A vele spiegate

Cuore
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Vi riproponiamo sul blog una delle storie più apprezzate del n. 31

 

Dovevano essere tre giorni in barca con il mio capo insieme a dei potenziali clienti. Lo skipper che ci accompagnava era un tipo schietto e taciturno dall’aria un po’ selvaggia, che mi ispirava desideri insoliti. E se avessi preso io l’iniziativa con lui?

STORIA VERA DI IRENE T. RACCOLTA DA BARBARA BENASSI

 

Per lui era una decisione geniale. Secondo Gianni in quel modo lo studio si sarebbe accaparrato i nuovi clienti.
«Ho detto alla segretaria di contattare una compagnia di charter e di noleggiare una barca a vela con skipper. Ci faremo tre giorni con i responsabili di progetto e vedrai che il contratto sarà nostro» annunciò una mattina tutto impettito sulla soglia del mio ufficio.

Lavoravo in quello studio di architettura ormai già da dieci anni, prima per Ettore, il padre di Gianni che mi aveva assunta e mi aveva cresciuta professionalmente, poi, quando quell’uomo capace e austero per una malattia degenerativa si era chiuso in se stesso, per suo figlio, anche lui architetto come me.
Ma Gianni era molto diverso da suo padre.
Ettore era della vecchia scuola, un uomo tutto d’un pezzo che si conquistava i mercati a suon di progetti, rispetto per l’ambiente ed economicità e con questa sua filosofia aveva incrementato il portafoglio clienti dello studio. Gianni invece, cresciuto professionalmente in un ambiente protetto, era mosso dall’ambizione frivola di chi non sa cosa sia la gavetta e di quanto sia importante lavorare sodo. All’inizio, quando un anno prima era subentrato al padre, aveva tentato perfino qualche grossolana avance nei miei confronti subito soffocata con un rifiuto cortese, ma deciso. Ora la situazione sembrava rientrata, ma non il mio scontento lavorativo, tanto che avevo iniziato a guardarmi seriamente intorno per un altro impiego.

«Un giro in barca? Ma devo ancora finire le presentazioni» osservai scettica.

«Ne parleremo a bordo, li faremo sognare, poi una volta rientrati daremo il colpo di grazia».
O i progetti piacevano oppure no, pensai, ma annuii poco convinta. Erano mesi che preparavo i disegni e le proiezioni al computer e avrei preferito mostrare il mio lavoro al momento giusto e nel posto consono. Comunque, malgrado le strategie di Gianni mi lasciassero perplessa e un’uscita in barca di tre giorni con degli estranei mi preoccupasse un po’, feci buon viso a cattivo gioco e mi preparai per la partenza.

Il giorno dell’imbarco ci trovammo tutti davanti all’ingresso del porto. I clienti, Gianmarco e Filippo con le rispettive mogli, Marina e Alda, sembravano alla mano e questo mi sollevò non poco il morale. Arrivati al posto darsena 18, come convenuto con l’agenzia di charter, mentre ci guardavamo intorno, da dietro ci sorprese una voce.

«Eccovi! Sono Luca e lei è Vela stregata» ci salutò un ragazzo alto, abbronzato, dai capelli schiariti dal sole con un sorriso schietto indicando una splendida barca dallo scafo blu. Poi Luca saltò sulla passerella e tese la mano per facilitarci la salita a bordo. Ci togliemmo le scarpe e uno dopo l’altro gli sfilammo davanti presentandoci. Eccetto Gianni.

«Faccio da solo. Ho fatto regate e sono praticamente nato in barca.Tranquillo occupati di loro» disse il mio capo con un tono da padrone delle ferriere.
«Ma certo, una mano esperta in più fa sempre comodo. Benvenuti a bordo» rispose Luca aiutandoci a posare i bagagli e le buste della spesa. «Allora ci sono due cabine

a poppa e due a prua. Scegliete quelle che volete, sappiate solo che quelle di poppa sono più grandi e in genere si balla di meno».
Gianni volle lasciare a Gianmarco e Filippo le cabine di poppa e destinò a me quella di dritta a prua proprio di fianco alla sua.

