La prossima estate

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Ecco chi è la nostra autrice: Mi chiamo Federica Torre e sono un’insegnante. Cerco ogni giorno di trasmettere ai miei studenti l’amore per la nostra lingua meravigliosa, ricca di sfumature e di passione per la vita. Amo leggere e scrivere, credo siano attività che migliorano l’esistenza e la completano. Abito in un paesino in provincia di Treviso che è diventato per me, originaria del Lazio, la mia prima casa. Qui ho costruito la mia vita, passo dopo passo, con mio marito Vincenzo, nella nostra casetta, e con i nostri gatti, animali che adoro. Amo la mia vita semplice, fatta anche di escursioni in montagna, e credo nella bellezza delle piccole cose.   

 

Storia vera di Barbara S. raccontata da Federica Torre

 

Oggi tutto è vivo attorno a me, tutto contiene vita. Oggi è un giorno caldo di maggio, tanto caldo da annunciare in anticipo una nuova estate, e, con rabbia quasi, mi sorprendo a sentire la forza della vita roteare intorno a me, tanto forte da non poter essere ignorata: gli alberi pieni di foglie verdissime, i fiori nei giardini, gli uccelli che cantano e sembrano così allegri, le prime cicale. Percepisco la piccola vita degli insetti attorno a me, della farfalla bianca che per un attimo attraversa il mio campo visivo. Vivere sembra così facile, oggi. E tutto questo fragore di vita mi inebria ma mi nausea, al contempo. Sì, mi nausea. Perché tutto è vivo, oggi, tranne te. Persino io, che mi sento morire dal dolore, sono viva oggi, e tu no. Cara Paola, non si può andare via in un giorno così bello. In un giorno di luce e di caldo. Oggi non era la giornata giusta per morire.

Io sono frastornata. Vorrei rimanere seduta su questa panchina nel cortile dell’ospedale e non muovermi più. Rimanere qui, lasciarmi sopraffare dalla vita che scorre, la vita degli altri, delle creature tutte, incuranti del fatto che tu non ci sei più. Sorella mia. Invece non posso fermarmi: ci sono tante incombenze a cui dovrò pensare adesso: predisporre il tuo funerale, chiamare i cugini e gli amici, contattare il sacerdote. Dovrò, ancora, parlare con i medici.

Dovrò pensare io a tutto, perché sono quella razionale della famiglia, quella che organizza sempre ogni cosa alla perfezione. Certo non posso caricare il papà e la mamma di questo dolore, che si aggiunge al dolore di aver perso una figlia tanto giovane in così poco tempo. Devo essere forte per loro, come lo sono sempre stata per te. Perché, da brava sorella maggiore, ti proteggevo e ti consigliavo. E con la mente torno indietro nel tempo: penso ai giochi della nostra infanzia, ai vestiti che ci siamo scambiate, ai ragazzi che ci piacevano e di cui parlavamo in camera, con la voce bassa, per non farci sentire da mamma e papà. Di tutto abbiamo parlato, su tutto ci siamo confidate. Abbiamo condiviso le nostre esperienze e le nostre emozioni, le abbiamo vissute insieme. Ci siamo arrabbiate insieme. Che litigate furiose eravamo in grado di mettere in piedi in un attimo! Non duravano mai troppo però. Tornavamo sempre l’una dall’altra. Facevo io il primo passo, o lo facevi tu. Siamo state una forza, insieme! Siamo sempre andate avanti insieme, proiettate verso un futuro che, sicuramente, sarebbe stato radioso per entrambe, sicuramente avrebbe realizzato tutti i nostri desideri. E per un po’ il destino ci ha accontentate, ci ha illuse che tutto dovesse andare come credevamo: tu hai tenuto in braccio i miei tre figli, i tuoi “bellissimi nipoti”, così dicevi, e li hai guidati, giorno per giorno, per andare avanti nel cammino della vita, giocando, parlando e scherzando con loro: che zia straordinaria sei stata! Ma quanto mi hai fatto arrabbiare quando alla più grande, Camilla, hai regalato un cellulare! Io non volevo, per me era troppo presto, ero assolutamente contraria. Ma poi vedevo gli occhi della mia bimba brillare quando le scrivevi il messaggio di buonanotte, o eri la prima a farle gli auguri al suo compleanno, e non ce l’avevo più con te. Io ti avevo finalmente vista felice con Carlo, dopo qualche relazione che non stava in piedi, ed eravate pieni di progetti e di entusiasmo. Pieni di vita. Ecco, ho parlato delle nostre vite. Ho parlato della vita. Perché quello che ci lega a chi non c’è più sono i ricordi di vita. Chi non c’è più! Sono incredula. Non ci credo che non ci sei più. Ti sento ancora intorno a me, penso per un attimo che adesso tornerò su, in ospedale, e ti troverò lì, così magra ma sorridente, e mi parlerai, come sempre, con la tua voce squillante e serena. Poi però mi ridesto da questo pensiero, e mi costringo a pensare che le cose non stanno così, che adesso tutto è cambiato.

