La sveglia segna le 5.10 del mattino, ancora immersa nel sonno sento un zampina soffice appoggiarsi sulla guancia e poi un miagolio soffocato, come un versetto di chi non vuole fare rumore, ma che diventa sempre più insistente e interlocutorio, a mano a mano che i minuti passano. Resto immobile perché ogni spostamento potrebbe essere scambiato per un risveglio e questo comporterebbe una sua maggiore insistenza. Ma quando il mio amorevole micio balza sul comò e comincia a buttar giù gli scatolini della mia bigiotteria, allora è il segnale che non ho più scampo: devo alzarmi e dargli da mangiare.
Questo è più o meno il minuetto che si tiene ogni mattina all’alba tra me e il mio gatto, e non c’è verso di farlo smettere, o meglio un modo ci sarebbe (chiuderlo fuori dalla stanza da letto) ma non funzionerebbe, perché lui, un po’ appesantito dai suoi 7 chili, cercherebbe di aprire la maniglia saltando, con il solo risultato di svegliare il vicinato a suon di tonfi e rumori molesti.
E allora mi alzo, vado in cucina, gli dò da mangiare e torno a dormire (se ci riesco), a fianco di mio marito, che nel frattempo è rimasto rapito tra le braccia di Morfeo, mentre lui, il gatto, fiero di averla avuta vinta ancora una volta, torna felice e sfamato ad accoccolarsi ai nostri piedi sul lettone.
Chi ha avuto un micio sa di cosa sto parlando quella sensazione di calore, di istinto animale che si prova quando lui si accuccia vicino a te e cerca il contatto fisico, percependo il tuo respiro, il ritmo del sonno e anche de risveglio.
La convivenza con un animale domestico porta spesso a trattarlo come un essere umano, ma è difficile davvero non vedere un segno divino in queste deliziose creature che percepiscono ogni sfumatura del nostro umore, ci seguono in ogni spostamento per la casa, pur mantenendo la loro indipendenza. Negli anni ho imparato che ogni felino ha una sua personalità, proprio come gli umani: quando ero bambina in casa c’era Bianchina una gatta tutta bianca che appena entrava in casa un estraneo si infrattava negli armadi e non si faceva più vedere finché l’ospite (a lei sgradito) non se n’era andato.
Poi venne Briciola, un certosino sfacciato come pochi, che quando c’erano ospiti a cena si divertiva a comparire di soppiatto sotto al tavolo e ad azzannare gli stinchi di chi era seduto, naturalmente per giocare, generando non pochi imbarazzi e sorpresa tra i presenti.
Adesso a casa mia c’è Codino che domina in salotto appollaiato sulla spalliera del divano, a fianco del cuscino con la scritta “Attenzione al gatto, in questa casa è lui il capo” che la dice lunga sul nostro rapporto con lui.
È la vera anima della casa, capace di chiamarti con un miagolio insistente se fai tardi la sera davanti alla televisione, per dirti a modo suo che è ora di andare a dormire, o di correre alla porta una frazione di secondo prima che mio marito suoni il campanello, perché ne sente i passi in anticipo la sera quando torna a casa. Si accuccia accanto a me sul plaid quando si accorge che non sto bene, con la stessa disinvoltura con cui volta la testa sdegnato se l’abbiamo lasciato solo tutta la sera e abbiamo fatto tardi.
Per questo vi invito a leggere la storia vera di Marisa Marconcini, “La gatta taumaturgica”, che trovate su Confidenze, dove la nostra autrice è protagonista di un’inaspettata guarigione da un dolore alla spalla grazie al tocco magico della zampina di una micia. Fantascienza? Eccesso di antropomorfizzazione? Può darsi ma un amico anni fa mi raccontò che quando suo padre fu costretto a letto per un mese e oltre da una brutta polmonite, la loro gatta non si spostò da lì finché l’uomo non guarì.
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