«Mi dispiace per la parete che ci divide, ma tranquilla sembra sottile» proclamò a voce alta, buttandola lì come una battuta, alla quale l’equipaggio rise di gusto, dando per scontato che tra noi ci fosse quel genere di confidenza. In verità quel colpo basso mi indispettì.

«Ma non ci pensare proprio, non mescolo mai lavoro e vita privata!»,
«Infatti questo me lo chiami lavoro?» ribatté Gianni indicando la barca.

«Certo» risposi piccata nel tentativo di mettere paletti che lui sembrava ignorare bellamente.

A ogni modo la mia cabina era piccolina ma confortevole, dotata anche di un minuscolo bagnetto personale, per me di inestimabile valore.

«Prima che sistemiate le vostre sacche, vorrei fare un piccolo briefing dove parleremo delle dotazioni di bordo» disse Luca, sorridendo cordiale. «Io vado fuori a fumarmi una sigaretta, sono cose che so già» dichiarò Gianni con aria annoiata.
«Lo spiego per tutti, un piccolo ripasso non sarà una perdita di tempo ed eviterà seccature» replicò senza scomporsi il nostro skipper indicando al mio capo una poltroncina dove sedersi.

Tutto fu molto veloce e senza interruzioni fuori luogo da parte di nessuno potemmo sistemare le quattro cose che avevamo portato nel giro di poco e dopo una notte tranquilla, la mattina partimmo presto come da programma. Appena preso il largo, Luca aspettò che ci allontanassimo prima di dare i comandi per l’apertura della randa e del fiocco e metterci in rotta verso l’isola del Giglio, la nostra destinazione.

Una volta spiegate le vele, spento il motore e trovata l’andatura giusta sentimmo la barca fendere il ventre azzurro del mare.
All’inizio questo stato idilliaco veniva interrotto spesso dalla voce di Gianni che ripeteva esattamente i comandi di Luca, confondendo un po’ tutti e ogni tanto dalle domande di Marina e Alda che invece di interessarsi al lato velico preferivano quello personale dello skipper.

«Coma mai fai lo skipper?».
«Lo faccio solo quattro mesi all’anno, questa barca è mia e noleggiarla mi consente di rientrare di una parte delle spese di manutenzione e poi trovo divertente conoscere persone nuove».
«Gli altri mesi dell’anno cosa fai per poterti prendere così tanti permessi lavorativi?».

«Cos’è un interrogatorio? Se uno ha bisogno di fare doppio lavoro per sbarcare il lunario non c’è niente di male» intervenne sarcastico Gianni.
«Sono commercialista, ho uno studio con sei dipendenti e riesco a organizzarmi durante i mesi estivi» rispose Luca ignorando la battuta di Gianni.
Le due donne non dissero nulla, ma i loro occhi non potevano mentire. Erano ammirate e rapite da quel ragazzo grande e grosso dall’aria da selvaggio che nei mesi invernali doveva indossare impeccabili completi giacca e cravatta.

«Lo vorrei fare io un doppio lavoro così. Fantastico, complimenti!» esclamò Gianmarco bonario.
Per il resto della traversata la potenza della natura ci rapì letteralmente e veleggiammo per quasi tre ore sotto l’occhio vigile di Luca in religioso silenzio, incantati da quel prodigio. «Ora dirigiamo verso Campese, con questo vento da Sud staremo benissimo e visto che la baia è esposta a Ovest faremo un aperitivo davanti a un tramonto fantastico». L’eccitazione a bordo arrivò alle stelle alla sola parola “aperitivo”. Luca rimase al timone mentre Gianni si offrì di gettare l’ancora.

«Qui abbiamo 30 metri di fondo, comincia a calare» urlò Luca da poppa.
Gianni impettito, si pavoneggiava in un atteggiamento disinvolto sentendosi osservato.