Non voglio ripercorrere il tuo calvario. Forse un giorno ci penserò. Ma non ora. Quei maledetti ultimi otto mesi di vita, in cui un mal di pancia si è trasformato, tanto velocemente quanto assurdamente, in un male dal nome difficile, impronunciabile, che è riuscito a sconfiggere te, una ragazza bellissima, solare, una ragazza che sembrava invincibile. Una ragazza entusiasta e piena di vita.

No, non voglio ricordare tutto questo. Io voglio ricordare quello che eri, quello che per sempre sarai per me, la sorella che ho visto nascere e crescere, e con cui io sono cresciuta. Voglio ricordare le tue risate, le tue battute, le smorfie del tuo viso, e quella leggerezza che ti ha sempre contraddistinta. Voglio ricordare la bellissima vacanza della scorsa estate, che abbiamo vissuto insieme, quella frenetica settimana a Roma. Faceva caldo, sì, ma lo abbiamo combattuto, andando comunque a zonzo, ammirando gli splendidi monumenti, guardando le raffinate vetrine dei negozi, e camminando per tutta la giornata, fino a far diventare i nostri piedi neri di polvere e sporco, la sera. Era una vacanza di cui avevamo parlato per anni, una vacanza da fare io e te, non importava dove. L’importante è che ci fossimo noi, e la tua adorata estate. Dopo tanto tempo, eravamo riuscite a realizzarla. Ci eravamo ripromesse, in quell’occasione, di farne un’altra, prima o poi, magari con le nostre famiglie. Né te né io potevamo sapere che quella sarebbe stata la tua ultima estate. Del resto, in genere, nessuno lo sa.

Il destino, in poco tempo, troppo poco, ci ha portate qui: dove non volevamo arrivare e dove abbiamo lottato per non arrivare.

Cara Paola, cara sorella mia, oggi non era la giornata giusta per morire. C’è troppa luce, c’è troppo caldo, c’è troppa bellezza. Ma forse un giorno giusto per morire non esiste mai. Non esiste un giorno giusto per separarci da chi amiamo, e ogni giorno è sempre troppo presto. Ed io, oggi, anche se sono quella razionale ed organizzata, non so da dove partire per sistemare tutte le cose che si devono sistemare. E vorrei tanto che tu, tu che invece avevi fatto della disorganizzazione il tuo stile di vita, mi aiutassi ad organizzare tutto. Ma, soprattutto, mi insegnassi come si fa a vivere senza di te. Perché davvero io non lo so, come si fa. Non so come si riesce ad abituarsi alla tua assenza, non so come si può andare avanti con la propria vita, non so come si possono consolare tutti gli altri, la mamma, il papà, Carlo, i ragazzi… Davvero non lo so.

Tu mi hai insegnato tante cose mentre eri viva. Ma se mi hai potuto insegnare qualcosa anche con la tua malattia e la tua morte, è di godere del tempo che si ha, di non perderlo in cose inutili e piene di negatività. Sembra semplice, banale come suggerimento, ma è così difficile da mettere in pratica. Perché nella vita, spesso, ci perdiamo in un bicchier d’acqua, e diamo tempo ed energia a cose e persone che non ne meritano.

So che non mi avresti mai voluta vedere così affranta. Mi hai sempre incitata a godermi di più la vita, ad avere un po’ della tua leggerezza. E, in questo momento di immenso dolore, voglio farti una promessa: vivrò la prossima estate. Non so ancora dove troverò le forze e l’entusiasmo, ma la vivrò anche per te, che tanto amavi questa stagione. La vivrò cercando di gustare le cose belle e scacciando quelle cattive, cercando di concentrarmi sui suoi particolari, sui colori, sugli odori.

La prossima estate in cui tu non ci sarai, io la vivrò con te.

Confidenze