“Quanto avrei voluto avere spalle come le sue. Forse almeno non lo avrei desiderato tanto. (…) Volevo essere come lui? Volevo essere lui? O forse volevo solo averlo? Oppure essere e avere sono verbi del tutto inadeguati nell’intricata matassa del desiderio, per cui avere il corpo di qualcuno da toccare ed essere quel qualcuno che desideriamo toccare è la stessa cosa, sono solo rive opposte di un fiume che scorre dall’uno all’altro, e ancora, e ancora, un circuito perpetuo dove le cavità del cuore, come le botole del desiderio e i buchi del tempo e il cassetto a doppiofondo che chiamiamo identità, condividono una logica ingannevole, secondo la quale la distanza più breve tra vita reale e vita non vissuta, tra ciò che siamo e ciò che vogliamo, è una scalinata tortuosa progettata con l’empia crudeltà d M.C. Escher. Quando ci avevano separati, me e te, Oliver? E perché io lo sapevo e tu no? È il tuo corpo che voglio quando penso di sdraiarmi accanto a te ogni notte o voglio infilarmici dentro e possederlo come se fosse il mio, come ho fatto quando mi sono messo il tuo costume da bagno e poi l’ho tolto, volendo con tutto me stesso, come mai avevo voluto qualcosa in vita mia, che ti infilassi dentro di me come se il mio corpo fosse il tuo costume da bagno, la tua casa? Tu in me, io in te…”
Allora. Avete già pianto tutte le vostre lacrime al cinema. Il film diretto da Luca Guadagnino (candidato a 4 premi Oscar) e interpretato da Armie Hammer e Timothée Chalamet, a chiusura della ‘trilogia del desiderio’ (dopo Io sono l’amore e A bigger splash), è un capolavoro, non ci sono dubbi. La sceneggiatura non originale (che ha ottenuto il Bafta) firmata da James Ivory si basa quasi fedelmente alla prima parte del romanzo, quella che narra l’incontro tra Oliver e Elio e il loro breve ma intenso amore. Al cinema li lasciamo giovani, lasciamo Oliver a un passo dal matrimonio e Elio distrutto dal dolore.
Il romanzo va oltre. Accompagna la crescita di entrambi, accompagna la loro vita. E ce li fa incontrare ancora, venti anni dopo.
Magari il tempo ci facesse dimenticare i baci e le carezze e il battito di chi abbiamo amato, magari il tempo cancellasse dai luoghi i passi e l’odore. Magari. Magari si potesse eliminare quell’estate.
Ma come faremmo, poi, senza Elio, senza Oliver, senza le mani che hanno stretto la nostra e quella promessa di eterno, comunque? Come faremmo, senza la speranza del ricordo?
Faccio una cosa che con le recensioni non c’entra nulla ma a me sembra che ci stia alla perfezione, questa volta. Leggete questo libro. Guardate il film. Piangete tutte le lacrime dell’universo che avete nel cuore. Poi ascoltate una canzone capolavoro. Dice “Bisogna imparare ad amarsi, in questa vita. Bisogna imparare a lasciarsi, quando è finita”. L’hanno scritta Bungaro e Pacifico. L’ha interpretata in modo eccelso una strepitosa Ornella Vanoni all’ultimo Festival di Sanremo.
“Se ti ricordi tutto, volevo dirgli, e se sei davvero come me, allora domani prima di partire o quando sei pronto per chiudere la portiera del taxi e hai già salutato gli altri e non c’è più nulla da dire in questa vita, allora, una volta soltanto, girati verso di me, anche per scherzo, o perché ci hai ripensato, e, come avevi già fatto allora, guardami negli occhi, trattieni il mio sguardo, e chiamami col tuo nome”
André Aciman, Chiamami col tuo nome, Guanda
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