«Cala minimo 80 metri» lo avvertì Luca.
«Ma sono troppi» rispose Gianni con fare saccente. «Siamo così vicini alla costa cosa vuoi che ci succeda?».
«Scherzi? Ho detto 80 altrimenti o rischiamo di arare e di trovarci al largo in piena notte».
Allora Gianni tacque e continuò a gettare catena, cupo in volto senza che nessuno a bordo, a parte me, ci facesse caso.
Finalmente, dopo esserci ancorati e aver preparato olive, patatine e sacrosante bollicine, ci accomodammo nel pozzetto per immergerci in un commovente tramonto rosso carminio che insanguinava cielo e mare senza ritegno.

Peccato che Gianni ignorando la poesia del momento vide bene di introdurre l’argomento del progetto per poi darmi la parola chiedendomi di illustrare nei dettagli la nostra idea.

«In verità mi sarebbe piaciuto vederlo a studio» intervenne Filippo e malgrado anch’io pensassi la stessa cosa, iniziai a illustrare il mio lavoro. Con mio stupore nel giro di poco tutti erano rapiti dalle mie parole, anche Luca che non era tenuto a sorbirsi la presentazione. Quando finii vidi i clienti impressionati e sentii Gianni passarmi il braccio attorno alle spalle. Dopo un primo sussulto, con buon modo cercai di sottrarmi alla presa, sgusciando fuori nel pozzetto. Mi sedetti al fresco e da lontano mi sembrò di intravedere un sorriso sulle labbra di Luca. Ma Gianni non aveva ancora esaurito le sue cartucce. Prima di andare a letto, al momento di entrare nella sua cabina, disse con aria imbronciata: «Quello fa di tutto per mettermi in cattiva luce».
– «Quello chi?» domandai in uno sbadiglio.
«Lui, lo skipper, fa di tutto per contraddire quello che dico e lo fa di fronte ai clienti e a te… Non lo hai notato?».

«Veramente non mi pare dia molto peso a quello che dici». «Perché tu non fai attenzione. Lo irrita che a bordo ci sia uno che ne sa quanto lui. A proposito, ottima presentazione a cena, come premio la ditta offre una notte con un vero lupo di mare, approfitta» esclamò semiserio indicando l’interno della sua cabina.

«Ma smettila» replicai chiudendogli la porta in faccia. Dormii come un sasso anestetizzata dal mix di aria di mare, vento e salsedine, sprofondata nel silenzio e nell’immobilità della baia.

La mattina ci spostammo davanti alla spiaggia di quarzo bianco delle Cannelle dall’acqua di cristallo.Tutti si tuffarono tra gridolini e schizzi, nuotando sotto costa mentre io preferii sdraiarmi vicino a Luca seduto a prua intento a leggere. Quel gigante tranquillo ed elegante mi attirava come la luce per una falena, senza rimedio.

«Che cosa leggi?» gli chiesi banalmente.
«Sto rileggendo Alexandre Dumas padre».
«I tre moschettieri?».
«No, li avrò letti mille volte. Quando lavoro preferisco Il conte di Montecristo. Lo sai che Dumas era per un quarto nero? E a te piace leggere?».
«Leggere è il mio rifugio» risposi di getto. «Luca vieni, non trovo la doccetta esterna» ci interruppe Gianni sgocciolando ovunque sul teck. Luca si alzò e posò il grosso tomo vicino alla catena dell’ancora. Lo presi e sulla prima pagina scrissi il mio numero di telefono e il mio nome. Fatto questo, per un attimo rimasi immobile a fissare la mia prodezza poi, dopo essermi dichiarata totalmente impazzita richiusi il libro. Ormai era fatta, ero caduta improvvisamente dentro un gorgo e sentivo che non ne potevo più uscire.

La sera, il programma di Gianni prevedeva una cena al ristorante, ma qualcosa in me non ne voleva sapere di scendere a Giglio Porto dove ci eravamo attraccati nel tardo pomeriggio.

