“Io, Bandini, ero pieno di dolore e annaspavo nella polvere e mi sentivo prossimo a morire. E allora scrivi un biglietto d’addio, Bandini, scrivine uno bello, e lungo, per Camilla. E l’ha scritto: la lunga lettera di un suicida, scritta col cuore spezzato, con le lacrime che piovevano sui tasti nella lunga notte in cui la scrisse, e poi si accasciò addormentato sulla poltrona, e poi si trascinò sul letto, troppo stanco per suicidarsi. E la mattina dopo mentre beveva il caffè lesse la lettera e, ragazzi, se era forte! Ragazzi, le serviva solo un titolo, gliene trovò uno e la imbucò, e dopo pochi giorni arriva un assegno e un biglietto da parte dell’editore della rivista verde: «Caro Bandini, il suo è uno dei pezzi più divertenti che abbiamo mai letto. Siamo lieti di riceverlo, e speriamo che in futuro vorrà mandarcene ancora. Troverà accluso l’assegno». Ed ecco Bandini, lo scrittore comico, che si precipita giù per Angel’s Flight a portare il suo racconto a Camilla: guarda, è meraviglioso, divertentissimo. Un lato nuovo del mio talento: sono un umorista! E lei lo lesse e rise, e poi lui morì della morte di cui s’era scordato di morire quell’altra notte, perché sperava che lei sì avrebbe capito la tragedia, e invece no, anche lei l’aveva trovato divertente. Polvere in bocca, polvere nell’anima”.
Ok. Non è facile. Lo dico subito, metto le mani avanti. Chiedi alla polvere è in assoluto uno dei libri ai quali sono più legata: amo Fante, amo la sua scrittura, il suo genio, la sua ironia, la sua grande contemporaneità.
Sono fortunata, posso consigliare i libri che amo. Ma ogni tanto cedo alla frivolezza del contenuto, al richiamo psichedelico e ricco di coloranti ed eccipienti del reparto freschi. Così vi ho consigliato spesso passatempi, letture sprintose e saggi istantanei da supermarket aperti h24. Va bene anche quello, per carità. Ma un libro vero, caspita se te ne accorgi e caspita se quasi cadi in ginocchio al cospetto di chi lo ha creato!
In Chiedi alla polvere Arturo Bandini, il protagonista, riesce a parlarci di tutto. Di come ti ritrovi ad avere venti anni per sempre qualunque sia la tua vera età, di come sia facile innamorarsi della persona che la tua testa ingegnosamente architetta, di quanto si soffra di un dolore splendido quando il sentimento sfugge via e si perde tra deserti e visioni oniriche. C’è l’amore e la delusione, la solitudine e il legame con le radici lontane; c’è il rapporto con la carta e la penna, con i mondi da ideare e nei quali trasferirsi nelle ore che mancano di vita, c’è già quasi una critica a quella che poi si perfezionerà come l’industria culturale che della letteratura imparerà a fare a meno (Bandini scrive un libro, nel libro: Il cagnolino rise).
Fante racconta il vuoto di una Nazione e il vuoto di un popolo con la leggerezza di chi ha una visione perfetta, non alterata da miopie o astigmatismi o presbiopie. Lo fa consegnandoci la domanda e la risposta perfetta, quelle che ogni giorno ci ritroviamo a declinare in mille modi. Chiedi, ci dice. Domandate, non tenetevi dentro nulla. Però sappiate. Che dall’altra parte, ad ascoltarvi, c’è il frammento, c’è la polvere.
John Fante, Chiedi alla polvere, Einaudi
Ultimi commenti