se questo mi potesse permettere di prolungare il mio soggiorno qui.
Quando finalmente è arrivato il momento di partire ero talmente spaventata dall’incognito a cui stavo andando incontro che sono stata tentata di rinunciare, ma incoscienza e ottimismo ancora una volta si sono risvegliati in me, più forti e prepotenti che mai… E ora eccomi qui a sorridere come un’ebete in mezzo a migliaia di Russi, dai visi chiusi e tremendamente seri, di cui a volte colgo su di me gli sguardi straniti e incuriositi; probabilmente si staranno domandando per quale motivo questa insolita straniera solitaria stia ridendo davanti alla fontana della loro città.
Loro non possono sapere che questa solitaria e bizzarra straniera ride perché ce l’ha fatta: è scesa nell’inferno della malattia e del lutto, si è lasciata catturare da un orco cattivo che avrebbe potuto distruggerla, aveva perso ogni speranza e stava per abbandonarsi all’oblio, ma, con l’aiuto di un’amica unica e speciale, ha trovato ancora una volta la forza per rinascere e per tornare a essere sé stessa.
Questa straniera bislacca, questa donna, splendida, libera e forte come qualsiasi altra donna, ce l’ha fatta.
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