«Non mi sento bene, preferirei rimanere in barca» mi scusai indicando l’acqua che avevo messo a scaldare sul fornelletto.

«Vieni dài, per un po’ di mal di stomaco, come ti è venuto passerà» insisteva il mio capo, ma dopo vari tentativi dovette arrendersi.
Una volta che tutti furono sbarcati, Luca buttò una bustina di tisana al finocchio nell’acqua calda e mi sistemò i cuscini nel pozzetto.

«Non devi preoccuparti per me, riposati ora che la barca è vuota» dichiarai incerta e subito lanciai la mia domanda: «Ma la tua fidanzata non viene con te in barca?».
«No, mia moglie non è mai venuta con me, a lei la barca non è mai piaciuta. Sono separato e ho una bimba di sette anni. È lei la mia stella. A proposito di stelle, anche da qui direi che la vista non è male».

Il cielo sopra di noi non si risparmiava in effetti speciali tanto da farmi sentire ancora di più in imbarazzo. Era la prima volta che prendevo l’iniziativa con un uomo, ma ormai come ho detto, il dado era tratto. «Molto meglio qui che al ristorante. Davvero stasera per nulla al mondo sarei scesa. Voglio leggere e soprattutto prendermi un attimo di tregua da Gianni».

«Ma non è il tuo compagno?».
«Scherzi? Lavoro con lui da un anno. Amo quello che faccio e amavo lo studio quando c’era ancora suo padre. Stasera non lo avrei retto un attimo in più. E poi non ho un ragazzo, solo lavoro e libri».
«Ma certo, un libro è sempre un’ottima compagnia» disse sembrandomi sollevato. «Se sei stanca sdraiati e vedrai che starai meglio».
«Sto già molto meglio, qui è un sogno e poi devo aspettare che mi si ricarichi il lettore».
«Se ti accontenti di un libro cartaceo te ne posso prestare uno» propose puntando i suoi occhi verdi nei miei.
«La carta ha sempre un suo fascino… Non so resistere». Allora Luca si alzò, aspettando che lo seguissi.
Ci ritrovammo nella sua cabina dotata di tutto, zeppa di libri, cd e con un grande oblò aperto sul mare.
«Ti piace Norah Jones?» mi chiese mentre faceva partire Come Away with me.
La musica a poco a poco riempì il poco spazio, Luca mi prese la mano e mi cinse con un braccio la vita. Ballammo stretti, soli al mondo, sospesi in un sogno. Alzai gli occhi cercando il suo sguardo che trovai subito dentro al mio. Poi fu solo musica e baci lunghi, mani fra i capelli e sulla pelle calda avvolti dalla luce d’argento della luna che brillava dall’oblò. Fu tutto molto lento. Ci assaggiammo con calma. Mi sentivo preziosa e sacra nelle mani di quell’uomo al quale desideravo appartenere.

Cullati dalla marea ci prendemmo con dolcezza assecondando il ritmo delle onde.
Quando udimmo rientrare gli altri rimanemmo l’uno nelle braccia dell’altra, mentre Norah Jones cantava. «Lo sai cosa significa la prima strofa di questa canzone? Vieni via con me nella notte/Vieni via con me/E ti scriverò una canzone».
Andò proprio così, feci quello che diceva la canzone. Da quella notte è come se non fossi mai uscita da quella cabina. Il tempo di rientrare in ufficio e consegnare i progetti finiti accompagnati dalle mie dimissioni. Luca rise molto quando trovò il mio numero e il mio nome scritti sulla prima pagina del suo libro preferito, ma non ebbe bisogno di usarli, perché fin da subito ero al suo fianco. “La fortuna aiuta gli audaci” così dice il proverbio, e ammetto che non lo posso smentire. L’unica volta che lo fui, audace, la fortuna non si tirò indietro. Mi regalò a piene mani una storia che ancora oggi va a vele spiegate. ●

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