Sono diventata mamma giovanissima e in una maniera un po’ improvvisa che ha spaventato i miei genitori. Infatti, in preda a un colpo di fulmine, a 24 anni mi sono sposata e ho deciso di avere un bambino in tempi sprint. Così, il 7 marzo 1989, a meno di un anno dall’incontro galeotto (avvenuto il 23 marzo ’88), è nato il mio primo figlio.
Come dicevo, all’inizio in casa tanta fretta non è stata ben accolta. E siccome mia madre temeva in un colpo di testa di cui mi sarei pentita, quando le ho annunciato i progetti mi ha risposto: «Ricorda che diventare genitori è una condizione irreversibile». E me l’ha ripetuto come un mantra fino al giorno in cui le ho comunicato che ero incinta.
In realtà, appena abbiamo stretto tra le braccia quel buffo e tenerissimo ranocchietto, suo padre e io non eravamo affatto ravveduti, anzi. Tant’è che 14 mesi dopo è nato il secondo pasticcino, che ha completato la nostra famigliola.
E’ stata dura? Beh, nei primi tempi un pochino sì. Due bambinetti minuscoli e del tutto dipendenti da te non sono di facilissima gestione: quando smettevo di allattare uno, centrifugavo pappine per l’altro. E appena il primo si addormentava, il secondo si svegliava. Eppure, nonostante fossi sfatta dal sonno, il famoso pentimento di cui mi parlava la mamma non è mai arrivato.
Bambini piccoli, problemi piccoli? Certo. Ma non ho avuto tentennamenti neppure negli anni successivi. E se asilo, elementari e medie sono filati via lisci, effettivamente con il liceo sono iniziate le rotture di scatole. Ma anche di fronte a quelle più importanti e rognose, non ho mai pensato che mi sarebbe piaciuto non avere figli.
Ecco perché mi sono stupita leggendo l’articolo Sono mamma, ma vorrei tornare indietro (su Confidenze in edicola adesso), in cui Adele F. confessa di sentirsi oppressa e appesantita dalle responsabilità del suo ruolo.
E’ vero, essere genitore è un mestiere di difficoltà pazzesche che ti toglie quella beata tranquillità che avevi prima di diventarlo. Ma posso dirvi che non riesco neppure a ricordare la mia vita senza quei due ragazzoni? Senza arrivare alla melensaggine di affermare che hanno dato un senso alla mia esistenza, sostengo con forza che sono la cosa che ho fatto di cui vado più fiera. E che ogni fase della loro crescita è stata per me un’esperienza irrinunciabile.
Non solo. Se non ci fossero, mi sentirei sì libera da responsabilità e preoccupazioni (sentimenti che non ti mollano neanche quando la prole ha superato i 30 anni). Ma alla mia età che ambizioni e spinte verso il futuro avrei?
Non che sia vecchia come il cucco, ma la maggior parte delle tappe importanti della vita le ho raggiunte. Quindi, se continuo a sperare in un mondo migliore è perché accolga i miei adorati topastri con affetto. E se continuo ad avere stimoli sul lavoro è perché mi piace dare a loro il buon esempio e a me la possibilità di poterli aiutare se ne avessero bisogno.
Ma c’è dell’altro: anche quando ormai sono fuori casa, i figli fanno una grandissima compagnia. Fisica, nel momento in cui sono con te. Ed emotiva quando sono lontani. E se non mi vengono in mente due persone da frequentare migliori dei miei pastrocchi, li ringrazio con tutto il cuore di avermi messa nell’irreversibile condizione di genitore!
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